Tiscali.it
SEGUICI

[L’analisi] Le promesse elettorali costano 30 miliardi, ma i soldi non ci sono. E il governo rischia di esplodere

Il reddito di cittadinanza – che, ripete Di Maio, è imprescindibile – costerebbe almeno 8 miliardi.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giovanni Tria
Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giovanni Tria

Nord contro Sud, disoccupati e ufficialmente poveri contro i commercianti, i professionisti, gli artigiani del popolo delle partite Iva, incapienti contro evasori, pensionati a caccia del minimo e pensionati trincerati su quota 100. Sia la flat tax, sia il reddito di cittadinanza – le due bandiere dei due partiti di governo - hanno riferimenti teorici, magari discutibili, ma complessi, articolati, frutto di lunghi dibattiti sui motori dello sviluppo o sugli effetti dell’automazione. Ma, qui ed ora , non c’è nulla di ideologico nello scontro in corso sulla manovra finanziaria 2018. Piuttosto, il tentativo di rispondere nel modo più puntuale possibile agli specifici interessi materiali immediati dei propri elettorati. Sono due Italie separate, distinte, incomunicanti e, in parte, incompatibili quelle che sono venute, inevitabilmente, a confrontarsi sulla spartizione delle magre risorse disponibili. O, forse, più esattamente sull’ipotetica spartizione di risorse che, in realtà, non ci sono. Il punto chiave della rappresentazione a cui stiamo assistendo, infatti, è in due numeri di cui non parla nessuno e che sono nascosti nelle pagine interne dei giornali. Il primo numero è quello della produzione industriale: a luglio ha girato a vuoto. Le fabbriche italiane hanno lavorato meno che a giugno e meno di un anno fa. Il secondo numero è quello delle esportazioni, il motore tradizionale dell’economia italiana. A luglio, le vendite delle aziende italiane all’estero si sono ridotte del 2,6 per cento rispetto ad un mese prima. E’ possibile che si tratti di due cadute temporanee, dovute alle tariffe di Trump o ai problemi della Cina. Ma il messaggio è chiaro: l’economia italiana sta rallentando. Il 2019 sarà peggio del 2018. E questo complica tutto.

Tria e i paletti della manovra

Su questo scenario si incardina, infatti, un altro numero, quello su cui si sta concentrando la resistenza del ministro del Tesoro alle richieste degli alleati di governo. Il disavanzo del bilancio pubblico non deve superare l’1,6 per cento del prodotto interno lordo. E’ un numero assai lontano da quello che era stato promesso, per il 2019, dal governo Gentiloni (0,8 per cento), ma che conserva la magia di assicurare il via libera di Bruxelles e, con ogni probabilità dei mercati. Perché, infatti, 1,6 per cento è l’assicurazione anti spread? Perché è inferiore al dato 2018 (1,8), perché non superarlo consente di ridurre il peso del debito sul Pile, contemporaneamente, di diminuire il cosiddetto deficit strutturale, cioè quello che prescinde dalle oscillazioni della congiuntura economica. Nei colloqui avuti con la Commissione a Bruxelles, Tria ha avuto informalmente l’assicurazione che, anche se quell’1,6 per cento è lontano dagli impegni che erano stati presi, l’Ue è disposta ad accontentarsi di riduzioni anche minime, anche quasi simboliche del deficit strutturale e del rapporto debito/Pil, che dimostrino, però, che l’Italia continua almeno nel percorso di risanamento delle proprie finanze.
Questo 1,6 per cento corrisponde ad un disavanzo di circa 23 miliardi. La metà servono per scongiurare l’aumento dal 20 al 22 per cento dell’Iva che strozzerebbe la spesa delle famiglie. Altri 3 sono già impegnati in spese indifferibili, tipo le missioni all’estero. Ancora 4 ce li siamo giocati con l’aumento dello spread nei mesi scorsi che ha reso più costosi gli interessi del debito pubblico. Poi 2,5-3 miliardi sono le minori entrate prevedibili, per colpa del rallentamento dell’economia. Il totale fa, più o meno, 22 miliardi. L’1,6 per cento è già tutto assorbito. Per dare corso alle promesse elettorali, occorre trovare i soldi altrove.

Risorse e promesse

Purtroppo, non ci sono. La caduta contemporanea di produzione industriale e esportazioni rivela una economia in rallentamento. Nel prontuario delle manovre finanziarie è l’evento peggiore. Sia il rapporto debito/Pil, sia quello disavanzo/Pil sono, infatti, due frazioni. Come insegna l’aritmetica, se il denominatore (cioè il Pil) aumenta, la frazione diventa più piccola. Se diminuisce, invece, diventa più grande e, dunque, peggiora il rapporto. Economia che rallenta significa, quindi, che i parametri cari a Bruxelles e ai mercati tendono a peggiorare, restringendo gli spazi della manovra economica. Si può invertire la tendenza? Assai difficile. Gli economisti della Lega sostengono che una manovra espansiva dà una spinta all’economia. E’ vero, ma l’esperienza mostra che questa spinta non è sufficiente a compensare – in termini di maggiori entrate – le minori entrate e le maggiori spese comprese nella manovra di espansione. E la spinta ulteriore del condono che va sotto il nome di pace fiscale? Secondo i calcoli degli economisti della Lega potrebbe dare un gettito di 5 miliardi di euro. Per una volta sola, però, una tantum. Non è così che si finanziano spese permanenti, come quelle previste nelle promesse elettorali di Lega e 5Stelle. Un programma massiccio di investimenti pubblici avrebbe più possibilità di alimentare e sostenere la crescita, ma gli effetti non sarebbero immediati. Inoltre, gli investimenti sono una delle poche cose di cui, nelle frenetiche consultazioni di questi giorni, non si è fatta parola.
L’ultima idea sembra quella di una sforbiciata drastica a sprechi e privilegi. Se ne parla, più o meno negli stessi termini, ogni anno. Si sono succedute commissioni di studio e rapporti e la realtà politica e sociale che questi sprechi e privilegi alimentano si è sempre dimostrata troppo coriacea per essere scalfita. Le ricette sono lì, ultima quella di Cottarelli, ma si può dubitare che vengano applicate. Quando cambia così nettamente, come avvenuto negli ultimi mesi, una stagione politica, si aprono gli spazi per grandi operazioni di riassetto e redistribuzione. Ma non sembra questa l’aria che tira.

Le cambiali elettorali

E’ questo il muro contro cui si vanno a scontrare promesse elettorali in competizione e in contraddizione. La Lega punta su una flat tax, da far partire subito, che premierebbe le partite Iva di professionisti, commercianti, artigiani, piccoli imprenditori con un fatturato sotto i 60-80 mila euro l’anno. Il costo preventivato è di 1,5-2 miliardi di euro l’anno. Poi c’è l’introduzione di quota 100 sulle pensioni, prevalentemente di lavoratori del Nord che hanno avuto un posto fisso e pagato i contributi. Secondo le stime, il costo varia fra i 6 e i 13 miliardi. Il totale delle richieste (minime) della Lega oscilla quindi fra i 9 e i 15 miliardi di euro da spendere nel 2019. I 5Stelle guardano, invece, a poveri e disoccupati del Sud. Il reddito di cittadinanza – che, ripete Di Maio, è imprescindibile – costerebbe almeno 8 miliardi. Se si ponesse subito mano, come dicono i 5S, alle “pensioni di cittadinanza” ovvero a portare a 780 euro tutte le pensioni che stanno sotto questo livello, la spesa esploderebbe. Fra invalidi, assegni sociali, pensioni integrate al minimo ci sono 5 milioni di pensionati sotto quel livello. Alzare tutti a 780 euro costa altri 13 miliardi di euro.
Grosso modo, dunque, le richieste finora inevase della Lega superano i 10 miliardi di euro, quelle dei grillini superano i 20. Dove trovare 30-35 miliardi di euro? L’ultima spinta è quella di sfondare il tetto di disavanzo indicato da Tria e arrivare al 2,1, al 2,2 per cento. Quanti soldi in più ci sarebbero rispetto al tetto dell’1,6 per cento? Non più di 7-8 miliardi. Per far quadrare il cerchio è rimasta poco più di una settimana.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci, editorialista   
I più recenti
Messaggio del Papa a Sanremo, la musica strumento di pace
Messaggio del Papa a Sanremo, la musica strumento di pace
Fratoianni canta Povera Patria: Record di Meloni? Disoccupazione giovanile
Fratoianni canta Povera Patria: Record di Meloni? Disoccupazione giovanile
Almasri, opposizioni non mollano Meloni: mozione sfiducia a Nordio
Almasri, opposizioni non mollano Meloni: mozione sfiducia a Nordio
Teleborsa
Le Rubriche

Alberto Flores d'Arcais

Giornalista. Nato a Roma l’11 Febbraio 1951, laureato in filosofia, ha iniziato...

Alessandro Spaventa

Accanto alla carriera da consulente e dirigente d’azienda ha sempre coltivato l...

Claudia Fusani

Vivo a Roma ma il cuore resta a Firenze dove sono nata, cresciuta e mi sono...

Claudio Cordova

31 anni, è fondatore e direttore del quotidiano online di Reggio Calabria Il...

Massimiliano Lussana

Nato a Bergamo 49 anni fa, studia e si laurea in diritto parlamentare a Milano...

Stefano Loffredo

Cagliaritano, laureato in Economia e commercio con Dottorato di ricerca in...

Antonella A. G. Loi

Giornalista per passione e professione. Comincio presto con tante collaborazioni...

Lidia Ginestra Giuffrida

Lidia Ginestra Giuffrida giornalista freelance, sono laureata in cooperazione...

Alice Bellante

Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla LUISS Guido Carli...

Giuseppe Alberto Falci

Caltanissetta 1983, scrivo di politica per il Corriere della Sera e per il...

Michael Pontrelli

Giornalista professionista ha iniziato a lavorare nei nuovi media digitali nel...