Lacrime, rabbia, sorrisi e poltrone sontuose. Nell’hotel a cinque stelle si consuma l’agonia del Pd
Tra divani damascati e argenti d'epoca nello stesso, lussuoso albergo scelto da Berlusconi e Putin per i loro incontri al Grand Hotel Parco dei principi è andato in scena l'epilogo di un tormento

C'è almeno un elemento in comune fra chi resta e chi va: si è arrivati entrambi ad un punto di non ritorno. La fine del Partito democratico del 40 per cento - per come lo abbiamo vissuto fino a ieri ossia nel solco dell'Ulivo prodiano cattocomunista - è stata annunciata dopo che sull'assemblea del partito era già calato il sipario. Poche righe stringate - quando addirittura la kermesse si era chiusa con la mano tesa del capo degli scissionisti a non divorziare - firmate da Emiliano, Rossi e Speranza per dire a Matteo Renzi che la fine non era solo quella già ampiamente nota ma era senso senso, forse tanto assurda quanto evitabile. Da domani Renzi sarà il segretario dimissionario di un Pd che andrà al congresso al massimo i primi di maggio (la data sarà fissata dalla commissione di garanzia designata nella direzione di martedì) mentre la ex minoranza si farà partito e apparato preparandosi alle future elezioni.
Facce da funerale
Dell'appuntamento di oggi - consumato in una cornice sontuosa in stile craxiano - restano le facce da funerale dei big come Veltroni o Fassino gente che si è spesa appassionatamente per evitare un profondo dolore che precede il futuro incerto e nebuloso. Un futuro che rivela la sconcertante doppia natura di premio e punizione insieme. Ci si aggrappa ad immagini sempre più sfocate per sopravvivere o per ipotizzare sia pure con pallida e determinata nettezza la fotografia di un domani più felice. Sotto un cielo noncurante, fra divani damascati e argenti d'epoca - nello stesso, lussuoso albergo scelto da Berlusconi e Putin per i loro incontri - al Grand Hotel Parco dei principi è andato in scena l'epilogo di un tormento che durava da più di mille giorni ossia da quando Matteo Renzi l'uomo nuovo aveva osato scardinare diritti burocrazie stratificazioni di privilegi che appartengono ad una classe politica imperitura. Povero Renzi, voleva fare quel che non era riuscito a Mani Pulite nel 92: azzerare una prima e seconda Repubblica e costruirne una terza sulla base di una radicale riforma costituzionale. Ma come avrebbe potuto farcela, si chiede Antonio, delegato del Piemonte, barba curata e cravatta scura, stretto fra l'onda d'urto della protesta grillina e la resilienza insidiosa, capillare, puntuta della vecchia guardia? Forse Matteo lo ha capito solo ieri, ma la base - la sacrosanta base della sinistra democratica - aveva intuito fin da subito che la rottamazione sarebbe stata velocemente rottamata come nella miglior legge del contrappasso e senza attenuanti di sorta.
Non siamo capaci di volare
La platea della Sala Fernandes è variopinta. Sul palco ci sono Matteo Renzi fra Paolo Gentiloni e Deborah Serracchiani. Accanto a loro l'ex creatura di D'Alema Matteo Orfini presidente del Partito e da statuto anche reggente visto che il segretario Renzi si è dimesso. In prima fila sono seduti vicini Maria Elena Boschi e Piero Fassino. Lei sorride, ha la giovinezza dalla sua. Lui quasi piange perché l'addio stavolta è definitivo. Cesare Damiano, fassiniano, torinese, ministro del Lavoro nel governo Prodi 2 prova a sdrammatizzare mentre Gianni Cuperlo è fin troppo serio. Manca D'Alema e la sua assenza pesa come un macigno. Pierluigi Bersani racconta che la scissione non è una sorpresa. Se la aspettava, giravano certe mezze frasi a cui non si è prestata la giusta attenzione, sensazioni imprecisate trascuratezze minuti evaporati avvertimenti segnali premonizioni o dettagli. Marina Rosato filosofeggia "Siamo un agglomerato di dettagli. Siamo memorie che si accavallano, da una parte ci siamo noi renziani con i nostri sogni infranti e dall'altra ecco gli scissionisti con i sogni che si avverano. Siamo sulla stessa barca. Gente che va, gente che viene. Abbiamo un punto di convergenza in comune: andiamo tutti verso qualcosa che potrebbe rendere il mondo migliore". Teresa Bellanova ex bracciante di Ceglie, profondo alto Salento sale sul podio a ricordarci che dovremmo aver imparato a distinguere il bene dal male e a volare con le nostre ali. Avevamo avuto una fortuna immeritata, eravamo ad un passo dal cielo e stiamo tornando indietro. Colpa di una disattenzione o di una porta lasciata troppo aperta? Buona domanda, la giriamo ancora ai delegati. Laura di Arezzo, una bimba di 45 giorni che si porta dietro per la poppata, sostiene docilmente che "Matteo è stato troppo buono". "Ha sempre dialogato dopo il referendum, alla minoranza ha dato mille occasioni lasciando aperta una porta" aggiunge "ma le porte aperte in politica invitano ad entrare. Le cose spaiate si devono appaiare così come quelle rotte non possono che aggiustarsi. Noi lo sappiamo che oggi Matteo ha perso ma sappiamo anche che tornerà perché ha il partito che lo supporta e gli vuol bene".
La piadina di Deborah, i caffè di Miki
L'atmosfera è fuoco che ti brucia fra le mani- nelle pause dei lavori il bar al piano meno 1 viene preso d'assalto dai delegati, Roma è off limits per lo sciopero dei taxi e nessuno esce da questo albergo dorato e fortificato come una galera. Ma quel tramestio che ci ha accompagnato per anni alle feste dell'Unità o ai congressi del Partito, manca. Intorno a Renzi c'è solo silenzio. Silenzio dappertutto. Il silenzio diventa una voce. Matteo si rinchiude nella saletta Sforza, meno di 100 metri quadrati destinati alla pausa lunch dei suoi. Dentro ci sono lui Maria Elena, Dario Franceschini e il premier Gentiloni. Fassino sale al ristorante a salutare una vecchia amica. Deborah Serracchiani divora una piadina, per il resto solo frutta ed acqua minerale. Gli eretici con Michele Emiliano in testa solo al bancone del caffè. Forse non lo bevono neppure ma ordinano, si guardano senza passione, tutto è freddo asettico silenzioso. Non ci si riesce a togliere dalla testa il rumore del silenzio. Siamo ancor alle 14 ed Emiliano si colloca sul confine della mediazione. "Io un ultimo tentativo lo faccio " dice. Magari andasse bene, Dio voglia che Matteo di lasci convincere. Chissà poi se davvero i nostri vogliono il divorzio.
Un amarissimo caffé
Invece si, con i caffè arrivano i dati dei sondaggi riservati e la base vuole proprio staccarsi dal Pd di Renzi. Sarà stata la Banca Etruria o il referendum. Saranno stati il precariato o l'abolizione dell'articolo 18, gli 80 euri dati e ripresi - le tasse sempre troppo alte, i vitalizi mai azzerati del tutto una Rai tuttora lottizzata dai partiti. Ormai Renzi ha capito che le cose non si siatemeranno più da sole. Bisogna fare qualcosa. "È come con le tartarughe australiane " annota un delegato abruzzese "si incrostano di calcare e non riescono più a muoversi. Il solo modo per salvarle è pulirle con un cacciavite". Aggiustare tutto sarebbe impossibile per Matteo così come tornare a casa lo sarebbe per gli scissionisti. In fondo le cose vanno come devono andare. Anche la morte una ragione ce l'ha sempre.