La partita dei delegati regionali. L'ipotesi (remota) di nomi della società civile per la presidenza della Repubblica
Comunque vada, stavolta, quello dei delegati regionali sarà un successo. Non foss’altro che per il loro numero che in una situazione così frammentata peserà

L’abbiamo detto: questo è il Parlamento più ingovernabile di sempre chiamato ad eleggere un presidente della Repubblica. Per una serie di motivi: a partire dal fatto che un collegio elettorale così ampio (945 deputati e senatori, cinque senatori a vita, un senatore di diritto e a vita, 58 delegati regionali, probabilmente con un deputato in meno perché le suppletive per eleggere il successore di Roberto Gualtieri nel collegio di Roma centro non si saranno ancora svolte) è alla sua ultima apparizione, visto che dalla prossima volta i grandi elettori saranno quasi un terzo in meno per il taglio di deputati e senatori.
Un deputato su tre è stato “cancellato” dal referendum
E, camminando per i Transatlantici di Montecitorio e di Palazzo Madama, spesso si ha l’impressione di camminare in mezzo a zombi che sanno che, al massimo alla scadenza naturale della legislatura nel marzo 2023, saranno in moltissimi a non tornare mai più in Parlamento per un doppio ordine di motivi: in primo luogo perché uno su tre è stato “cancellato” dal referendum; in secondo luogo perché alcuni partiti, con una rappresentanza parlamentare fortissima, sono stati “cancellati dagli elettori”: su tutti MoVimento Cinque Stelle che nel 2018 prese il 33 per cento abbondante dei voti e Forza Italia che è ancora forte nelle Camere, ma dimezzata nel Paese rispetto alle ultime elezioni, senza contare i partiti nati in Parlamento e non ancora misurati sulle schede elettorali.
Addio a chi era legato alle vecchie segreterie PD e M5s
E poi c’è un’altra categoria, ulteriore, quella dei parlamentari legati a vecchie segreterie: nei Cinque Stelle quelli dell’era pre-Conte, nel Pd i renziani di Base riformista che Enrico Letta sta man mano emarginando dalla gestione del partito e via di questo passo. Insomma, le elezioni del 2018, da questo punto di vista sono proprio un’altra era geologica applicata alla politica.
Il gruppone centrista
La seconda variabile è quella del gruppone centrista che si potrebbe coagulare prima delle elezioni per il Capo dello Stato: renziani di Italia Viva, calendiani di Azione, radicali fedeli a Emma Bonino, piddini riformisti, azzurri a disagio se Forza Italia dovesse saldarsi nuovamente ai sovranisti, seguaci di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro in Coraggio Italia, forse anche i lupiani di Noi con l’Italia e una serie di parlamentari “apolidi” nei rispettivi gruppi Misti di Camera e Senato.
Candidature presidenziali a confronto
E’ chiaro che una forza del genere, che per ora fa parte del genere letterario dei retroscena parlamentari, quasi un periodo ipotetico della possibilità più che della realtà, sposterebbe molto gli equilibri e sarebbe il più forte puntello alla candidatura di Pierferdinando Casini o a quella di Dario Franceschini, nel caso in cui la prima non raccogliesse il numero di voti necessari a destra.
La fiera dei franchi tiratori
Insomma, un quadro che appare del tutto ingovernabile, anche per la particolare maggioranza necessaria per eleggere il Capo dello Stato, per il voto segreto che amplifica il fenomeno dei franchi tiratori e per il fatto che, tranne un bis, magari a termine, di Sergio Mattarella – che però ha espresso più volte la sua indisponibilità – al momento non si vede un nome unificante, nemmeno lo stesso Mario Draghi, certamente più decisivo a Palazzo Chigi in questo quadro.
Le regole
Recita infatti l’articolo 83 della Costituzione: “Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.
All'elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato.
L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”.
Il nodo dei delegati regionali
E proprio il secondo comma, quello sui delegati regionali, rischia di essere importante come non mai: da un lato perché, per la prima volta, i delegati regionali del centrodestra sono in larga maggioranza con uno scacchiere di Regioni vinte da governatori di Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e civici di centrodestra mai ampia come oggi; dall’altro perché in questo quadro 58 voti sono tanti.
Il precedente Napolitano
In occasione dell’elezione bis di Giorgio Napolitano, nel suo messaggio di accettazione del secondo mandato (a tempo), il presidente della Repubblica disse espressamente che a convincerlo era stato anche il fatto che la richiesta arrivava in modo quasi unanime dai territori e dai delegati regionali.
Ma qui si apre un’altra possibilità: la Costituzione parla genericamente di “assicurare la rappresentanza delle minoranze”, frase che – Valle d’Aosta a parte – ha portato a un “quasi automatismo” che manda a Roma a votare come grandi elettori generalmente il presidente della Regione, il presidente del Consiglio regionale e un consigliere di opposizione che di solito è il vicepresidente del Consiglio regionale, il ruolo più istituzionale a disposizione.
I tentativi di cambiare schema
Eppure, negli ultimi anni ci sono stati alcuni tentativi di cambiare lo schema o alcuni fatti particolari: ad esempio, nel 2006 in Campania i quattro consiglieri più votati erano tutti di maggioranza e si dovette scendere fino al quinto per preferenze (il primo dell’opposizione) per trovare il terzo delegato regionale. O, ancora, l’ultima volta, quando in Sicilia il MoVimento Cinque Stelle, nonostante fosse il primo partito dell’isola, non ebbe rappresentanti perché Pd e Pdl si misero d’accordo in una spartizione dei delegati, formalmente possibile perché un partito era in maggioranza e l’altro all’opposizione.
Il caso Renzi
Resta un ultimo passaggio: nella storia della Repubblica mai nessuna Regione ha scelto un delegato al di fuori del Consiglio regionale. C’è andato a un passo Matteo Renzi, che avrebbe potuto essere eletto dalla Regione Toscana quando era sindaco di Firenze e segretario del Pd, ma nemmeno quella volta si riuscì a rompere un gioco che va probabilmente anche contro la volontà degli stessi padri costituenti che, esattamente come per i senatori a vita, avrebbero voluto aprire alla società civile.
Il ruolo delle Regioni
E chissà che, stavolta, si frantumi questo schema che spesso si gioca a livello nazionale quando le coalizioni si incontrano e decidono di assegnare x delegati a Caio, y delegati a Tizio, e z delegati a Sempronio. A quel punto, gli stessi delegati sono “sciolti” nelle varie Regioni a seconda dei ruoli ricoperti dai vari uomini dei rispettivi partiti (e non di rado delle rispettive correnti) nei singoli consigli regionali.
L'ipotesi di aprire alla società civile
Ecco, la scommessa per le presidenziali 2022 potrebbe essere quella di aprire alla società civile e, ad esempio, un modello potrebbe arrivare dalla Liguria che è spesso apripista e laboratorio di vicende nazionali: è in Liguria che è morto il governo D’Alema con la sconfitta alle regionali; è in Liguria che è iniziato il declino di Matteo Renzi, anche in questo caso con la vittoria di Giovanni Toti; è in Liguria che lo stesso Toti e Brugnaro hanno iniziato le prove di un partito moderato e civico che rifugga ogni estremismo in nome di Draghi e della scienza.
Il totonomi
E proprio dalla Liguria potrebbe partire un progetto di nomi “civici” come grandi elettori, magari a partire da Matteo Bassetti che oggi è in prima fila come difensore dei vaccini ed è costretto a girare protetto per le minacce di una minoranza rumorosa e potrebbe essere proprio un’immagine “civile” e simbolica da contrapporre a vecchi riti della politica e a contabilità di Palazzo.
E c’è già un “partito” di costituzionalisti e intellettuali che vorrebbe che andassero a Roma, da ogni Regione, nomi della società civile.
Comunque vada, stavolta, quello dei delegati regionali sarà un successo. Non foss’altro che per il loro numero che in una situazione così frammentata peserà.