Il pranzo dei Presidenti. E nel menu spuntano il rimpasto, Belloni e una nuova fiducia in Parlamento
Meloni a pranzo con Mattarella al Quirinale. Tanti temi sul tavolo. Ma più di tutti il dopo Fitto. La premier vorrebbe evitare una nuova fiducia e, come già fatto con Giuli, ha in mente di affidare direttamente i Rapporti con l’Europa ad Elisabetta Belloni, capo dell’intelligence e capo sherpa del G7. Tajani non vuole e rivendica per se e Forza Italia più deleghe e più peso nel governo. Da qui le forti tensioni di questi giorni
Il pranzo dei Presidenti è quasi una routine: una volta al mese, circa, specie se ci sono stati appuntamenti internazionali importanti. In questo caso sia Mattarella che Meloni ne avevano di cosa da raccontare, report da condividere: in Cina lui, al G20 in Brasile e in Argentina lei, l’arrivo di Trump - non si erano più visti dopo il 5 novembre - le guerre, il mandato di arresto per Netanyahu della Corte penale internazionale, il tutto mentre Stati Uniti e Francia hanno trattato e cucito con i denti la tregua in Libano in cambio, ad esempio, dell’immunità in Francia per il presidente israeliano qualora mai la situazione non si dovesse risolvere.C’era un menu ricco mercoledì al pranzo privato al Quirinale tra Sergio Mattarella e Giorgia Meloni. Anche perchè la giornata portava già di per sè in agenda eventi importanti: la maggioranza battuta in Commissione al Senato sul canone Rai per “colpa” di Fi; subito dopo un’altra bocciatura ad un emendamento (Lotito) di Forza Italia sul tema della sanità in Sicilia; il via libera alla Commissione von der Leyen (Mattarella ha giocato una moral suasion importante sul Pd perchè non facesse sorprese rispetto alla nomina di Fitto) con dentro l’ormai ex ministro plenipotenziario del governo Meloni.
Il caso Fitto
E proprio quando sono arrivati a Fitto, al’Europa e a tutto quanto è successo in queste due settimane a Bruxelles dove la nomina e tutta la Commissione sono state ostaggio di veti e ripicche e maggioranza e opposizione si sono spaccate a vicenda nel voto, a quel punto è stato impossibile non aprire una parentesi importante sul destino delle importanti deleghe di Fitto. Anche perchè il Capo dello Stato voleva capire meglio, dalla viva voce della premier, costa stava succedendo in maggioranza, e cosa fossero in realtà quelle che aveva definito “schermaglie” ma che avevano bloccato per tre giorni il decreto fiscale e avevano mandato sotto per due volte la maggioranza in Commissione bilancio al Senato. Anche perchè stavolta non erano i “soliti retroscena dei giornali che s’inventano tutto”. Stavolta i diretti interessati hanno parlato ai microfoni e tra virgolette. “Quel paraculetto di Salvini, si deve dare una calmata” ha detto il portavoce di Forza Italia, l’onorevole Nevi mentre il suo partito rimetteva sul tavolo la cittadinanza per gli stranieri nati in Italia e ricordava come l’abbassamento della pressione fiscale non sarebbe certo avvenuto riducendo il canone di 20 euro. Un clima agitato, che deve aver interessato il Capo dello Stato che si è informato sulle vere cause di tanta agitazione e su come Meloni avrebbe inteso risolvere la non facile sostituzione di Fitto.
La carta Belloni
Fin qui la ricostruzione del menu del pranzo presidenziale. Quello che segue, d’ora in poi, è la ricostruzione degli ingredienti del menu sulla base però di fonti parlamentari. Di maggioranza e di opposizione. E si capisce come il vero motivo di tanti tensioni non siano il canone, l’Irpef, la pressione fiscale, la legge sull’Autonomia e altro. La madre di tutte le battaglie ha un titolo, deleghe-Fitto, e un nome: Elisabetta Belloni.
La diplomatica capo del Dis e capo sherpa del G7, accavallamento di ruoli abbastanza inedito, ha un ruolo chiave nella leadership di Meloni. Belloni ha un curriculum stellare, dalla Farnesina a palazzo Chigi passando per l’intelligence, che la ha consentito di coltivare e curare un capitale di conoscenze e rapporti diplomatici a livello internazionale che pochi altri, forse nessuno, può vantare nell’esecutivo e tra le cosiddette riserve della Repubblica. Un capitale di conoscenze che Belloni ha messo a disposizione delle prima donna premier. La quale possiamo die che non intende fare a meno della sua presenza al suo fianco. Motivo per cui non l’ha indicata direttamente per l’esecutivo europeo. Il problema è che Belloni tra pochi mesi andrà in pensione.
Ecco che la premier ha pensato di affidare a lei almeno una parte di deleghe di Fitto, quelle dei Rapporti con la Ue, e di affidare a Fazzolari/Mantovano quelle sul Pnrr. E di fare tutto questo senza passare dal Parlamento. Prendere e sostituire e presentarsi al Quirinale per il giuramento. così, cotto e mangiato in pochi minuti e senza le procedure barocche della democrazia parlamentare. Un anticipo, in qualche modo, di quella che sarà la riforma del premierato: un capo del governo che fa e disfa ignorando il Parlamento. Quello che già in parte succede con leggi e decreti.
Stavolta serve una nuova fiducia
Un modo di procedere che al Presidente della Repubblica non piace. Per cui avrebbe suggerito a Meloni, “guardi che se cambia ministro, deve passare dal Parlamento e chiedere una nuova fiducia”. Non può fare come ha fatto con Giuli, per intendersi. Anche perchè sarebbe il secondo ministro che cambia. E presto potrebbe esserci il terzo, se e quando Santanchè andrà a giudizio. Al di là di esporre l’esecutivo alle intemperie di un simile passaggio, Meloni non vuole il Meloni II. Ci deve essere un solo governo in continuità per cinque anni.
Ma il problema non finisce qua. Noi sappiamo, lo scriviamo da qualche giorno, che Tajani ambisce alle deleghe di Fitto. Le chiede perchè è convinto che Forza Italia adesso abbia più peso nella coalizione (“siamo stabilmente il secondo partito”). E perchè sa bene che se un personaggio col profilo di Belloni dovesse sedersi al tavolo del consiglio dei ministri o affacciarsi all’Europa, il suo ruolo di vicepremier e ministro degli Esteri sarebbe fortemente ridimensionato. Da qui la battaglia stellare che covava sotto la cenere da settimane e che è esplosa in quesi giorni.
Battaglia su cui si è buttato a pesce Salvini. La parola “rimpasto” e lo scenario di dover dare più deleghe a Tajani, solletica in lui il desiderio di tornare ad essere ministro dell’Interno. Cosa che sarebbe utile accadesse prima del 20 dicembre, prima dell’attesa sentenza del tribunale di Palermo sulla vicenda Open Arms, proprio per potersi presentare davanti ai giudici più forte che mai. Ennesima sfida. Addirittura mettere mano alla casella del Viminale: sarebbe un disastro per il governo Meloni.
Da qui tutte le ripicche di queste ore trovano la loro spiegazione.
Il nuovo pacchetto giustizia oggi in Cdm
In generale Mattarella - e qui torniamo alle cose verificate con il Quirinale - avrebbe chiesto di abbassare i toni: va bene la dialettica politica ma così è troppo. C’è da chiudere la legge di Bilancio, sciogliere i nodi sulla riforma della Giustizia, risolvere le tensioni dentro il Csm, affrontare con slancio i ritardi sulla nomina del nuovo giudice della Corte costituzionale. Circa le deleghe a Fitto, non è un mistero che il Quirinale consideri quel dicastero fondamentale nell'ottica di un aggancio positivo alle dinamiche europee tanto care a Mattarella. E che quindi il presidente si sia raccomandato di scegliere un profilo all'altezza.
“Un incontro programmato e assolutamente cordiale e collaborativo” come tanti altri che accadono e di cui non si ha notizia, è filtrato dal Colle. Peccato che di questo sia sia avuta notizia e direttamente da palazzo Chigi. Significa che Giorgia Meloni lo ha voluto far sapere agli alleati.
Il tema sono anche i tempi dell’avvicendamento di Fitto. Il ministro infatti si deve dimettere entro il 30 novembre perchè la Commissione entra in carica il giorno seguente, domenica primo dicembre. Palazzo Chigi non ha ancora deciso se temporeggiare in attesa dell’approvazione della legge di Bilancio o prendere il toro per le corna e sostituirlo subito. Ma una decisione dopo la chiusura della manovra sembra quella preferita da palazzo Chigi.
Più che probabile che si sia parlato anche del braccio di ferro tra governo e magistratura. Nessuno lo conferma ma è probabile anche perchè le opinioni tra i due sono divergenti e stamani andrà in Consiglio dei ministri un nuovo pacchetto giustizia cn il bavaglio ai magistrati. Mentre in aula, alla Camera, mette piede per la prima volta la legge di riforma costituzionale che separa giudici da pm.