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Nello schema a “quattro punte” di Letta non c’è posto per Italia viva. Renzi: "Andiamo da soli"

Ieri è stato il giorno del centrosinistra. Letta lavora ad una alleanza tecnica con listone Democratici e progressisti, il “fronte repubblicano” di Calenda e Bonino e i civici (Sala, Di Maio, Tabacci). “Ci alleiamo in base al valore aggiunto” spiega. Italia Viva lancia la campagna "Give me five". “Siamo noi che abbiano portato Draghi a palazzo Chigi…”. Conte lancia il “campo giusto”. Oggi tocca al centrodestra

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Letta e Renzi (Ansa)
Letta e Renzi (Ansa)

Oggi poi ci concentreremo sul centrodestra perché è il giorno del Grande chiarimento tra Berlusconi, Salvini e Meloni. Hanno un piccolo problema: la leader di Fratelli d’Italia ambisce, giustamente, a diventare il primo premier donna di questo paese ma gli altri due non ci pensano neppure. Poiché però lei ha più voti di entrambi i due “soci”, la sua rivendicazione è tanto legittima (vale una regola non scritta) quando destinata a scansare trappole e sgambetti fino all’ultimo metro dell’ultimo miglio.  Meloni lo sa bene e ha le antenne molto tese e attente. Sarà interessate vedere come evolve e il punto di approdo di questa che al momento sembra la vera contesa nell’area del centrodestra.

Ieri però è stata soprattutto la giornata del centrosinistra dove ci sono molti candidati premier - si sono dichiarati Enrico Letta, segretario del Pd, e anche Carlo Calenda fondatore di Azione - di un’alleanza il cui perimetro però si modifica in continuazione. E sembra difficile parlare prima di premiership e poi di alleanze. Ed è stata anche la giornata in cui ha preso forma una specie di patto per escludere da ogni accordo Matteo Renzi e Italia viva.  Nella nebbia semantica che prevale in questi momenti, sia Letta che Calenda stanno facendo prevalere il presunto risultato di alcune rilevazioni interne che attribuiscono ad Italia viva nell’orbita Pd e/o di Azione uno scarso potere attrattivo.

Fare fuori Italia viva

Nella direzione allargata di ieri mattina il segretario ha usato alcune parole chiave: oltre agli ormai famosi “occhi di tigre”, indizio di coraggio e determinazione, ha usato la “nettezza dei colori nei quadri di Von Gogh” per spiegare “l’orgoglio di essere il Pd e di credere nella propria storia” e ha individuato il criterio del “valore aggiunto” come discriminante nel prendere o meno altri soggetti politici nella propria orbita. “Noi non mettiamo veti a nessuno però valutiamo il valore aggiunto del loro ingresso” ha detto Letta ieri mattina. E poiché con Calenda il segretario si è già a lungo confrontato, molti dei presenti hanno inteso questa sottolineatura come uno stop a Renzi e a Italia viva.  “Letta consumerà la sua vendetta con l’ex segretario e anche con quelli della corrente di Base riformista nel momento di fare le liste” era il tormentone ieri mentre l’aula votava il decreto Concorrenza e in Transatlantico si cercava di fare di conto nel combinato disposto infernale tra legge elettorale Rosatellum e taglio dei parlamentari.

Non è un caso se da ieri pomeriggio il leader di Italia viva ha concentrato il messaggio su “andiamo da soli” elencando alcuni temi insuperabili: non si può stare con chi nega l’utilizzo dei rigassificatori (Sinistra italiana e Verdi)  e considera intoccabile il reddito di cittadinanza; con chi vede nella patrimoniale e nell’assistenzialismo di Stato gli strumenti per combattere le disuguaglianze. Con chi ha ancora un’idea di giustizia legata al giustizialismo. Con chi in questi mesi ha negato la fiducia all’agenda Draghi o gli ha messo continuamente i bastoni tra le ruote. Come si fa a rivendicare di essere “il partito dell’agenda Draghi”  (Letta e il Pd) sapendo che Draghi è fuori dalla partita e imbarcando gente che quell’agenda non l’ha condivisa?

"Ci piacciono le sfide difficili"

Ieri sera anche Italia viva ha riunito i gruppi. La linea sembra essere confermata. Pochi giorni e i giochi saranno più chiari. Il paradosso sarebbe che il leader - Renzi - e il partito, il gruppo di uomini e donne - Italia viva - che nel gennaio 2021 nello stallo totale della lotta al Covid e della gestione del Pnrr hanno provocato la crisi di governo da cui poi ne siamo usciti con l’incarico a Draghi,  potrebbero non solo correre da soli per un presunto scarso appeal ma anche restare fuori dal Parlamento nella prossima legislatura. “Give me five” è il claim della campagna di Italia viva, datemi il cinque, il 5% per entrare in Parlamento. In realtà basta il 3%. I sondaggi danno Italia viva intorno al 2,5 per cento. “Andremo da soli perché amo le sfide difficili” ha detto Renzi ai suoi. Riguardo a Letta si è augurato che “la distanza sia solo politica e non si legata a motivi personali”. Su Azione e Calenda - che Renzi promosse prima ambasciatore a Bruxelles e poi ministro per lo Sviluppo economico, incarichi da cui poi ha preso il volo - “la partita dipende solo da lui, è una scelta non facile. Lui parla di doverosa scelta tra un'alleanza col Pd e la corsa al centro. Lasciamo che Azione scelga con molta libertà, con loro i contenuti sono meno distanti che con altri. Noi stasera ci riuniamo e iniziamo a preparare le nostre liste”.

Letta e le quattro punte

Quello che è chiaro al momento è che il segretario del Pd lavora su un'alleanza “tecnica” a quattro punte: la lista “Democratici e progressisti" del Pd, con dentro Art.1 e Demos; il “fronte repubblicano” di Carlo Calenda ed Emma Bonino; i rosso-verdi di Europa Verde e Sinistra italiana (che hanno condiviso con i dem tutto il percorso delle Amministrative); e un polo “civico” che metta insieme le esperienze politiche di Luigi Di Maio, Beppe Sala e Federico Pizzarotti. Alla direzione nazionale riunita in mattinata il segretario ha chiesto il mandato politico per provare a metterlo in campo. Non è un caso che, una volta ottenuto l'ok all'unanimità del parlamentino dem, il leader ha fatto il punto in quella che sente più di tutte la sua casa - la sede Arel - dove ha visto il sindaco di Milano e il ministro degli Esteri, fondatore di Insieme per il futuro. Le “quattro punte” sono il blocco necessario “per controbilanciare una destra antieuropea e ormai sovranista”. Al di fuori del “trio dell’irresponsabilità” e cioè  Conte, Salvini e Berlusconi, Letta intende tentare il dialogo con tutti. Ma Renzi lo vede alleato con Calenda più che con il Pd. Si tratta di un'alleanza “tecnica, di tipo elettorale”, dettata dalla legge elettorale, con l'obiettivo di essere in partita. “I programmi saranno diversi, lo sappiamo, ma il perimetro può essere comune” ha spiegato il segretario.

Letta intende andare a recuperare anche gli elettori moderati di FI, “traditi” dalla scelta “suicida” del partito. “Convinciamo una parte di elettori che hanno votato lì, o sarà difficile giocarsela solo con gli astensionisti. Dobbiamo toglierci dalla testa il ragionamento: se quello sta con voi non vi voto. O noi o Meloni vuol dire che o noi convinciamo con qualcuno che in passato ha votato per loro o noi questa sfida non la vinciamo”. Che è la fotografia esatta della situazione. Che fa un po’a  cazzotti però con il criterio del “valore aggiunto”. Per provare ad evitare “che volino gli stracci” come accadde  nel 2018 quando era Renzi a disegnare le liste, Letta prova a blindare un percorso fatto di tempi serrati e scelte trasparenti. Saranno i segretari regionali e le capigruppo Debora Serracchiani e Simona Malpezzi a fare una prima ricognizione, che dovrà concludersi entro il 2 agosto. Dopo una verifica con il segretario, che potrà anche - da regolamento - integrare le candidature con nomi “di dirigenti politici di rilievo nazionale e personalità espressione di importanti realtà della società italiana e portatrici di competenze, ovvero indicate da altre forze politiche con le quali il PD abbia stretto accordi politico elettorali”, le liste verranno messe ai voti di una nuova direzione nazionale, che si riunirà tra il 9 e l'11 agosto. Non potranno candidarsi i sindaci dei comuni con oltre 20mila abitanti e gli amministratori regionali in carica, eccezion fatta per chi - vedi Nicola Zingaretti - è all'ultimo anno di legislatura. Stop anche a deputati e senatori “che abbiano ricoperto la carica di Parlamentare nazionale per più di 15 anni consecutivi”. Sono previste deroghe per ministri e sottosegretari. La fotografia resa dai sondaggi è impietosa ma non impossibile. “Ci sono 30 collegi al Senato e 60 alla Camera da cui dipenderanno le elezioni. Siamo sotto di 5-8 punti, dobbiamo scegliere il candidato giusto” ha avvertito il segretario che chiede collaborazione e “non problemi e chiodi piantati in attesa di una soluzione”. Molti si sentono già fuori dal Parlamento. A discapito magari delle altre “tre punte ospitate”.

Il campo giusto di Conte

Il fatto è che se Letta strizza troppo l’occhio al centro fino a Forza Italia, rischia di perdere il fianco rosso-verde. Che potrebbe ancora allearsi con Giuseppe Conte. L’accordo con il Pd è molto avanti. Ma nelle prossime ore non ci dovremo stupire di nulla. Dopo essere scomparso tre giorni, ieri Giuseppe Conte è ricomparso tra gli olivi di casa. “Sono venuto qualche giorno dai miei genitori per ritrovarmi, recuperare energie e ripartire” è l’attacco di un video postato su Facebook intorno alle 20 ieri sera lungo cieca venti minuti.  “Hanno parlato tutti e adesso parlo io. Ci sarà una sorpresa, ci sarà un terzo incomodo: il Movimento 5 Stelle con la sua agenda progressista e sociale. Saremo soli, saremo il terzo polo, il terzo campo, il campo giusto”. E se “campo largo significa una svolta moderata del Pd, o proporre ai cittadini un progetto politico che va da Calenda e Renzi a Di Maio, fino a Brunetta e ai fuoriusciti di Forza Italia”, si tratta di  una “prospettiva che a noi non può interessare” perché sarebbe “un campo scarsamente coeso”. Il terzo incomodo potrebbe strizzare l’occhio alla lista Dema (De Magistris), Potere al popolo e  altre realtà ambientaliste. Conte come Melenchon, insomma. Vedremo. Nel  frattempo deve incassare le dimissioni del capogruppo alla Camera Davide Crippa e di tutto il direttivo Camera. Ci saranno ancora due settimane di lavori parlamentari prima della chiusura della legislatura. Il gruppo  parlamentare M5s non esiste nei fatti più. Imploso. E cinque anni fa è stato il più affollato gruppo della Seconda repubblica. Sarà una campagna breve. Ma le premesse dicono che sarà intensa e piena di colpi di scena.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   

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