La politica aspetta il giudizio della Consulta. Il pelo nell’uovo. Amato dà una "spintarella" ai quesiti referendari
Se dichiarati ammissibili, potrebbero passare al vaglio dei cittadini nella prossima primavera
Al centro dell'agenda politica della settimana c’è l'attesa della decisione della Corte costituzionale sugli otto referendum che, se dichiarati ammissibili, potrebbero passare al vaglio dei cittadini nella prossima primavera. Martedì 15 febbraio è il giorno clou per conoscere la sorte dei quesiti, dopo una mobilitazione di massa e la novità della raccolta firme on line, a causa della pandemia. Gli otto quesiti approderanno davanti al plenum dei 15 giudici costituzionali, sotto la nuova presidenza di Giuliano Amato. Tra le possibilità in campo c’è che siano tutto o solo alcuni ammissibili, oppure che siano solo in parte ammissibili, o infine del tutto bocciati.
Sull'esito delle decisioni che assumerà la Consulta sono puntati i riflettori delle forze politiche, non solo Lega (giustizia) e Più Europa e Radicali (cannabis e eutanasia), tra i promotori e sostenitori, ma anche degli altri partiti, visto che alcuni quesiti coinvolgono direttamente il Parlamento, dove sono all'esame delle proposte di legge che affrontano i medesimi temi. Tra questi, c’è attesa soprattutto sull'eutanasia: la proposta di legge, dopo un iter travagliato e lunghissimo, è tornata in Aula, dove l'esame ha subito però un nuovo rinvio. E sul testo pesano le divisioni nette interne alla maggioranza, con le forze di centrodestra contrarie e gli ex giallorossi a favore. Il referendum rischia di arrivare prima...
Il pelo nell’uovo. Le parole di Giuliano Amato
“Dobbiamo impegnarci al massimo per consentire, il più possibile, il voto popolare”. E ancora: “E’ banale dirlo, ma i referendum sono una cosa molto seria e perciò bisogna evitare di cercare a ogni costo il pelo nell’uovo per buttarli nel cestino”. Quelle che il neo presidente della Consulta, Giuliano Amato – è stato eletto a tale carica, di durata annuale, mentre si votava il presidente della Repubblica - definisce “parole banali”, ‘stupendosi dello stupore’, non lo sono. affatto La Corte costituzionale sta per decidere – lo farà nella seduta ad hoc del 15 febbraio – sulla ammissibilità di ben otto referendum (li vedremo dopo: sei quesiti sulla giustizia, uno sull’eutanasia legale e uno sulla cannabis legale) che hanno messo le ali, nella raccolta firme, l’estate scorsa, anche e soprattutto grazie all’introduzione della firma digitale o Spid, ma su cui pende il giudizio di costituzionalità della Consulta, dopo quello, facilmente superato, di legittimità delle firme alla Corte di cassazione.
Ceccanti ‘interpreta’ le parole di Amato
Dalla Consulta ci tengono a sottolineare che non si tratta in alcun modo di un tentativo di fugare le voci circolate nei giorni scorsi, e riprese in primis dal quotidiano Il Messaggero, di una loro totale, o parziale (specie eutanasia e cannabis) bocciatura, così come non sarebbe una anticipazione preventiva di ammissibilità, cosa peraltro vietata. Tanto che lo stesso Amato aggiunge, prudente, che “Bisogna cercare di vedere se ci sono ragionevoli argomenti per dichiarare ammissibili referendum che pure hanno qualche difetto. Noi dobbiamo lavorare al massimo in questa seconda direzione perché il nostro punto di partenza è consentire, il più possibile, il voto popolare e non cercare il pelo nell’uovo…”.
Si tratta semplicemente, spiegano alla Consulta, di un approccio ‘costruttivo’, tanto che il neo-presidente della Consulta ha voluto che, l’udienza preliminare di martedì prossimo venisse aperta anche ai rappresentanti dei diversi comitati (la decisione, in camera di consiglio, sarà giovedì).
La pensa così anche il deputato dem e costituzionalista Stefano Ceccanti: “Amato ha richiamato un principio ermeneutico che dovrebbe essere scontato: nel dubbio, si decide a favore dell’esercizio di un diritto del cittadino. Un principio ben desumibile dalla Costituzione e che per questo non dovrebbe stupire nessuno”. Ma – aggiunte Ceccanti, contrario al quesito sull’eutanasia, da buon cattolico – “questo ovviamente non significa automaticamente che tutti i casi siano risolti a favore dei promotori”.
Le preoccupazioni dei comitati referendari
Certo è che i promotori (Lega e radicali sui sei quesiti sulla giustizia di meno, radicali e galassia di loro associazioni di riferimento su eutanasia e cannabis di più) da giorni sono assai preoccupati. Le voci che rimbalzano, e ricorrenti, sono di una sonora bocciatura almeno degli ultimi due quesiti, quelli su fine vita e cannabis legale.
Le paure sono accompagnate dal timore dei proponenti che la spinta di mobilitazione popolare che si è verificata nella fase della raccolta firme (1 milione e 200 mila firme sull’eutanasia, di cui 400 mila digitali e un milione di firme sulla cannabis, di cui oltre 600 mila digitali mentre i proponenti dei sei quesiti sulla giustizia, pur raccogliendo oltre 500 mila firme, hanno preferito prendere la via della presentazione tramite nove consigli regionali) possa creare un effetto collaterale dannoso anche per la consultazione sui temi della giustizia. Mancando, cioè, due quesiti su otto, e restando in piedi solo i sei sulla giustizia, ci sarebbe il rischio che i votanti non siano sufficienti al raggiungimento del quorum (la metà più uno degli aventi diritto al voto) necessario affinché i referendum siano validi. L’eventuale fallimento, per mancanza di quorum, e non per vittoria dei no sui si (improbabile), dei referendum sulla giustizia avrebbe conseguenze politiche forti e rappresenterebbe un grosso problema politico per il partito che, con i Radicali, si è esposto sul tema, la Lega di Matteo Salvini, che su questa battaglia ha puntato molto, ma da solo, senza il resto del centrodestra (FdI non ha firmato, FI è rimasta tiepida, pur sentendo molto il tema), e che si giocherebbe quel che resta della sua leadership.
Insomma, ne scaturirebbe un effetto a catena straniante, dalla bocciatura di due quesiti (eutanasia e cannabis), che, peraltro, vedono la Lega sulle barricate nel fronte del ‘No’ a tali temi, trascinandosi dietro anche la bocciatura, per mancato quorum, dei sei quesiti sulla giustizia.
Nei Palazzi romani alzano il sopracciglio…
Dall’altra parte, però, nota il quotidiano Domani, il rischio è interpretare le parole di Amato come se tutti i referendum saranno di certo ammessi. Per molti ambienti dei Palazzi romani, che hanno già alzato il sopracciglio, e ben due volte. La prima sulle parole stesse, pronunciate a sorpresa da Amato, perché si tratta di una ‘indicazione’ inaspettata per chi contribuisce a produrre la giurisprudenza della Consulta, che è giudice delle leggi e che è chiamata a orientarle alla luce dei principi costituzionali. E la seconda perché tali frasi sono state pubblicate in un comunicato ufficiale e rilanciate dai social della Consulta. “La decisione – dicono i critici – rompe qualsiasi regola non scritta della Corte, che è, e deve pure apparire, come organo imparziale”. Insomma, Amato si sarebbe prodotto in una ‘invasione di campo’ dello stesso organo che presiede e che deve decidere sulla legittimità di tutti i quesiti.
Alcuni giudici della Consulta si sarebbero detti “sbalorditi” dalle parole di Amato, sia perché non sarebbero stati avvertiti, sia perché la materia referendaria è spinosa e genera alta tensione interna in quanto la porta in contatto con la politica. C’è anche chi dice che Amato, in realtà, abbia voluto mettere le mani avanti rispetto alla scelta di dichiarare almeno due quesiti inammissibili causa l’orientamento ‘restrittivo’ della Corte, dove circolano, appunto, voci sulla quasi sicura inammissibilità di tutti e otto i quesiti o di almeno due su otto per ragioni legate alla loro – fumosa – formulazione e al rischio di creare aporie giuridiche. Il referendum sulla cannabis, per dire, fa rivivere il Testo unico sulle Droghe del 1990, bypassando le leggi seguenti. Il quesito sull’eutanasia si riannoda direttamente alla sentenza della Consulta sul caso del dj Fabo, saltando a pié pari l’attuale disegno di legge in discussione in Parlamento sullo stesso argomento. I quesiti sulla giustizia non tengono conto della riforma Cartabia, il cui iter si sta completando. Certo è che la decisione della Corte sarà, in un senso o nell’altro, presa come sempre sul filo della giurisprudenza e, dunque, vissuta per forza di cose, come “voler cercare un pelo nell’uovo”.
Le divisioni dei partiti sui quesiti referendari
Certo è che, se ammessi, i referendum segneranno nuove divisioni politiche tra i partiti, con la destra nettamente contraria a eutanasia e cannabis e a favore dei quesiti sulla giustizia, e sinistra a favore di eutanasia (ma la posizione del Pd potrebbe essere quella della “libertà di coscienza”) e contraria ai quesiti sulla giustizia mentre i 5Stelle, tanto per cambiare, sono e restano agnostici su praticamente tutti i quesiti, come si dichiarerà pure il governo Draghi. Infine, i referendum potrebbero segnare una nuova stagione di partecipazione popolare di massa, rispetto alle recenti stagioni di alto astensionismo. Sempre che, è ovvio, verranno ammessi e quali.
Di cosa si occupano esattamente i referendum
Ricordiamo che i sei referendum proposti dai Radicali e dalla Lega riguardano la giustizia. Il primo è sulla separazione delle carriere: il quesito è molto lungo e interviene su ben cinque differenti leggi, con l'obiettivo di cancellare del tutto la possibilità per i magistrati di passare dalla carriera di giudice a quella di pm e viceversa.
Il secondo è sulla responsabilità civile dei giudici: il referendum vuole cancellare l'attuale responsabilità civile "indiretta", in cui a pagare per eventuali errori giudiziari delle toghe è lo Stato, per darla su quella del giudice che sbaglia.
Il terzo quesito referendario è sulla legge Severino: approvata dal governo Monti, con la Guardasigilli Paola Severino e il ministro per la Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, riguarda le incandidabilità e decadenze degli esponenti politici impegnati nelle istituzioni. Il quesito non vuole cancellare del tutto il dl Severino del 2012. Toglie l'incandidabilità e la decadenza per i parlamentari nazionali ed europei e per gli uomini di governo in caso di condanna a più di due anni.
Nel quarto quesito, quello sulla custodia cautelare, prevale l'imprinting dei Radicali: si limita la possibilità di ottenere la custodia cautelare e si elimina quella per i delitti puniti nel massimo a 4 anni, fino a 5 anni in caso di carcere.
Il quinto quesito prevede la presenza degli avvocati nei consigli giudiziari (già presente nella riforma Cartabia, anche con diritto di voto). Libertà di presenza, e quindi anche di voto, nei consigli giudiziari per gli avvocati, che oggi godono del solo "diritto di tribuna" e quindi non possono intervenire e votare sulle valutazioni di professionalità dei magistrati per carriere e Csm.
Infine, è presentato come proposta anti- correnti il sesto quesito sull'obbligo di raccogliere le firme in base alla legge elettorale del Csm.
Mentre dall'Associazione Coscioni, appoggiata da Radicali e +Europa arriva il quesito sull'omicidio del consenziente (alias eutanasia).
L'Associazione Luca Coscioni di Filomena Gallo e Marco Cappato propone di 'ritagliare' l'articolo 579 del codice penale, dedicato, appunto, al fine vita, con minuscoli interventi normativi che, da un articolo in più punti, Si passa a un testo che cambia solo nelle prime righe: “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all'omicidio”, mentre restano le indicazioni sulle possibili vittime. Scompare dunque la pena - da 6 a 15 anni - e il riferimento alle circostanze aggravanti.
Ma chi è contrario al referendum sostiene che un intervento sull'articolo 579, eliminando qualsiasi cautela, possa portare a una dilatazione eccessiva dell'aiuto al suicidio attraverso l'intervento di una terza persona. L'aiuto, in questo caso, potrebbe trasformarsi in una vera e propria iniziativa del terzo, seppure con il consenso della persona che vuole morire. Un tema caldo, dunque, e anche molto controverso che solleva perplessità di giuristi, cattolici e non.
Sempre dai Radicali, sostenuti da +Europa e SI, arriva il quesito sulla liberalizzazione della cannabis, reato che viene depenalizzato ma solo se la sostanza non sia destinata allo spaccio. Promosso dall’Associazione Coscioni, dai radicali e da Meglio legale, il quesito cancella il reato di coltivazione della cannabis, di conseguenza sopprime le pene detentive, da due a sei anni, ed elimina anche il ritiro della patente. Se la Corte dovesse accettare i tre punti la conseguenza sarebbe quella che non ci saranno pene per chi coltiva la cannabis, mentre tutti gli spacciatori saranno sempre perseguibili.