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“Non mi vedi? Non ti sento!”. Nel Pd trattative frenetiche su date e regole congressuali

Si discute pure se collegarsi ‘da remoto’ o anche ‘de visu’. L’ultimo ‘caso’ è scoppiato domenica sera, per un annuncio – all’apparenza – del tutto ‘innocente’

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Segreteria del Pd (Ansa)
Segreteria del Pd (Ansa)

Da casa o de visu? L’ultima grana che scoppia è su ‘come’, in Assemblea, ci si deve incontrare. La soap opera ‘casa Pd’ prosegue come se non ci fosse un domani. L’ultimo ‘caso’ è scoppiato domenica sera, per un annuncio – all’apparenza – del tutto ‘innocente’. La convocazione dell’Assemblea nazionale, il solo organismo statutario che può ‘accedere’, al netto delle chiacchiere sui giornali, il percorso congressuale. 

La premessa 

Doverosa premessa. Il Pd ha un regolamento assai barocco, per quanto molto ‘democratico’: in pratica, il segretario, nonostante le primarie, viene eletto, e volendo può essere destituito, dentro l’Assemblea nazionale, suo massimo organo statutario, dove vengono eletti i delegati che, eletti sulla base delle mozioni congressuali e collegati al candidato segretario, sono i ‘deputati’ dell’Assemblea medesima e, sul segretario, come sullo Statuto, mantengono potere di vita e morte. Manco si trattasse del rapporto ‘fiduciario’ che esiste tra Parlamento e presidente del Consiglio. In pratica, il meccanismo funziona sulla falsariga di quanto avviene negli Usa (nel 2007 venne presa quella democrazia, a modello), dove il Presidente (cioè il segretario del Pd) viene eletto sì dal voto ‘popolare’ (le primarie), ma deve essere confermato e può esser sfiduciato dal ‘Congresso’, l’Assemblea nazionale, appunto. 

Barocchismi

Barocchismi, appunto, ma molto ‘democratici’. In ogni caso, si diceva della convocazione dell’Assemblea, annunciata con una nota ufficiale per sabato prossimo, 19 novembre. Tutto bene? Macché. La riunione che deve approvare le modifiche statutarie per far votare, al congresso, anche chi non è iscritto al Pd (genialata assoluta: un non iscritto al Pd potrà votare per eleggere il segretario del Pd! Cose che neppure un sofista greco del V secolo a.C. poteva inventarsi, di suo), come deciso dall’ultima Direzione del partito, nonché per accorciare l’iter congressuale che, da fine marzo, scavalla in anticipo a inizi febbraio, come pure è stato richiesto da molti esponenti, si decide che venga convocata solo on-line, cioè in modalità ‘remoto’, manco si fosse ancora in piena urgenza pandemica, il che, oggettivamente, non è. 

Critiche da chi non ama la modalità ‘remoto’

Apriti cielo! L’ex deputato Tommaso Nannicini(“Continuiamo così, facciamoci del male!”) e il capofila dei Giovani Turchi, Matteo Orfini (“Una cosa assurda”) sollevano il problema, che si può tradurre in: “di cosa avete paura?!”. Cioè, perché non ci volete dare la possibilità di dibattere (ergo, di scannarci), de visu, di persona? 

Oltre a Nannicini e Orfini, anche Roberto Morassut critica che l'Assemblea si tenga in modalità on line: va riconvocata in presenza per consentire una discussione politica, altrimenti "non parliamo né di fase costituente né di congresso". Per salvare capra e cavoli, il responsabile Organizzazione, Stefano Vaccari, precisa che la partecipazione sarà in forma mista. 

Urge, dunque, metterci una toppa, e così arriva, puntuale, la rettifica: l’Assemblea si terrà un po’ on line e un po’ in presenza. Insomma, chi vuole si collega da remoto, comodamente, seduto a casa davanti al proprio pc, e chi invece proprio vuole venire a Roma e litigar in pubblica piazza lo farà. 

Ma, fin qua, siamo dentro il teatro dell’assurdo. Poi c’è, o ci sarebbe la Politica, cioè le manovre delle varie correnti dem e le candidature a leader del Pd (o di quel che ne avanza, dati i sondaggi). 

Trattative frenetiche per evitare la spaccatura 

Per tutto il giorno, quello di ieri, si sono susseguite trattative frenetiche, in casa Pd, tra la segreteria e le diverse correnti dem per far si che l'Assemblea nazionale di sabato si concluda con l'approvazione unanime del percorso congressuale, evitando il rischio di contestazioni a quanto proposto dal segretario Enrico Letta e, quindi, di una spaccatura dirompente. Il tema dei tempi del congresso si incrocia con quello delle candidature come pure delle regionali in Lombardia e Lazio, su cui i dirigenti locali dem delle prime, e più importanti, due Regioni italiane si stan confrontando, eufemismo per ‘scornando’. 

L'Assemblea nazionale è convocata, come si diceva, per un adempimento tecnico, vale a dire per approvare una deroga allo Statuto del partito che consenta di svolgere prima del congresso una "fase costituente", quella proposta dal segretario Enrico Letta e approvata dalla Direzione. Tale fase è stata pensata per permettere a chi non è iscritto al Pd, siano esse singole personalità come Elly Schlein, che gruppi e partiti ‘esterni’ al Pd, come Articolo 1 di Roberto Speranza, di partecipare al congresso, che dovrebbe svolgersi tra gennaio e marzo e che, con ogni probabilità, si terrà invece a febbraio. 

La sinistra interna vuole un percorso ‘lungo’, le donne dem, invece, lo vogliono ‘veloce’…

Ma sono diversi i dirigenti, da Andrea Orlando a Gianni Cuperlo a Matteo Orfini, che contestano questo percorso e sono pronti a farlo anche nell’assemblea del Pd, sabato prossimo. "O si fa una fase costituente sufficientemente ampia tale da ridefinire l'identità del partito - ha spiegato Cuperlo - o si fa subito il congresso per eleggere il segretario". Insomma, una fase costituente di poche settimane non convince perché terrebbe il Pd a bagnomaria facendo perdere consensi sia verso M5s che verso il Terzo Polo ("questi due rubinetti vanno chiusi" dice Marina Sereni).

Eppure, ben 700 iscritte e dirigenti donne dem hanno firmato una petizione “per anticipare il congresso a gennaio", petizione che verrà portata, ha annunciato Alessandra Moretti, sabato in Assemblea. Un vincolo alle date del congresso e delle primarie conclusive sono le elezioni in Lazio e Lombardia, che presumibilmente si terranno il 12 febbraio 2023. Le primarie – se tenute in quella domenica o nella precedente - osservano dalla segreteria, sono improponibili perché le settimane precedenti al voto ci si dovrà impegnare nella campagna elettorale. Di qui il calendario proposto da Letta, con primarie finali in vista del congresso a metà marzo; ma di qui anche la controproposta dei gazebo da anticipare, invece, già a fine gennaio. 

La commissione congressuale e i ‘tempi’

Già a partire da oggi la segreteria aprirà le trattative con le diverse anime dem, anche per concordare i nomi della Commissione congressuale, organismo che ‘nasce’ solo in fase congressuale, cioè quando il segretario si dimette formalmente (e può farlo solo in seno all’Assemblea nazionale) e ‘regge’ il partito. 

La nuova road map dovrebbe essere questa: entro Natale i nomi di chi corre per la segreteria dovranno essere presentati, poi ci sarà un mese di discussione nei circoli con i conseguente ‘primo voto’ (quello tra gli iscritti, che però stavolta sarà aperto pure ai ‘non’ iscritti…) e, infine, il voto nei gazebo, cioè le primarie ‘aperte’ (a tutti tutti) a fine gennaio. 

Subito, in ogni caso, partirebbe la fase costituente, la cosiddetta "chiamata", ovvero il dibattito allargato ai non iscritti, a cui aderiscono la sinistra di Articolo 1 di Roberto Speranza, la stessa Schlein, i movimenti, i centristi di Demos, l'arcipelago di giovani organizzati dall'europarlamentare dem Brando Benifei in "Coraggio Pd" e altri movimenti ‘Occupy Pd’. 

Per fine gennaio il Pd dovrebbe avere eletto con le primarie il nuovo segretario e cominciare a correre e, soprattutto, voltare pagina e presentarsi come testa d'ariete dell'opposizione alla destra.

Ma, come si diceva, l’accelerazione non va bene a tutti, specie alla sinistra interna del partito. Una possibile mediazione, per non far fallire l'Assemblea di sabato - che verrà proposta da chi vuole stringere i tempi - prevederebbe di aprire la fase costituente, così da permettere a chi non è iscritto al Pd di partecipare il congresso, ma di svolgerla solo dopo le primarie, con l'impegno di tutti i candidati di farsene parte attiva. In questa prospettiva verrebbe concesso ai non iscritti al Pd, come Elly Schlein, di raccogliere le firme di supporto alla propria candidatura, non solo tra gli iscritti, ma anche tra i non iscritti… 

Elly crea più problemi di quanti ne risolve…

La verità è che se l’autocandidatura (“collettiva” come ama dire lei di se stessa) di Elly Schlein ha dato una bella scossa a un Pd che continua a rimestare l'acqua nel mortaio e che scende a precipizio nei sondaggi, sta creando più problemi di quanti ne potrebbe risolvere. Per Letta, la sfida di Schlein per la segreteria è benvenuta, ma il segretario non nasconde la sua preoccupazione. Letta, dunque, ora crede sia necessaria una accelerazione verso il congresso.Una decisione maturata al di fuori delle pressioni dei big del partito, dilaniati persino sui tempi congressuali.

Orlando, Nardella e gli altri che si muovono 

Solo che mentre Dario Franceschini – lui, ex Dc-PPI-Margherita-Pd di rito catto-democratico – è pronto ad appoggiare la corsa della ‘sinistra’ Schlein, la sinistra interna recalcitra, nutre dubbi, pensa e riflette. Anche perché il suo campione, Andrea Orlando, vorrebbe candidarsi lui o almeno farlo ‘insieme’ alla Schlein, che – per la sinistra – “si occupa troppo di diritti civili e poco di diritti sociali”. Invece, Franceschini vede bene un ticket con il sindaco di Firenze, Dario Nardella (ex Base riformista) che ‘coprirebbe’ la Schlein sul fronte destro, quello più moderato. Obiettivo: fermare la corsa di Stefano Bonaccini, ritenuto la iattura peggiore, la causa di tutti i mali, un vero Attila re degli Unni (così è, se vi pare…).  

Intanto, però, per la leadership del Pd anche gli altri, e diversi, sfidanti scaldano i motori. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, presentando il suo libro "La città universale" ha annunciato una convention di amministratori a Roma per il 26 novembre: vuole lanciare la sua candidatura con lo slogan "Protagonisti nel congresso". Stefano Bonaccini, il governatore dell'Emilia Romagna, è e resta il candidato super favorito e dovrebbe sciogliere a ore la riserva, compattando l'area riformista. Invece, tra i malumori della sinistra, c’è chi apprezza Schlein e chi no, come l'ex ministro Andrea Orlando, che resta dubbioso. In corsa, infine, ci sono già Paola De Micheli, ex ministra, e Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, che è partito con un tour in Italia prima di decidere. Infine, Brando Benifei è il nome degli under 40 del Pd che puntano al ricambio generazionale.

Le dure parole di Zingaretti contro Conte 

Nicola Zingaretti, ex segretario (che si dimise contro un partito che, secondo lui, pensava "solo alle poltrone") e governatore uscente del Lazio, dà a sua volta uno scrollone: "Non mi piace l'aria che si respira nel Pd, non possiamo solo aspettare il congresso. C'è un gruppo dirigente che potrebbe spiegare agli italiani chi siamo, dobbiamo creare più giustizia per le persone, il pianeta e le imprese", ha detto, domenica scorsa, a 'Mezz'ora più su Rai3. C'è, in effetti, da organizzare l'opposizione in Parlamento e alle Regionali del 2023 non fare regali alla destra. 

Sul Lazio il giudizio di Zingaretti contro il leader grillino, Giuseppe Conte, che ha strappato l'alleanza, è durissimo: "Questa idea per cui siccome c'è una linea nazionale dobbiamo distruggere tutto nei territori è folle. È un errore che la destra non fa mai: prima degli interessi di partito c'è l'interesse nazionale". Per l'ex governatore è "una danza immobile" quella delle opposizioni divise, in cui si dà un incredibile vantaggio alla destra. Comunque, aggiunge, "continuerò a cercare Conte (da lui definito, in tempi lontani, “punto fortissimo di riferimento dei progressisti”….), perché dico unità e continuerò a battermi per questo”.

Nel Lazio, al voto in febbraio, il centrosinistra rischia una débâcle. Ancora più ingarbugliata la situazione inLombardia, dove Renzi e Calenda tentano i dem con la candidatura di Letizia Moratti, già però respinta al mittente da Letta.

Resta aperta la questione delle Regionali…

Per quanto riguarda le Regionali, infatti, nel Lazio èAlessio D'Amato il candidato del Pd, sostenuto anche dal Terzo Polo, che ne ha lanciato per primo la candidatura, in verità: ieri ha detto di lavorare per ottenere l'appoggio anche di M5s, nonostante D’Amato si sia schierato in appoggio al termovalorizzatore nella Capitale, voluto da Gualtieri, su cui Conte ha detto ‘no’. La verità è che i 5Stelle andranno per conto loro, forse pure con l’appoggio di Verdi e Sinistra mentre il centrodestra si presenterà compatto. 

Il Pd del Lazio ha dunque deciso di puntare sull'assessore alla Sanità, Alessio D'Amato (sostenuto anche dal Terzo Polo), con tanti saluti al campo largo. Maggiori sono i problemi in Lombardia, dove il Pd è spaccato. Ma la carta a sorpresa può essere Pierfrancesco Majorino, europarlamentare del Pd, esponente della sinistra, che si è detto pronto a correre per la Regione, o Pierfrancesco Maran, assessore dem di Milano. Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori invita, però, a fare le primarie: "Io sono più vicino a Maran".

In Lombardia l'Assemblea regionale del Pd di ieri ha per ora discusso sui programmi, ma intanto sale la candidatura di Pierfrancesco Maiorino, dopo l'autocandidatura di Pierfrancesco Maran, mentre la consigliera regionale Elisabetta Strada ha lanciato quella dell'eterno Bruno Tabacci. Ma si staglia, comunque, la candidatura di Moratti (lanciata dal Terzo Polo) come terzo incomodo. E, candidare Tabacci, presidente di Regione, ma negli anni Settanta, oltre che per la Dc, sarebbe bello. Quasi quanto sostenere Moratti.

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
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