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Salvini trasforma Pontida nell'internazionale sovranista e lancia la sfida all'Europa di Meloni e Tajani

Il vicepremier e segretario della Lega lancia un messaggio forte e chiaro agli alleati e all’Europa

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
Salvini trasforma Pontida nell'internazionale sovranista e lancia la sfida all'Europa di Meloni e...
Salvini e Orban a Pontida (Ansa)

Dal pratone di Pontida parte la riscossa di Matteo Salvini. Il vicepremier e segretario della Lega lancia un messaggio forte e chiaro agli alleati e all’Europa su una serie di temi dirimenti per la sua narrazione: l’autonomia (“Dopo 30 anni di battaglie, è realtà e legge dello Stato e indietro non si torna”), i migranti, i tecnocrati, i banchieri, la cittadinanza.

Il discorso di Salvini

Dura venti minuti il discorso del numero uno del Carroccio che per la prima volta da quando si celebra la festa leghista allarga i confini ai leader dell’internazionale sovranista. Ci sono gli applausi, come conviene alla tradizione, ma ci sono anche i mugugni di chi vorrebbe altro, un’attenzione maggiore al tessuto produttivo del Nord, meno radicalismo. In estrema sintesi, un partito più moderato. Così come auspicano i governatori di Veneto e Friuli Venezia Giulia, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. I malumori insomma restano sotto traccia. Perché il Carroccio, spiega un militante, «resta un partito leninista, che fin quando ha un capo risponde a lui e basta».

La simbologia storica

E così dopo anni di messaggi incentrati sul 'pragmatismo' e il 'buonsenso al governo', la Lega torna all'uso della simbologia storica nella sua comunicazione politica. Messa in soffitta, ormai da più di un decennio, l'iconografia 'padana' ideata da Umberto Bossi,  che Salvini saluta e ringrazia, il leader della Lega Salvini prova a coniugare i valori del partito delle origini e il futuro di ispirazione sovranista. Una operazione ardita, avviata da tempo, non senza vistose contraddizioni, tra rigurgiti di localismo e asprirazioni nazionalistiche.

C'è anche Orban

Dirimente gli interventi di una serie di «patrioti», come Viktor Orban, il più rappresentativo, che ha ringraziato il pubblico mettendosi la mano sul cuore. Il premier ungherese ha definito Salvini «un eroe» perché «ha chiuso i confini e ha difeso le case degli italiani. Anzi ha difeso anche l’Europa e meriterebbe un’onorificenza e non un procedimento giudiziario. Quello in corso è una vergogna». 

La benedizione del leader ungherese

La benedizione di Orban fa cambiare fase al percorso intrapreso da Salvini. Perché l’intervento del premier ungherese è  forse anche più duro delle attese. Mette in fila il solito cliché sovranista  contro la burocrazia e «l’egemonia della sinistra in Europa», che «punisce l'Ungheria perché difende i confini Ue dall'immigrazione irregolare». E ancora: «Se continueranno a punirci, trasporteremo i migranti da Budapest a Bruxelles e li porteremo davanti agli uffici.  Non dobbiamo uscire da Bruxelles ma entrare con forza, deve essere occupata, tolta ai burocrati e ridata alla gente europea». E tutto questo deve portare «all’unificazione della destra europea».
Parole dure che di sicuro non avranno fatto fare i salti di gioia alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, la quale sta tessendo una tela in Europa che va in altra direzione.

Impatto sul governo?

Va da sé tutto questo avrà un impatto sugli equilibri di governo. Anche perché arriva all’indomani delle polemiche per lo striscione «Tajani scafista» esibito dai ragazzi della Lega Giovani. Salvini prova a spegnere il fuoco e assicura che «il governo è compatto» e che «è composto da amici più che da alleati», «ogni tanto discutiamo ma poi si trova sempre una soluzione». Tutto rientrato? Non si direbbe.  Nel discorso di chiusura il vicepremier leghista non sembra essere tenero nei confronti dei suoi alleati. In particolare, invia due messaggi forti e chiari a Forza Italia: «sull’autonomia non si torna indietro». E poi sullo ius Italiae, lanciato dagli azzurri, dove è assai tranchant: «La ricetta per i prossimi anni non è concedere più cittadinanze o regalarle più facilmente, la priorità per la Lega e l'Italia dovrà essere quella di poter revocare la cittadinanza a quelli che delinquono in casa nostra».

Le parole di Vannacci

Parole in linea con Roberto Vannacci, super star del raduno di Pontida. Il generale della discordia è stato applaudito e acclamato. Gli attivisti l'hanno accolto urlando in coro: «Un generale, c'è solo un generale, un generale». Compiaciuto il diretto interessato ha mostrato fedeltà alla casa leghista ma in tanti fanno notare che non abbia ancora la tessera: «Finora sono stato con il segretario Salvini, con i governatori e nessuno mi ha posto il problema di fare la tessera della Lega. Io sono un eurodeputato nel gruppo della Lega, rappresento la Lega e sono qua a Pontida con la Lega che mi ha voluto qua. Quindi quale valore aggiunto porterebbe la tessera?».

E ancora, sempre Vannacci: «Fino a prova contraria questi signori stanno già dimostrando che ci sono già nella comunità della Lega. Il problema della tessera è un atto formale che nulla ha a che vedere con quello che, invece, stiamo facendo insieme. Quando ci sarà un congresso, vedremo che fare». Una leadership, quella di Vannacci, che inizia ad essere ingombrante. Nelle scorse settimane si era parlato di un'Opa di Vannacci sulla Lega o comunque di un partito del generale. Salvini e Vannacci al momento convivono ma è evidente che le ambizioni del generale potrebbero indebolire il segretario e vicepremier. Ora l’equilibrio fra i due si tiene. Domani chissà. Nell’attesa Salvini ha posto le basi per la santa alleanza sovranista. Il punto di partenza è la sfida all'Europa. Meloni e Tajani sono avvisati.

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
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