“Bene, bravo, bis!”. I partiti applaudono Mattarella ma continuano a litigare tra di loro e a rischio c’è la stessa tenuta del Governo
Il giuramento di Mattarella e i 52 applausi
E così, Sergio Mattarella ha giurato: da ieri inizia ufficialmente il suo mandato bis, nello stesso giorno in cui scade il primo settennato: la prima volta fu eletto il 3 febbraio del 2015 e, un anno fa, il 3 febbraio 2021 conferiva l’incarico di un nuovo governo al premier Mario Draghi, quando uno dice le coincidenze della Storia. Applausi e standing ovation hanno interrotto 52 volte il secondo discorso del capo dello Stato (rieletto sabato scorso con 759 voti all’VIII scrutino) tenuto, con grande solennità, davanti al Parlamento in seduta comune nell'Aula della Camera ornata con 21 bandiere tricolore e drappi rossi. “Non posso sottrarmi alla nuova chiamata, dobbiamo costruire l'Italia del dopo emergenza”, dice il capo dello Stato ai Grandi elettori che, prima di iniziare, si sono sottoposti tutti al tampone e una dozzina di loro sono risultati positivi, tra cui il leader della Lega Matteo Salvini (e, anche qui, quando uno dice le coincidenze…) e la ministra Fabiana Dadone.
Ricostruzione post-emergenza, reprimenda sulla giustizia, che sarà un tema caldo del suo bis, lotta alle disuguaglianze, unità del Paese, centralità del Parlamento sono stati i temi del discorso del Capo dello Stato. Dopo il discorso, la campana di Montecitorio che, come tradizione, ha suonato mentre venivano sparate 21 cannonate a salve dal cannone del monte del Gianicolo.
Accompagnato dal premier Mario Draghi Mattarella ha reso infine omaggio all'Altare della Patria con il cielo attraversato dalle Frecce tricolori. E poi, scortato dai Corazzieri a cavallo, e a bordo della Lancia Flaminia presidenziale, Mattarella ha fatto rientro al Quirinale per la cerimonia di insediamento. Poi, un colloquio di circa 40 minuti tra premier e capo dello Stato: il presidente del Consiglio ha presentato le dimissioni rituali, dette ‘di cortesia’, al nuovo capo dello Stato, dimissioni che, come da prassi, sono state respinte.
Il discorso spazia tra Ue, pandemia, riforme e ‘dignità’
Modernizzare e rendere più giusta l’Italia, che «è un grande Paese», combattendo la lotta contro il virus, «non ancora conclusa», e impegnandoci per la ripresa economica «con il concorso di ciascuno». Perno di questo passaggio cruciale cui «siamo tutti chiamati», deve essere «la stabilità, fatta di dinamismo, lavoro, sforzo comune». Ecco l’orizzonte che Sergio Mattarella indica al Parlamento, il discorso del suo secondo mandato.
C’è molto da fare, dopo che abbiamo attraversato la fase più acuta e luttuosa dell’emergenza, e il presidente non si fa remore a dettare – proprio con un tono prescrittivo - un’agenda delle priorità per il Paese. Al primo punto mette l’ancoraggio italiano all’Europa, della quale dobbiamo orientare «il processo di rilancio» dell’Unione, in modo di rendere «stabile e strutturale la svolta compiuta con la pandemia» e che ci vede nella veste di maggiori beneficiari del programma Next generation Eu. Serve dunque un nostro ruolo attivo, su tale fronte. Come serve nella delicatissima partita in corso sull’Ucraina.
Ma è sul versante interno che Mattarella si concentra di più, recuperando parole che, in questi termini, si sentivano da parecchio sulla centralità del Parlamento (assieme alle autonomie) come cuore della democrazia e della legittimazione politica. Certo, Mattarella non indica «percorsi riformatori da seguire» («non spetta a me»), ma non rinuncia a segnalare come «la forzata compressione dei tempi parlamentari» rappresenti troppo spesso un problema nel percorso di formazione delle leggi e si rendano quindi necessarie «nuove regole», per favorire «una stagione di partecipazione». E nuove regole servono poi sul versante della giustizia, tema sul quale il suo ragionamento si fa più incisivo e persino sferzante. Qui, infatti, il presidente sposa in pieno «le pressanti esigenze di efficienza e credibilità richieste a buon titolo dai cittadini», censurando le «logiche di appartenenza» (cioè lo strapotere delle correnti nel Csm, il Consiglio superiore della magistratura), dietro le quali si sono sempre riparate le toghe nelle loro scelte interne. Ed è uno dei motivi che hanno fatto vacillare la fiducia in un sistema che va quindi corretto – tra l’altro con le riforme annunciate dal governo - «recuperando un profondo rigore».
Infine, ecco una sequenza di esortazioni urgenti, che il capo dello Stato declina con la parola d’ordine «dignità». Toccando il mondo del lavoro, e in particolare le morti bianche, le disuguaglianze di genere, i giovani e l’occupazione, il razzismo e l’antisemitismo, la violenza sulle donne, il diritto allo studio, la povertà, le carceri sovraffollate, le mafie. Particolarmente toccante, alla fine, il ricordo del presidente del Parlamento Ue, David Sassoli.
Tanti problemi, a partire dalla tenuta del governo
Ma se ieri è stato il giorno dell'ovazione dei partiti per Sergio Mattarella, sullo sfondo resta la preoccupazione per la navigazione del governo.
I presidenti di Regione della Lega non hanno nascosto perplessità sull'atteggiamento assunto dal loro partito nel Consiglio dei ministri dell’altro ieri, con il mancato via libera al nuovo decreto Covid, perché – è la tesi - il governo ha risposto a quasi tutte le richieste dei 'governatori'. Tuttavia, nel fronte 'moderato' della Lega, di chi guarda a Draghi come il punto di equilibrio, anche se si invita a non terremotare il governo, si ribadisce che non c'è alcuna intenzione di contrastare la leadership di Salvini, che però resta sempre più scossa, periclitante. La preoccupazione è di evitare scossoni e che passi il messaggio che la Lega è la forza politica che destabilizza il quadro politico. In realtà, dopo lo stop sul decreto sulle regole delle quarantene, il 'Capitano' leghista ha spiegato che l'obiettivo è di restare dentro l'esecutivo. "Qui vivono in una bolla. Noi - osserva un 'big' leghista – abbiamo il polso dei territori e abbiamo avvisato Draghi. Qui tra 15 giorni non ci sarà più il Covid, ma i problemi resteranno. E toccherà al governo risolverli" la ‘minaccia’ anche dei leghisti realisti.
L'asticella della Lega si è alzata dopo il voto sull'elezione del presidente della Repubblica, perché Salvini continuerà a chiedere che ogni misura restrittiva anti-Covid venga eliminata.
La Lega è divisa ma tentata dallo ‘strappo’
Lo chiedono – è il convincimento dei 'big' del Carroccio – le aziende e i cittadini. Anche sul super green pass il partito di via Bellerio tornerà all'attacco. "E' inutile, rischia solo di bloccare il turismo e la ripresa economica", la tesi. Salvini è stato dal ministro dell'Economia Franco, ieri mattina dal responsabile dello Sviluppo Giorgetti (poi ha dovuto saltare la cerimonia di giuramento di Mattarella perché risultato positivo al Covid). Impegni "per occuparsi di lavoro", a suo dire.
La Lega comprende che c'è difficoltà a trovare fondi per fronteggiare il caro-bollette "ma - osserva un dirigente 'ex lumbard' - l'allargamento delle maglie anti-Covid è gratis". Dunque, non ci dovrebbero essere nell'immediato nuovi strappi ma il pressing, anche e soprattutto a far ripartire le opere pubbliche, sarà costante. Salvini era a conoscenza che Giorgetti avrebbe disertato il Cdm e sulla necessità di 'aprire' il Paese subito i due concordano, ma non sapeva nulla, spiega un 'ex lumbard', dell'incontro con Di Maio, in cui i due si sarebbero scambiati opinioni sul quadro politico in evoluzione, movimenti centristi in testa, e sulla tenuta del governo, sempre a rischio.
Al di là delle indiscrezioni secondo le quali Salvini avrebbe chiesto al numero due della Lega lumi sul faccia a faccia con il ministro degli Esteri e se può contare appieno sul suo apporto, restano intatte le difficoltà dell'approccio ad un esecutivo che - ha più volte detto Giorgetti – sarà esposto ai venti della campagna elettorale. "Sarà difficile per la Lega portare a casa risultati", ha osservato il ministro al Consiglio federale di tre giorni fa. Il suggerimento che arriva dal fronte moderato della Lega al leader è, però, sempre quello di rimarcare ciò che si riuscirà ad ottenere, piuttosto che ciò che divide.
Diversi ministri riferiscono che l’altro ieri - al di la' della decisione della Lega di non partecipare al voto sul decreto – il Consiglio dei ministri è stato 'soporifero'. Con Draghi che avrebbe cambiato passo anche dal punto di vista comunicativo, spiegando agli esponenti del governo che occorre rispondere non alle polemiche ma alle esigenze dei cittadini e di correre sul Pnrr. "Ha avuto un approccio molto più morbido", osservano le fonti.
L’altro problema di Draghi è la ‘tenuta’ dei 5s
L'altro fronte che preoccupa i 'governisti' delle forze politiche che sostengono Draghi è quello del Movimento 5 stelle. Intanto per la 'linea Conte'. Un 'big' del Pd è convinto che quando i nodi verranno al pettine, ovvero "quando dopo la pandemia verranno a galla i problemi sociali" l'ex presidente del Consiglio Conte si staccherà dall'esecutivo, "per rilanciare la sua leadership e ricompattare la pancia del Movimento". E poi c'è da risolvere il nodo del braccio di ferro tra Conte e Di Maio. Con il primo che oggi è tornato a chiedere un chiarimento davanti agli iscritti. Diverse le strade che sta valutando il presidente M5s: difficile quella del voto online, possibile invece una assemblea congiunta dei parlamentari o un discorso agli iscritti con il quale l'ex premier potrebbe indicare la strada che deve percorrere il Movimento invitando chi non ha intenzione di seguirlo a cercare un'alternativa, per la serie io non trattengo nessuno. Un invito alla scissione…
La contesa tra le due parti è in corso, con una partita che - teme chi non parteggia né per uno schieramento né per l'altro - si potrebbe giocare anche tra dossier scomodi per screditare vicendevolmente i protagonisti della battaglia. Ma non sono solo i dimaiani ad essere convinti che anche dal Movimento 5 stelle arriveranno sempre più 'paletti' all'azione del governo. Di sicuro ci sarà una difesa strenua sul superbonus e sul reddito di cittadinanza. Ieri pomeriggio si è tenuta una assemblea M5s al Senato molto movimentata. I toni si sono alzati, alcuni senatori promotori della 'campagna per Mattarella' sono finiti nel mirino, uno di loro è stato anche aggredito verbalmente. E si è avanzata la richiesta al capogruppo di bussare alla porta dei vertici per indire un'assemblea congiunta in presenza.
La ‘forza tranquilla’ del Pd è preoccupata…
Il Pd, invece, nel post-voto sul Quirinale non intende alimentare scontri ma teme di vedere un film già visto, ovvero di doversi ergere a difesa di Draghi più o meno in solitudine. Il segretario Letta è preoccupato per le sorti del governo e per questo motivo non pone ultimatum. D'altra parte, già ieri, dal quartier generale dem si faceva notare che quanto accaduto in Cdm rischia di aumentare l'instabilità e di creare nuova confusione nel Paese. Dunque, anche sull'onda del discorso del Capo dello Stato, si tenterà di evitare ulteriori tensioni nella navigazione del governo e della maggioranza affinché quello di ieri in Consiglio dei ministri sia soltanto un "incidente" e non un primo assaggio del clima che si registrerà nelle prossime settimane.
A maggio - non è stato ancora fissato quando - ci saranno le amministrative in molte città importanti e l'obiettivo di Draghi, secondo quanto ha confidato a diversi ministri, è di cercare di compattare la maggioranza, di evitare scossoni e di rilanciare l'azione riformatrice, a partire dalla messa a terra del Pnrr.
Il prossimo appuntamento sono le comunali
Ma nei partiti si litiga. Non sarà facile per esempio ricomporre l'ex fronte rosso-giallo, dato che nel Pd ci si fida sempre meno di Conte. E non sarà semplice neanche per Lega e Fdi deporre l'ascia di guerra e trovare un accordo sui candidati alle amministrative. Anzi, le giunte traballano. La Lega ha avvertito Toti e FdI: senza alleanza ci saranno conseguenze a livello di governo degli enti locali. Ma Fratelli d'Italia ricorda come a rischiare siano soprattutto i sindaci del partito di via Bellerio. Forza Italia, continuando ad appoggiare fermamente il governo, si è spostata al centro ma l'operazione 'moderata' rischia di andare a rilento, anche perché sulla legge elettorale non c'è accordo. All’ampio fronte dei proporzionalisti (i centristi vari, il Pd, i 5s) si contrappongono ora non i maggioritaristi ma i frenatori per la serie “le priorità sono altre” (si va dai due Mattei, Renzi e Salvini, a Tajani e Letta).
Insomma, è vero che Mattarella ha indicato la strada, sottolineando tra l'altro la centralità del Parlamento, e che tutti i partiti hanno elogiato le sue parole, ma le fibrillazioni emerse nella partita del Colle sono destinate, il convincimento è unanime, a aumentare, non certo a diminuire.