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Open e Open arms, Renzi e Salvini: ecco perchè le due inchieste, pur diverse, sono un danno per la democrazia

Ieri il proscioglimento di Matteo Renzi, Boschi, Lotti e altri dall’inchiesta della procura di Firenze che ha nei fatti gambizzato sul nascere il nuovo soggetto politico di Renzi nato nel settembre 2019 quindici giorni prima delle perquisizioni della GdiF. Stamani la sentenza per le decisioni di Salvini ministro dell’Interno sempre in quell’estate del 2019. Una sua condanna sarebbe un ulteriore danno alla politica. Una democrazia deve avere altri anticorpi per tutelare i migranti

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Renzi e Salvini (Ansa)
Renzi e Salvini (Ansa)

In 24 ore succedono due fatti legati all’amministrazione della giustizia del tutto diversi tra loro ma entrambi utili per ragionare sul rapporto tra politica e magistratura, tra politici e magistrati. Ieri poco prima delle 13 Matteo Renzi e mezzo suo governo - tra cui Maria Elena Boschi e Luca Lotti - e altri professionisti (l’avvocato Bianchi) e imprenditori (Marco Carrai) sono stati prosciolti dal gup di Firenze Sara Farini perchè, si legge nel dispositivo, “gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”. Tradotto: tra tutte queste carte non c’è mezzo straccio di prova; queste gente è stata nel tritacarne per cinque anni - le prime perquisizioni risalgono a ottobre 2019, era da poco nato il Conte 2 e Renzi aveva fondato il suo partito fuori dal Pd - inutilmente perchè nulla è contestabile dal punto di vista penale nel loro operato. Chiuso tutto senza neanche andare a processo.

Oggi, più o meno sempre nell’arco della mattinata, sarà letta la sentenza di primo che riguarda il caso della nave della Ong Open arms che con il suo carico di oltre cnto migranti fu tenuta al largo dei porti italiani nonostante il caldo e il disagio fisico dei naufraghi perchè governo e ministro dell’Interno avevano deciso che il tema immigrazione illegale potesse essere affrontato solo “chiudendo” i porti alle navi e ali sbarchi.

Un macello di cui ricordiamo ancora alcune scene di disperazione visto gli oltre 40 gradi a bordo: era agosto faceva molto caldo, non solo a livello politico visto che proprio in quei giorni di agosto 2019 Salvini maturava la crisi di governo che, con un clamoroso errore di calcolo, da lì a poco lo avrebbe messo all’opposizione. Salvini è l’unico imputato e l’accusa è sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio, reato per cui l’accusa ha chiesto sei anni. Così nelle ore che tra ieri e oggi hanno diviso i due verdetti a molti di noi sono venute spontanee un sacco di domande.

Un’inchiesta per eliminare Matteo Renzi

L’inchiesta Open si fa conoscere la mattina del 18 settembre 2019 quando decine e decine di agenti della guardia di finanza suonano alle abitazioni private di altrettanti imprenditori privati in una dozzina di città perchè “colpevoli” di aver finanziato la Fondazione Open. Secondo la procura di Firenze, l’aggiunto Luca Turco e il sostituto Nastasi la Fondazione aveva funzionato come un’articolazione di partito riconducibile e funzionale all’ascesa politica di Matte Renzi tra il 2012 e il 2018 raccogliendo qualcosa come tre milioni e mezzo. In pratica tutte le Leopolde di quegli anni, gli anni del governo Renzi, sono sospettate di essere illegittime quand’anche arma del delitto. Un’intera comunità politica dovrebbe, secondo la procura di Firenze, sentirsi sporca e fuori legge. A tutti gli indagati, undici persone e quattro società, fu contestato il reato di finanziamento illecito ai partiti. Le decine e decine di perquisiti furono “solo” sottoposti ad indagini e verifiche per aver finanziato la Fondazione. Intere famiglie sputtanate, non esiste un termine diverso, all’alba di quella mattina. Con i vicini che sussurrano e i figli, magari bambini piccoli, svegliati all’alba. Non si può qui rifare la storia dell’inchiesta, le umiliazioni, la vita privata di conti correnti ed intercettazioni acquisite in modo poi giudicato illegittimo, raccontate sui giornali a puntate con il marchio dell’infamia. Non si può però non sottolineare che quelle perquisizioni vengono ordinate due settimane dopo la nascita del governo Conte 2 (5 settembre) e, quindi, due settimane dopo che Matteo Renzi, che pure aveva fatto nascere quel governo, aveva deciso di dividere la sua strada da quella del Pd. La domanda è scontata: quale corso avrebbe preso la politica italiana e il centrosinistra se quell’inchiesta non fosse stata ordinata? E, quindi, visto come sono andate le cose cinque anni dopo e senza neppure arrivare in giudizio, come è possibile che una procura, un pugno di magistrati, abbiano messo sotto inchiesta la scelta. stessa di fare politica? In fondo cosa significa far nascere un partito, radunare i simpatizzanti, scrivere con loro un programma e delle proposte e anche, sì, cercare i finanziamenti per mandare avanti la cosa?

Ciò che è stato tolto non sarà mai restituito

La risposta è che non lo sapremo mai perché cinque anni sono tanti in politica, perché quello che è stato tolto non sarà mai restituito e i “se” e i “ma” non scrivono la storia. “Il gup ha celebrato esequie di un processo nato morto - diceva ieri Federico Bagattini, difensore di Matteo Renzi con Giandomenico Caiazza. “Forse il paragone è forte - ha continuato Bagattini - ma questa decisione arriva dopo tre sentenze della Corte di Cassazione che avevano stabilito che non c’era reato, annullando tutti i provvedimenti di sequestro. Poi la Corte Costituzionale aveva ribadito come certi atti avrebbero mai potuto essere utilizzati. E quindi abbiamo perso tempo. Peccato per la onorabilità degli indagati. Peccato per i contribuenti che hanno speso inutilmente un sacco di soldi”. Matteo Renzi ragiona sul fatto che “il procuratore Turco andrà in pensione tra due giorni e ovviamente nessuno di noi sarà risarcito per il tempo perso, le offese e la rabbia per aver visto un atto di killeraggio politico”. Insieme ad “un processo di mostrificazione” dello stesso Renzi. Che ieri ha gioito “per questa giornata dolce e gratificante” dopo cinque anni in cui “sono stato trattato come un appestato”. Ora c’è Natale, Capodanno, il compleanno tondo “perché ne faccio cinquanta” e poi “dal 12 gennaio si ricomincia a fare politica”. E’ una promessa. Possiamo dire che in questo  caso la magistratura ha ignorato la separazione dei poteri ed è pesantemente intervenuta nel processo politico condizionandone l’offerta. Molti, a destra, a sinistra ma anche nel Pd,  allora gioirono magari in silenzio senza fare troppo rumore perché  Renzi era stato comunque azzoppato,  “politicamente massacrato” dice lui, qualcuno sperava per sempre. Ha scritto ieri Renzi sui social: “Ringrazio Ester che in questi cinque anni è stata una roccia e non era facile, ringrazio i miei figli che non hanno mai dubitato del loro babbo. Volevano farmi fuori con un’indagine farlocca, non ce l’hanno fatta. Ripartiamo insieme. E chi mi aggredisce con campagne, norme ad personam non mi fa paura, Anzi, mi rende più forte”. Parole simili le hanno usate in una conferenza stampa Maria Elena Boschi. E tutti gli altri, anche non politici, come Carrai e Bianchi che hanno visto le loro vite in piazza solo perché erano il motore della Leopolda.  Ha detto Crosetto a Meloni: “Hai sbagliato a fare la norma anti Renzi (quella sulle conferenze all’estero, ndr), ti sei fatta un nemico che era meglio non avere”. Succedeva qualche ora prima della sentenza.  Fratelli d’Italia e i 5 Stelle hanno speculato tanto in questi anni su un’inchiesta che non doveva neppure iniziare. Come ha detto ieri il giudice.

Il “caso” Salvini e il filo rosso

Tutt’altra storia quella di Matteo Salvini. Il comune denominatore, il filo rosso, è sempre il condizionamento politico che la magistratura esercita con le sue inchieste e l’invasione di campo - o l’occupazione di un vuoto - da parte delle toghe in spazi e argomenti che dovrebbero essere normati in altro modo. Se Salvini ha sbagliato, se quei decreti erano sbagliati (e lo erano) una democrazia dovrebbe avere gli anticorpi per intervenire prima. A cominciare da una squadra di governo - premier, altri ministri e capi di gabinetto - che avrebbero dovuto far sentire la propria voce con fatti conseguenti e non con lettere. Altrimenti non si capisce perché coloro che nel governo hanno firmato quei decreti - il premier Conte e il ministro Toninelli - non siano andati a giudizio insieme a Salvini. Per il resto sono storie così diverse da non essere neppure paragonabili. Per due motivi soprattutto: l’oggetto dell’inchiesta sono 140 persone lasciate a bollire in mezzo al mare in pieno agosto perché non dovevano attraccare nei porti italiani che il governo Conte aveva da poco chiuso con decreto; è stato il Parlamento a mandare il ministro Salvini sotto processo. Il nodo del processo è uno sostanzialmente:  per i magistrati quello di Salvini non è stato un atto politico ( e come tale sottratto al sindacato dell’autorità giudiziaria)  ma un atto amministrativo e come tale sindacabile dal giudice. “Rischio sei anni di carcere per aver difeso i confini” è la linea di difesa del ministro ma per la procura di Palermo nell’agosto 2019, da titolare dell’Interno, per diciannove giorni ha illegittimamente impedito lo sbarco alla nave della ong spagnola Open Arms che a bordo aveva 147 persone, fa cui 27 minori, soccorsi in tre distinte operazioni. La richiesta di sei anni di carcere è stata così motivata:  il “porto sicuro doveva essere rilasciato senza indugio e subito, il diniego è stato in spregio delle regole nazionali ed internazionali e non per proseguire un disegno governativo. I diritti dell’uomo vengono prima della difesa dei confini”. Stamani sapremo il verdetto, dalle 9.30 al tribunale Pagliarelli di Napoli. Si tratta di un primo grado e quindi nulla potrà tecnicamente succedere: no dimissioni, no espulsioni dalla carica, la legge Severino non può intervenire questa fase. Solo al terzo e definitivo grado di giudizio.

Una condanna da evitare

E’ chiaro che una condanna, seppure in primo grado, sarebbe usata da Salvini per vittimizzare se stesso, il proprio ruolo e la sua leadership. Cosa che del resto ha fatto ogni giorno in questi cinque anni di processo. Nell’ultima settimana abbiamo assistito a scene di solidarietà molto colorate e rumorose a Bruxelles da parte del gruppo delle destre europee dei Patrioti guidati da Orban. Salvini come Trump, questa l’equazione che il vicepremier ha cercato di stabilire e alimentare. Aiutato da Elon Musk che anche ieri ha usato la potenza dei suoi social per rilanciare: “Rischia sei anni per aver difeso i confini del suo Paese. Ridicolo”.  Solidarietà che si è vista assai meno in Italia e in Parlamento, motivo per cui Salvini ha snobbato le aule e i banchi del governo in questi giorni. Insomma, una condanna avrebbe un peso politico enorme. Inquinerebbe il quadro. E questo sarebbe una sconfitta per tutti. Le politiche di Salvini, se non rispettano i diritti umani, vanno fermate prima e non dopo con un’inchiesta. Così, almeno, dovrebbe funzionare una democrazia. 

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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