La Rai fa saltare il centrosinistra. Conte si prende la poltrona, Avs anche. E ora trema anche la Liguria
I Cinque stelle rompono il patto stretto a luglio. Schlein furiosa. Il nuovo cda di viale Mazzini ha preso forma: Rossi sarà ad mentre in Vigilanza mancherebbero due voti a Simona Agnes per la presidenza. Trattative con Conte o Fratoianni. Salvini tenta il colpaccio sulla pelle di Forza Italia.
L’attesissima partita Rai è appena iniziata, ha già fatto saltare in aria il centrosinistra e potrebbe, prima di chiudersi, portare seri dispiaceri anche nel centrodestra dove, se Giorgia Meloni “vince” la sua partita - Giampaolo Rossi amministratore delegato- non è detto che Forza Italia si aggiudichi la sua - la presidenza a Simona Agnes - e alla fine, fregandosi bene le mani, la Lega potrebbe ottenere ciò che vuole: un ruolo apicale, la presidenza, nella prima azienda culturale italiana. Più che mai e più di sempre nelle mani dei partiti. Tranne uno, questa volta: per la prima volta in vent’anni il Pd - e anche Italia viva e Azione - dicono no ai criteri delle nomine mentre 5 Stelle e Sinistra si sono spartiti i due posti disponibili.
Coalizioni “leggere”
Una giornata complicata che ha dimostrato, una volta di più, l’insostenibile leggerezza delle coalizioni. Con la differenza che una, a destra, ha un centro di gravità permanente che si chiama Giorgia Meloni che, con la forza dei numeri, ha steso tutti i suoi alleati e fa, quasi, quello che vuole. Nell’altra metà campo, nonostante la leadership di Elly Schlein sia nettamente la più consistente delle altre, Giuseppe Conte è ancora convinto di essere competitivo pr quel ruolo. Oppure ha talmente tanti problemi interni per via della guerra con Grillo che deve alzare continuamente bandierine identitarie. Lettura nobile, quest’ultima, di una dinamica assai più banale: istinto primario ad occupare poltrone.
Il nuovo board
Conviene andare con ordine. Succede quasi tutto nell’arco della mattinata. Il Parlamento ha designato i consiglieri di sua competenza: Antonio Marano (Lega) e Alessandro Di Majo (M5s) per il Senato, Federica Frangi (Fdi) e Roberto Natale (Avs) per la Camera. Il ministero dell’Economia ha indicato i suoi consiglieri: Simona Agnes e Giampaolo Rossi. A questo punto il 'board' della tv pubblica è sostanzialmente al completo, in attesa dell’indicazione del consigliere espressione dei dipendenti. Per chiudere veramente il dossier Rai, manca però il passaggio più delicato: il via libera, obbligatorio, della Commissione di Vigilanza sul nuovo presidente per cui servono i due terzi dei voti per eleggere Presidente e ad e al centrodestra mancano quattro voti.
Diciamo subito che se la spaccatura del centrosinistra è stata palese, i conti non tornano a destra. Nonostante i messaggi di convocazione via whatsapp, il numero dei votanti è stato molto basso al netto dell’Aventino di Pd, Iv e Azione: 131 al Senato e 231 alla Camera. Marano (Lega) ha avuto 97 voti mentre Frangi (Fdi) ne ha avuti 174. Un abisso tra loro. Molto al di sotto dei voti disponibili per la maggioranza.
Le macerie del centrosinistra aiutano a distogliere l’attenzione dalla maggioranza. Per una volta possiamo dire che sia avvenuto tutto alla luce del sole, senza imboscate e anche previsto previsto. Il cda Rai è sotto rinnovo da giugno con le dimissioni della presidente Marinella Soldi che ha lasciato la Rai con un anno di anticipo per la Bbc. Cominciano una serie di consultazioni frenetiche , trasversali, chi fa cosa, come e quando. Il solito banchetto Rai con un solo punto fermo: Giorgia Meloni vuole Rossi amministratore delegato, vuole far rientrare dalla porta principale colui che nel 2021 fu escluso dal Cda lasciando nei fatti fuori dal bord l’unico partito di opposizione (con la Sinistra). Un’esclusione a cui certo Lega e Forza Italia non sono state estranee.
Il fatto nuovo
Il 13 marzo però è intervenuto un fatto nuovo: il Parlamento europeo ha approvato l’European Media Freedom Act, un regolamento per proteggere media e giornalisti della Ue da ingerenze politiche o economiche. L'obiettivo primario è l’indipendenza editoriale del servizio pubblico. La Rai, però, nelle nomine e nei finanziamenti resta legata alla politica. Come farà l’Italia a rispettare questi obblighi? Di sicuro dovrà adeguarsi entro un anno solare. Ecco che di fronte alla necessità di nominare il nuovo cda, tutte le forze del centrosinistra formano un accordo in cui si impegnano e chiedono a Meloni di non procedere con il rinnovo del cda prima di una nuova legge sulla governance Rai. Tutti i leader firmano: Schlein, Conte, Fratoianni, Bonelli, Renzi e Calenda. E’ un impegno preciso, che arriva dopo quello per una migliore sanità, contro l’autonomia differenziata e altri minori, prima pezzi di un puzzle di programma comune per la nuova alleanza di centrosinistra. Inizia così lo stallo sulle nomine Rai. Che Meloni sembra voler rompere dieci giorni fa quando la maggioranza firma un documento con cui si impegna a riformare la governance Rai. Intanto però va eletto il nuovo Cda.
Conte e la Rai
L’impegno formale è sufficiente a Conte e Fratoianni per rompere il patto siglato due mesi fa. “Noi siamo stati coerenti. Chiedete agli altri” ha commentato Elly Schlein puntando il dito verso Giuseppe Conte. “Noi siamo stati sempre coerenti. E' la soluzione più giusta” è stata la replica del leader 5 stelle. In casa dem la mettono così: “Si sono scoperti dorotei. E hanno legittimato, per qualche poltrona, Telemeloni”. Diciamo che Conte ritiene primario avere voce in capitolo su direzioni dei tg e conduzioni dei vari programmi. Considera da sempre la Rai, da quando ne ha apprezzato il potere, un suo territorio e non intende rinunciare. Ha fatto accordi con Meloni fin dalle prime settimane di governo: alcune direzioni di Tg hanno avuto il via libera di Conte. Figuarsi se rinunciava al sua consolle di comando, per quanto ridotta, in viale Mazzini. A Bonelli e Fratoianni non è parso il vero di adeguarsi. E si è spaccato il campo largo. “Ogni volta che vede una poltrona Conte ci si butta a tuffo” il sarcasmo di Renzi. I due si sono punzecchiati tutto il giorno: Conte “accusa”, e non da oggi, Renzi di aver voluto il tipo di governance che ora vuole cambiare. A parte il fatto che la vuole cambiare Bruxelles, il fatti è che Renzi ha lasciato palazzo Chigi a fine 2016 e non ha mai beneficiato di quella legge. Che invece Conte ha usato quando era premier. Ma restiamo ancora un po’ sulla Rai prima di vedere quante ossa si è rotto in poche ore il centrosinistra.
Il colpaccio della Lega?
In Parlamento si rincorrono le voci sulle prime nomine dei nuovi vertici Rai. Si parla di un ricambio al vertice di Rainews24 a favore di un nome vicino al M5s (Giuseppe Carboni o Senio Bonini). Ma prima, però, il nuovo Cda Rai dovrà passare il vaglio della Vigilanza dove mancano due voti per il via libera al presidente (Agnes il nome designato). “Il patto che ha consentito l’elezione di due consiglieri di opposizione non reggerà in Vigilanza. Agnes non avrà i voti” assicurano fonti parlamentari di opposizione. E sarebbe un peccato visto che Simona Agnes ha il profilo forse più idoneo di tutto il Cda appena nominato a ricoprire quel ruolo e non certo perché donna o perchè indicata da Forza Italia.
Se però ci fosse lo stallo e le opposizioni dovesse tornare insieme sull’Aventino, potrebbe diventare presidente Rai il consigliere più anziano: il leghista Marano. E così, fatti due giri di valzer, Salvini avrebbe quello che ha sempre voluto: un ruolo apicale nei vertici Rai. Ma Forza Italia sarebbe assai poco contenta.
Rossi, invece, avrà quello a cui è stato designato da almeno tre anni: il ruolo di amministratore delegato. Ha davanti a se tre anni pieni di mandato anche se il primo ottobre il Parlamento dovrebbe iniziare a valutare la legge per la nuova governance di viale Mazzini. Rossi ambisce a diventare il deus ex machina della nuova Rai, quella della “pluralità delle narrazioni” o della “de-egemonizzazione della sinistra”. In questi anni si è mosso con accortezza, dialogando con l’opposizione e con i sindacati e tenendosi fuori dalla mischia in occasione di alcuni momenti critici come lo stop al monologo di Scurati o le polemiche legate all'ultimo Festival di Sanremo.
Il grande freddo
Torniamo ora alle macerie del centrosinistra. “Il voto di oggi non interrompe il percorso per la costruzione dell'alleanza di centrosinistra” ha assicurato il leader dei Verdi. La cronaca della giornata, nel suo insieme, è andata in ben diversa direzione.
E’ cominciata in Cassazione dove tutto i leader del centrosinistra ieri mattina alle 9.30 sono andati per depositare un milione e trecentomila firme che aprono le porte ad un altro referendum: per l’abolizione dell’autonomia differenziata dopo quello per una cittadinanza più inclusiva. Una foto immortala tutti i leader in piazza Cavour davanti alla Cassazione. Impossibile non notare la distanza tra Elly Schlein e Giuseppe che non si sono nè salutati nè di sono dati la mano. Il motivo era noto a tutti: 5 Stelle e Sinistra e verdi avevano appena tradito il patto sulla Rai lasciando “soli” nell’Aventino Pd, Iv e Azione. Era chiaro dalla sera prima e la frattura si sarebbe consumata dopo pochi minuti in aula. Schlein non poteva neppure immaginare ieri mattina di stringere la mano a Conte.
“Chiuso” - si fa per dire - il dossier Rai, Conte ne ha aperto subito dopo un altro su un altro provvedimento in discussione alla Camera: il ddl collegato al Lavoro. I 5 Stelle hanno abbandonato l’Aula perché sono stati giudicati inammissibili 53 emendamenti delle opposizioni. “Vedi che ora escono, ma quando c’è stato da spartirsi le poltrone non lo hanno fatto”. Dura la replica del M5s: “Sono loro, il Pd, a spaccare il fronte sul salario minimo”. Una capigruppo ha aggiustato la situazione visto che il presidente Fontana ha riaperto i termini per alcuni emendamenti. Fino al primo ottobre.
Occhi sulla Liguria
Il problema è che tutto questo potrebbe anche riaprire il dossier regionali Liguria. Tra poche ora scadono i termini per depositare le liste: il campo largo sembrava scontato, ma la presenza di candidarti di Italia viva nelle liste civiche a sostegno della candidatura dell’ex ministro Pd Andrea Orlando ha ridato fiato ai 5 Stelle: “La nostra posizione è chiara da tempo - è la linea del Movimento - mai con Iv, non ci aspettiamo che vengano cambiate le carte in tavola all'ultima ora”.
La riapertura della pratica ligure ha colto di sorpresa il Pd. Intanto perché il lavoro sull'alleanza va avanti da tempo, anche con la costruzione di liste centriste che, pur senza simboli di partito, dovrebbero dar spazio a esponenti sia di Azione sia di Iv. E poi perché non si tratterebbe di una situazione inedita: nelle chiacchiere di Transatlantico, fra i dem si ricorda come il M5s governi già con Renzi a Napoli e a Perugia e come le due forze convivano nelle coalizioni schierate per le regionali in Emilia Romagna e in Umbria. Nel pomeriggio infatti trapela un cauto ottimismo: “Si sta risolvendo tutto con la definizione delle liste” dicono fonti Pd.
Vedremo. Poche ore e sapremo com’è andata. Non sarebbe la prima volta che Conte fa saltare il banco a poche ore dal voto: lo ha fatto in Basilicata, in Sardegna, o decide lui o fa saltare il banco. Lo fa per dare segnali alla base alla vigilia della famosa Costituente? In ogni caso Elly Schlein non è più disposta a tollerare veti o diktat. Almeno, così ha promesso.