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“Marciare divisi per (non) colpire uniti”. Le opposizioni si dividono persino sulla pace

Aderiscono pure i giornalisti. Lo stanco copione delle manifestazioni ‘pacifiste’ e i politici ‘cittadini’ che si offrono alle telecamere

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Bandiera della pace
Bandiera della pace (Foto Ansa)

Aderiscono pure i giornalisti: Fnsi, Ordine, Associazioni di Stampa regionali da Roma in giù. Ma alle manifestazioni pacifiste – da quando Mondo è Mondo – va così: piano piano arrivano le adesioni di tutti, mai nessuno che si tiri indietro o che dica – horibile dictu – ‘siamo per la guerra’. E così, ci sono le organizzazioni cattoliche (tutte, o quasi), quelle laiche (tutte tutte), le varie ‘Reti’ per il Disarmo, che ancora esistono (evviva!), i sindacati – che rappresentano i lavoratori, dovrebbero occuparsi di contratti, ma si sono sempre occupati dello scibile umano – le coop, le associazioni di volontariato, il Terzo settore.

I partiti fanno a gara a chi arriva prima 

Poi, ovvio, ci sono i partiti. E qui diremo poi, meglio, che Conte e i 5Stelle sono arrivati ‘prima’ di tutti gli altri, il Pd si è accodato, nel suo ormai ‘solito’ modo, maldestro, confuso, balbettante, dicendo ‘sì, ci siamo pure noi’, la sinistra radicale, ovviamente, era già in piazza, solo che non se n’è accorto nessuno, invece il Terzo Polo manifesta altrove (a Milano) in nome del sacrosanto diritto dell’Ucraina ad esistere. Ma, per quanto riguarda i partiti ‘pacifisti’ ci saranno ‘senza bandiere’, per carità, non sia mai, pare brutto, poco elegante. Ma ci saranno pure loro e i giornalisti – gli stessi di cui sopra – gli scappa sempre il riflesso condizionato, ogni santa volta, di andare a cercare, in piazza, solo loro: big e non, leader e leaderini, per ‘brevi’ dichiarazioni che inondano i tg di vuote parole. Con buona pace delle associazioni (poco note) e dei loro leader e segretari che sono mesi che si impegnano a farla riuscire, la manifestazione per la pace, e poi i partiti – incapaci di mobilitare chicchessia, da decenni – ne raccolgono i frutti.

Il problema  della ‘piattaforma’

Poi, ci sarebbe un ‘piccolo’ problema, quello che riguarda la ‘piattaforma’ della manifestazione. E’ un problema antico, quello delle ‘piattaforme’: bisogna concordarle, limarle, studiare le virgole, gli incisi, le parentali, un giusto, sapiente, dosaggio: a volte viene bene, a volte vien male. Questa volta, per la manifestazione pacifista del 5 novembre (si tiene a Roma, parte da piazza della Repubblica, luogo di ritrovo storico, poi arriva fino a piazza San Giovanni, altro topos sinistrorso), è uscito così così: né bene né male. C’è la condanna dell’aggressione dell’Ucraina, e ci mancherebbe pure, ma c’è pure la richiesta di “pace subito”, “senza condizioni”, sembra quasi il “pace senza annessioni” di altri periodi storici, in ogni caso se non si può accusare i pacifisti di ‘filo-putinismo’ (sarebbe ingiusto, pure ridicolo), un tasso di ambiguità resta, un tasso di incertezza su ‘come’ comportarsi di fronte a un aggressore (che c’è, senza ombra di dubbio, ed è la Russia) che calpesta i diritti dello stato sovrano aggredito (l’Ucraina), ecco, questo tasso di ambiguità il fronte pacifista ce l’ha non riesce a toglierselo di dosso.

A tacer del fatto che, ovviamente, secondo i pacifisti di invii di armi italiane all’Ucraina (il neo-ministro alla Difesa, Guido Crosetto, ieri ha annunciato il sesto, già autorizzato dalle Camere) non vogliono neppure sentire parlare. Devono ‘fermarsi’, interrompersi e gli ucraini – forse, chissà – difendersi con le fionde, gli archi, le frecce, oppure entrare in modalità ‘non violenta’, cioè praticare gli insegnamenti di Gandhi, ecco, il che può anche essere un’idea, ma ha funzionato una volta sola (in India contro l’Impero inglese), non è mai stata praticata altrove, e tanto basta.

Ma qui – i pacifisti ‘irenici’ non ce ne vogliano - si entra in un terreno minato, in terra incognita, quella della diplomazia, della realpolitik: cosa vuol dire, concretamente, bisogna “fermare la guerra”? Il principio, in sé, è lodevole (chi mai vorrebbe che una guerra continui senza tregua, senza un domani? Forse solo dei novelli dottor Stranamore, che pure esistono, ma hanno – almeno i migliori – sacro orrore dei loro pensieri), ma poi scattano le domande delle cento pistole.
L’Ucraina dovrebbe accettare il ‘fatto compiuto’ dell’annessione della Crimea? E delle province del Donetsk e del Donbass? E dei territori che, ancora oggi, l’esercito ucraino sta riconquistando, palmo a palmo, agli invasori russi? Che, poi, saranno davvero stati degli ‘invasori’, sti’ russi?

Non è che l’Ucraina, foraggiata ed equipaggiata dalla Nato, dagli Usa, dalla Gran Bretagna, persino dalla Ue, li ha troppo coccolati, incitati, vezzeggiati, spinti a resistere un pochino troppo? Certo, non sono domande peregrine. Si può, volendo, discettare di come l’Occidente ha difeso, incitato e pure armato le ex nazioni dell’ex patto di Varsavia, le Repubbliche baltiche e non solo, gli ex Stati membri della disciolta Urss di Stalin.

Alcune domande, non peregrine, di realpolitik

Ma qui entrerebbero in gioco altre questioni, altri temi, la Storia, la Geografia, la Politica, la tendenza insopprimibile dell’Orso Russo (così veniva rappresentato nelle cartine dell’Ottocento) che si vuole ‘mangiare’ l’Europa, la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, paci seguenti alle guerre scritte sulla sabbia con confini illogici, la politica di ‘contenimento’ del pericolo comunista, la fobia per i russi (pure comunisti) e, dopo, per i sovietici, e – dopo ancora – per i russi, la politica di potenza (dell’Urss come degli Usa), il pericolo nucleare, la corsa agli armamenti, gli stati cuscinetto, fino a risalire alle invasioni, sul sacro suolo russo, di Napoleone e di Hitler, che hanno reso ‘diffidenti’ (con qualche ragione) i russi ogni volta che qualcuno si affaccia alle porte, i loro milioni di morti, la Grande Guerra Patriottica, gli eccidi dei comunisti e le stragi dei nazisti, i campi di sterminio, la Shoah, le fosse.

Il pacifismo è ‘una religione’ 

Insomma, non se ne esce più. Invece, il pacifismo ha di bello che è un mantra, una religione. Non a caso ci si raccoglie quasi sempre sotto le bandiere della Chiesa e, in particolare, del Papa. E, neppure stavolta, si fa eccezione: anzi, questo Papa, Papa Francesco, raddoppia, rilancia e, senza imbarazzi, sovverte secoli di dottrina cattolica che sosteneva la legittimità della ‘guerra giusta’ (la teoria viene da Sant’Agostino, poi sistematizzata da San Tommaso d’Aquino, passa nel pensiero dei giureconsulti cattolici, per lo più gesuiti, del 500 e del 600, arriva fino a noi) il quale Papa, oggi, dice – a differenza di altri Papi compreso Giovanni Paolo II, che pure si era posto alla testa di ben due grandi ondate pacifiste, quella del 2001 (I guerra contro l’Iraq) e del 2006 (II guerra all’Iraq) in nome del ‘no’ alla guerra, ma che legittimò, per dire, l’operazione dell’Onu in Bosnia contro gli eccidi etnici – che “non esistono guerre giuste, c’è solo la pace”.

Parole, affermazioni, teorie ‘papiste’, che non ammettono dubbi, distinguo, incertezze. E’ tutto bianco o nero: w la Pace! Abbasso la Guerra! Infatti, la posizione di papa Francesco sulla guerra è davvero innovativa, originale, di portata rivoluzionare quanto, però, apodittica, estrema. Dire no alla “bestemmia della guerra e all’uso della violenza” – dice il Papa, che ieri partecipava alla sessione conclusiva del Forum su “Est e Ovest per la convivenza umana”, presenti anche il re del Bahrein, Hamad bin Isa bin Salman Al Khalifa, e il grande imam di Al Azhar, Ahmed al Tayeb - è un dovere per tutti gli uomini religiosi. Specie in un mondo in cui “si gioca con il fuoco, con missili e bombe, con armi che provocano pianto e morte, ricoprendo la casa comune di cenere e odio”. No, dunque – continua - a “visioni dispotiche, imperialiste, nazionaliste e populiste” il grido. In primo luogo c’è la condanna senza appello della guerra: per papa Francesco, bisogna “abitare la crisi senza cedere alla logica del conflitto”. Per questo il Papa ripete il suo "accorto appello perché si ponga fine alla guerra in Ucraina e si avviino seri negoziati di pace". E aggiunge: “non basta dire che una religione è pacifica, occorre condannare e isolare i violenti che ne abusano il nome” come “non è sufficiente prendere le distanze da intolleranza, estremismo”. Una piattaforma, oggettivamente, perfetta, quanto, però, assai radicale, per il pacifismo, sia laico che, ovviamente, per quello cattolico.

“La pace non è mai gratis”

Ma, per una di quelle palingenesi rivoluzionarie che fanno la Storia, prova a entrare in medias res delle contraddizioni – e, anche, delle ragioni – un uomo di destra (liberale) che, oggi, fa il ministro alla Difesa, lì voluto dal premier Giorgia Meloni e pure dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella,Guido Crosetto. Il quale – fino a ieri – faceva tutt’altro e – incredibile a dirsi! – era il presidente dell’Aiad, le imprese di Confindustria militari comprese, che si occupano di aereo-spazio e che ha rappresentato per anni, oltre a conoscere alla perfezione il sistema Difesa: è stato consulente di Leonardo, presidente di un’altra società, Orizzonti sistemi navali, nonché sottosegretario alla Difesa di FI nel IV governo Berlusconi. E, insomma, uno potrebbe dire ‘ma da che pulpito viene la predica?!’. Il problema è che la ‘predica’ di Crosetto coglie molto nel segno. Il ministro, in una intervista rilasciata, non a caso, al giornale dei vescovi italiani, Avvenire, e proprio il giorno prima della manifestazione del 5 novembre, non solo ‘non’ irride le ragioni del pacifismo, ma dice che le comprende e con loro vuole interloquire.

Crosetto afferma di ammirare i pacifisti che oggi sfileranno a Roma, anche se "in quella piazza "non ci sono adesso, non ci sono mai stato prima e forse mai ci sarò, perché affrontare il mondo con la responsabilità di dare risposte possibili ti costringe a fare i conti anche con qualcosa che non ti piace". "Guai, però, spiega, se qualcuno provasse a utilizzare quel grido limpido e quella piazza pulita per sferrare un attacco politico. Quella piazza che chiede pace non può essere un bastone per colpire un avversario politico". E qui ce l’ha, dichiaratamente, con Conte che lo accusa di avere ‘conflitti d’interessi’, per le sue attività (tutte lasciate) ‘conflitti’ che, tuttavia, non ha, come ha dimostrato più volte, in questi mesi, e che lo tratta alla stregua di un “mercante d’armi”, parole di cui Conte – come giornalisti e politici – risponderanno, però, in sede giudiziale, perché Crosetto ha deciso di querelare chiunque lo dica.

Per Crosetto "la pace non si conquista con una bacchetta magica, ma con un percorso lungo, spesso tortuoso, fatto di contraddizioni e di compromessi che ci porta alla pace anche attraverso guerre e conflitti. Ora dobbiamo aiutare l'Ucraina". Il ministro spiega che verrà autorizzato il sesto pacchetto di aiuti militari a Kiev: "Potrei cavarmela prendendo tempo – spiega Crosetto - Dicendo che decideremo insieme agli alleati in futuro. Ma in una fase così complessa come quella che stiamo vivendo, in una fase così complessa come quella che stiamo vivendo - dice Crosetto - la sola cosa che non possiamo fare è perdere il contatto con i nostri alleati internazionali, la Ue e l'Alleanza atlantica. E c'è un solo modo di muoversi e di decidere".

Poi, però, riflette e dice il titolare della Difesa, però, "dobbiamo cercare di mettere regole anche alle cose più terribili" facendo in modo che "i civili non vengano coinvolti. Che non si bombardino le centrali elettriche, gli acquedotti, le scuole, gli ospedali. Che non si blocchino le navi che portano grano. Che si dica con chiarezza mai armi nucleari e armi chimiche. È questa la grande sfida delle organizzazioni internazionali".

Infine, particolarmente interessante è il ‘dialogo’ che un laico, da sempre vicino alle cose militari, come Crosetto cerca di imbastire con le ragioni del pacifismo, in particolare quello cattolico: "Quando le popolazioni civili - spiega il ministro ad Avvenire - rischiano di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore e a nulla sono valsi gli sforzi della politica e gli strumenti di difesa non violenta, è legittimo e doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l'aggressore". "Non sono le parole di un generale - aggiunge - Sono di San Giovanni Paolo II.Primo gennaio del 2000, Pace in terra agli uomini che Dio ama". Il messaggio continua così: “Queste iniziative, tuttavia, non devono mai essere lasciate alla mera logica delle armi” e qui Crosetto spiega: "Sono anni che faccio i conti con quelle parole. Sono dentro di me. Perché non voglio mai sclerotizzarmi su certezze apodittiche. Mi interrogo sulle motivazioni del mondo pacifista. Voglio capire. Mi metto in discussione. Confesso i miei dubbi". Parole davvero toccanti, umili, difficile dire siano del ‘mercante d’armi’.

Solo che – non sembri un paradosso – Crosetto ‘non’ parla a ‘questo’ Papa e a ‘questa’ Chiesa, tutta proiettata su un pacifismo iper-radicale, palingenetico, dalla visione para-apocalittica, ma alla Chiesa del ‘passato’, quella di papi e vescovi, associazioni, laicali e clericali, credenti e fedeli, paradossalmente più ‘realisti’ e ‘pratici’.

Certo è che diventata un’impresa difficile, se non impossibile, per i principali partiti e leader dell’opposizione (Pd, M5s, Terzo Polo) al governo Meloni andare d’accordo su ogni cosa, pure decidere se scendere in piazza per la pace.

La furbizia di Conte arrivato ‘prima’ del Papa

Partiamo dalla piazza della pace del 5 novembre. Convocata – formalmente – da un lungo elenco di movimenti, associazioni e realtà pacifiste, ma di cui Giuseppe Conte, arrivando – furbo e scaltro – prima di tutti (persino del Papa) si è appropriato ormai da settimane, ‘convocandola’ lui, la piazza, oggi di piazze ‘pacifiste’ ce ne saranno ben due. Partendo, subito, dalla piazza pacifista ‘romana’, ne è venuto fuori un considerevole pastrocchio, con le associazioni pacifiste (Acli, Arci, etc. etc.) e i movimenti cattolici e laici da sempre pacifisti che si sono visti costretti a ‘precisare’ che le parole d’ordine, e la piazza stessa, l’avevano indetta e convocata loro (falso: lo ha fatto Conte, che si è tirato dietro tutti gli altri, bontà sua). Anche perché manifestazione, piazza, piattaforma stessa (di entrambe) hanno ricevuto, post quem, un imprimatur non da poco, quello del Papa. In ogni caso, cosa fatta, capo ha, e dunque eccoci, oggi, ad assistere alla consueta ‘spaccatura’ del centrosinistra,‘fronte’ opposizioni parlamentari, divise come non mai, tanto per cambiare. Il paradosso è quello di voler raggiungere ‘una pace’, ma di volerlo fare attraverso ‘due piazze’.

Milano, piazza poco ‘pacifista’ e pro-Ucraina

A Milano, nella manifestazione convocata dal leader del Terzo Polo, Carlo Calenda, e cui partecipa, ovviamente, anche l’ingombrante Matteo Renzi, si riuniranno i ‘non’ equidistanti, quelli che non vogliono la fine del conflitto ad ogni costo, e che, come ci tengono a dire, non coniugano la pace con la resa dell'Ucraina. A spanne e a occhio, sarà un sit-in per pochi intimi, per lo più liberal, azionisti, europeisti, con qualche spruzzata – minore – di esponenti del Pd (area Base riformista), ma solo a titolo personale.

Come il senatore Carlo Cottarelli, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. In più, Letizia Moratti, fresca del divorzio dalla giunta di centrodestra. Inoltre, ci saranno Pierferdinando Casini, eletto col Pd, e Marco Cappato, esponente dei Radicali mentre quelli di +Europa non scendono in piazza non perché non ne condividano la piattaforma, ma perché entrati in furibonda lite con Calenda, il quale li accusa di “aver preso i soldi da Soros”… "Sarà un palco non partitico”, ribadisce Calenda, ma di fatto ci saranno solo partiti o sigle affini.

La piazza ‘iper-pacifista’ (irenica) di Roma

A Roma, invece, si ritrova il mondo del pacifismoclassicamente inteso, pur se tra tanti distinguo e più voci, a volte molto dissonanti. L'associazionismo laico e cattolico, Acli e Arci, i sindacati, la Rete per il Disarmosono i promotori mentre – tra i partiti – sono piovute le adesioni della sinistra radicale, del M5s e di un Pd che, come sempre, arriva buon ultimo e tra mille mal di pancia. Sfileranno in corteo per chiedere un “cessate il fuoco immediato” e un negoziato internazionale: saranno almeno in 50 mila, ma gli organizzatori diranno che, come minimo, saranno in 100 mila. L'appuntamento è per le 14: il corteo Europe For Peace, appoggiato anche da Anpi, Comunità di Sant'Egidio, Libera, Emergency, Micromega, sinistra radicale (Verdi-SI più altre sigle minori) partirà da piazza della Repubblica e arriverà in piazza San Giovanni, dove verrà letta la piattaforma dell'iniziativa. Si dicono pacifisti sì, ma fermi "nel condannare l'aggressore e nel sostegno alla resistenza ucraina", ma nella consapevolezza che "la guerra va fermata subito: Basta sofferenze. L'Italia, la Ue, l’Onu devono assumersi la responsabilità del negoziato". Dal palco verrà letta anche una lettera del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. Certo, il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, ha voluto ricordare che “tutte le iniziative per la pace sono buone, l'importante è farle insieme e che non si strumentalizzino per altri scopi”. Belle parole. Peccato che i leader di partito ci saranno e, come sempre, si prenderanno tutta la scena.

Per Conte “la manifestazione per la pace segna un ritorno in campo della società. In questa guerra la Ue è non pervenuta e rischia di perdere la sua leadership”. Il Pd, al corteo presente con il suo, segretario, Enrico Letta,annuncia che sarà non solo a Roma ma – modello Sant’Antonio, ubiquo - in ogni manifestazione che si mobilita in solidarietà con il popolo ucraino, il cessate il fuoco e il ritiro delle truppe di Putin. Senza mettere bandierine di partito su ogni piazza”. Belle parole, anche qui, ma che testimoniano solo l’imbarazzo di un Pd che, ubiquo, non sceglie.

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
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