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Il Pd riunisce i tre candidati alla segreteria ma sembra una riunione tra curatori fallimentari

Più che un confronto tra i candidati Elly Schlein Stefano Bonaccini e Paola De Micheli, al Nazareno si recita una messa da de profundis. Il Pd naviga sull’abisso e i venti di scissione aumentano

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Al Nazareno il confronto tra Elly Schlein Stefano Bonaccini e Paola De Micheli (Ansa)
Al Nazareno il confronto tra Elly Schlein Stefano Bonaccini e Paola De Micheli (Ansa)

Doveva essere un'assemblea di autoconvocati del Pd per riconfermare le radici dell'Ulivo prodiano e del Lingotto, in vista del congresso, ma dai toni sembrava una riunione di curatori fallimentari. Al Nazareno, sala Sassoli, le parole risuonate di più sono state proprio "rischiamo la liquidazione". Lo dice la capogruppo alla Camera, Debora Serracchiani. Lo dice l'aspirante segretario Paola De Micheli. L'altro candidato segretario, Stefano Bonaccini, parla di pericolo "irrilevanza, come è avvenuto in altri paesi europei", e qui il riferimento è ai socialisti greci e francesi. Il governatore campano, Vincenzo De Luca, proprio dopo l’esplosione del Qatargate è ancora più duro, al suo solito: “Il Pd negli ultimi 15 anni è stato nelle mani di un gruppo di miserabili”.

Walter Verini, l'animatore della discussione di ieri insieme a Stefano Ceccanti, Marianna Madia e Pina Picierno e altri ulivisti e riformisti della prima ora, ricorda i "sette milioni di voti persi dal 2008. La cornice da cui ripartire deve essere l'Ulivo del 1996 e il Lingotto del 2007. Il quadro lo decideranno le primarie". E allo spirito originario del Pd si richiama proprio Ceccanti nella sua introduzione ai lavori: i fondatori del Pd – spiega - avevano compreso quanto l'identità democratica andasse oltre la storia dei singoli partiti dai quali il Pd è nato. "Democratico rimane la parola più comprensiva per descrivere la nostra identità. Il congresso porta con sé conflitto e competizione: bene il lavoro istruttorio del Comitato Costituente, bene il lavoro deliberante che deve svolgere l'assemblea neoeletta, quella scelta con le primarie aperte, che sono il tratto distintivo non di un nuovo partito ma di un partito nuovo" afferma Ceccanti, rispondendo indirettamente a chi aveva avanzato la proposta di cambiare finanche il nome del partito. Insomma, i proponenti del confronto di ieri (Verini, Ceccanti, Serracchiani, Delrio, Madia, Picierno, Graziano), tutti animati da antichi spiriti ulivisti e riformisti, vogliono tornare al ‘mito fondativo’ del Pd e non buttare il bambino con l’acqua sporca per farlo diventare altro da sé, magari con i lavori di una Costituente dove prevalgono le spinte anti-liberal e socialisticheggianti della sinistra dem e di Art. 1 e che punta a far diventare il Pd un ‘partito del Lavoro’ magari guidato da Landini e alleato con Conte e i 5Stelle tagliando i ponti col riformismo. Ma cosa ne pensano i candidati alla segreteria?

Il confronto in punta di fioretto tra i candidati

Bonaccini difende l'autonomia regionale: "non regaliamola alla destra sovranista". Ma soprattutto rifiuta di cambiare nome al Pd e si propone di “costruire una grande forza progressista, riformista ed europeista che risponde oggi a un grande interesse nazionale". Insomma, Bonaccini vuole riprendersi “lo spazio politico-elettorale di un partito più grande e a vocazione maggioritaria”. Puro spirito riformista. E sulle questioni identitarie della sinistra, il governatore dell'Emilia Romagna ribadisce la sua visione progressista ma ben ancorata al presente: "Sento riproporre la contrapposizione tra capitale e lavoro come fossimo all'inizio del secolo scorso. Questo per me è surreale. Se questa analisi fosse vera con chi faremmo la doppia transizione ecologica e digitale?". Insomma, allontana ogni rigurgito vetero-socialista dal Pd.

De Micheli se la prende con "l'unanimismo finto delle nostre discussioni, la percezione è che il nostro obiettivo sia non cambiare mai, di raccontare un cambiamento che non avviene mai". Elly Schlein si augura una "forza aperta, tra partito e movimento", al contrario del governatore emiliano, che sul punto la pensa all'opposto: "Siamo un partito, non un movimento". Sempre la Schlein respinge l'idea di "una resa dei conti identitaria", ma promuove la costruzione di "un nuovo Pd", che salvaguardi il suo "prezioso pluralismo" senza rinunciare "ad avere una visione chiara" e "un'identità che sia comprensibile alle persone che incrociamo": bisogna "fare i conti col fatto che quelle persone che volevamo rappresentare forse non ci hanno più ascoltato". Di certo è la Schlein quella più sensibile al ‘nuovismo’, ad accarezzare persino l’idea di cambiare nome al Pd, magari per affiancare, nel nome, quello di ‘Partito del Lavoro’ come propone il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, suo supporter. Ma la Schlein è anche la candidata che di più intercetta, nel suo giro tra i militanti, lo schifo e lo sdegno per gli scandali che stanno travolgendo il Pd anche senza averne colpe dirette, la voglia degli iscritti di fare ‘piazza pulita’ brandendo la ‘questione morale’ di berlingueriana memoria. Lei è la più ‘nuova’ e viene percepita dai militanti come la più lontana dal vecchio apparato, anche perché si è iscritta da pochissimo e gode della purezza dei neofiti.

Di "Qatargate" parla, per paradosso, solo Letta

Nel dibattito di ieri, però, l'euroscandalo del Qatar è rimasto sullo sfondo fino a quando non è intervenuto il segretario uscente Enrico Letta, collegato da casa per un'influenza: "Siamo una comunità di gente per bene, che vuole pulizia e che da questo scandalo venga fuori trasparenza. Ribadisco che ci costituiremo parte lesa" al processo belga. "Serve un ricambio, una nuova classe dirigente. E un allargamento ad energie che sono fuori", ha rimarcato il leader dimissionario, difendendo il percorso costituente, "che non è una caricatura". "Il gruppo dirigente che arriverà farà meglio di me" sospira Letta. Gli altri, almeno ieri, tacciono, sul Qatargate, nessuno raccoglie la richiesta di pulizia che sale forte dai militanti. Eppure, tutti i candidati alla segreteria sono molto preoccupati per l’impatto del Qatargate sull’elettorato. Stefano Bonaccini pubblica la foto di Enrico Berlinguer e Benigno Zaccagnini per annunciare l’istituzione di una scuola di amministratori pubblici che rifletta e trasmetta i valori dei due leader, noti per la loro onestà. Elly Schlein senza avere colpe eredita il sostegno di Articolo 1 che, al di là della sigla, porta dentro il Pd l’impatto del Qatargate, si fa portabandiera della questione morale e di un repulisti generale.

Dibattito sottotraccia sulla data del congresso

Intanto, in sala irrompe il dibattito sulla data del congresso e delle primarie. Sia De Micheli che esponenti vicini a Bonaccini da giorni chiedono un anticipo rispetto al 19 febbraio, data prefissata per le primarie aperte mentre le primarie chiuse sono fissate per il 12 febbraio. Ma dalla mozione Schlein si augurano invece il contrario: di posticipare le assise di una settimana, al 26 febbraio, per distanziare il voto dalle elezioni regionali (12 febbraio) e, quindi, da due presumibili sconfitte. Un vero ginepraio. Anticipare il congresso a metà gennaio (il 22) come chiedono alcuni sostenitori di Bonaccini (Ricci, Orfini, etc.) avrebbe il merito di evitare di concludere l’intero percorso a ridosso delle regionali, ma comprimere troppo i tempi non si può e lo stesso Bonaccini ne è ben consapevole. 

De Micheli, poi, ha proposto di accorpare voto degli iscritti e voto dei non iscritti, facendo valere due il primo e uno il secondo. Un voto ponderato che, però, si muoverebbe in senso contrario alla necessità di aprire il partito alla società di cui si parla da sempre, ma che sembra un po’ accantonata in questa fase congressuale (ne ha parlato la sola Schlein). Ma c'è di più: sarebbero tanti i segretari provinciali a lamentare un certo affanno nell'organizzazione delle primarie degli iscritti. A riferirlo sono fonti parlamentari dem che avvertono: "Se chiediamo loro di anticipare, ci riconsegnano le chiavi dei circoli". Dunque, al di là delle richieste, il timing del congresso non dovrebbe cambiare. Quello che potrebbe cambiare, invece, è la durata della costituente. Enrico Letta si dice d'accordo sulla necessità di andare avanti con la discussione ben oltre l'elezione del nuovo gruppo dirigente. La risposta di Letta su questo non si fa attendere: "Giusto andare oltre il congresso con la fase costituente. Io accompagno questo processo per un respiro più ampio per la fase costituente”.

Il rischio scissione e il quarto nome, Cuperlo

Il timore è che, in ogni caso, ci sia più di qualcuno che, a congresso finito, possa fuggire via. Le fibrillazioni delle ultime ore in seno ai popolari e quelle che covano da tempo dentro la sinistra dem, fanno dire a fonti parlamentari dem che "i problemi veri arriveranno dopo le primarie". A seconda di chi vince (Bonaccini per i riformisti, la Schlein per la sinistra), la parte avversa potrebbe mollare, strappare, andarsene. Ma anche a prescindere da chi vincerà ci potrebbe essere, la scissione. In campo, al momento, ci sono Stefano Bonaccini, Elly Schlein e Paola De Micheli. Ma altri se ne potrebbero aggiungere, come ha sottolineato anche Enrico Letta nel suo intervento. Il nome che si attende è quello di Gianni Cuperlo. L'esponente della sinistra dem non ha ancora sciolto la riserva sulla sua discesa in campo. "Sto sentendo le persone che pensano e credo che sia il caso di compiere una scelta ragionata. E' questione di ore e scioglieremo l'arcano che poi tanto arcano non è” spiega il diretto interessato. Stando a quanto riferiscono fonti parlamentari, Cuperlo non sarebbe entusiasta all'idea di convergere su Elly Schlein, rappresentante "di una sinistra più movimentista, molto diversa da quella da cui proviene Gianni", e' l'analisi dei suoi. Avrebbe il sostegno di Goffredo Bettini che incita la sinistra “ad avere una presenza più diretta, dentro il congresso”, mentre Nicola Zingaretti – che pure non ama Stefano Bonaccini (“semplifica troppo”, dice) – tace e Andrea Orlandosembra più vicino alle posizioni della Schlein, ma potrebbe ripensarci, se davvero Cuperlo scendesse in campo.

A consigliare cautela a Cuperlo, oggi presidente della Fondazione del Pd, tuttavia, è il rischio di arrivare quarto, dietro ai due candidati dati come favoriti, Bonaccini e Schlein, e a De Micheli. Nel caso in cui, poi, dovesse scegliere di correre, a disposizione di chi metterebbe consenso ricevuto? "Non è detto che, a quel punto, appoggerebbe Schlein nella fase finale del congresso, quando ci saranno le primarie aperte. Anche se è molto distante da lui nei contenuti, Bonaccini potrebbe rappresentare un'alternativa a lui più congeniale". Dubbi che si vanno ad aggiungere a quelli sui tempi del congresso. I sondaggi che danno il Pd in caduta libera (second Swg crollato al 14,7%), infatti, alimentano le pressioni di chi vorrebbe anticipare i tempi. E' il caso di Matteo Ricci, sindaco di Pesaro schierato con Bonaccini, e di Paola De Micheli. La richiesta di Ricci provoca la reazione della sinistra dem che sostiene Schlein e che vede nel tentativo di anticipare le primarie un "mezzuccio" per sbarrare la strada alla candidata, data in forte crescita di consenso in questi giorni.

I malumori dei dem di origine "popolare"

Intanto, nei giorni scorsi è scoppiato pure il caso dei dem di estrazione Popolari-Margherita (Pierluigi Castagnetti in testa) contestano il lavoro del Comitato Costituente sulla Carta dei Valori. Se cambiasse, puntando a sinistra, finirebbero per sentirsi ospiti in un partito che non è più il loro. In effetti, non si può dire che l’operazione del parlamentino a 87 membri (ora 85) sia nata sotto i migliori auspici. Resta che gli ex Ppi, con Pierluigi Castagnetti in testa, minacciano di uscire dal Pd, perché "se cambia la carta dei valori, allora il rischio è che cambi natura il partito". I cattolici-democratici sono pronti allo strappo. La Costituente del Pd non ingrana. Rischia di infrangersi sugli scogli dei "distinguo" e delle differenze, del timore di trasformare il Pd in una ridotta della sinistra.

Castagnetti ammonisce sullo stravolgimento delle ragioni del Pd "che è il partito in cui si incontrano e si ascoltano culture politiche diverse" e che, se non fosse più questo, allora gli ex Ppi, di cui Castagnetti è stato l'ultimo segretario (è ora presidente dell'Associazione i Popolari), "ne trarrebbero le conseguenze": “avvertiamo che questo congresso può assumere decisioni che ne cambiano la natura e possono determinare un oggettivo tradimento di quell'originaria intenzione/intuizione che generò quella che nel 2007 venne percepita dal contesto politico nazionale ed europeo come la novità più significativa dal dopoguerra". Ma il tema è se convenga occuparsi di questo – così come del posizionamento dei candidati - quando fuori tutto o quasi crolla. “La situazione è drammatica. E il Qatargate può essere la tegola che fa crollare tutto, che distrugge il Pd nell’opinione pubblica”, dice il filosofo Massimo Cacciari all’HuffPost.

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