Nuovo esame per Giorgetti. Il timore di sgambetti da Bruxelles e il primo buco nei conti nazionali
Domani il ministro economico sarà sentito in Commissione alla Camera. La convocazione dovuta all’ultimo miglio della legge di bilancio (da domani in votazione alla Camera) ma è chiaro che Patto di Stabilità e Mes sono i convitati di pietra

Domani sarà in Commissione alla Camera. “Per rispondere sula legge di bilancio, non sul Patto di Stabilità nè sul Mes” chiarisce il presidente Fontana dopo aver mediato tra la richiesta del gruppo Pd e la disponibilità del ministro economico Giancarlo Giorgetti. Ma è inevitabile, parlando della Manovra, che Giorgetti debba anche rendere conto delle conseguenze sui nostri conti pubblici nell’anno 2024 delle nuove regole fiscali decise con l’accordo tra i 27. E anche del “fallo di reazione” commesso dall’Italia dicendo no alla ratifica della modifica del Fondo salva stati dopo aver dovuto accettare la nuove regole fiscali europee. E’ successo tutto in 36 ore tra mercoledì e giovedì della scorsa settimana. E il titolare del Mef, il giorno dopo (venerdì 22) che il Senato ha dato via libera alla Manovra, ha parlato con la sua tradizionale franchezza: “Da ministro avrei detto sì al Mes, così suggerivano gli accordi presi in questi anni, ma ho capito che non era aria tra richieste di gran giurì e altro (la polemica tra Meloni e Conte, ndr). Ora è chiaro che in qualche modo ce la faranno pagare”.
Le domande in audizione
Probabilmente inizieranno da qui le domande dei colleghi deputati, opposizioni in testa. Perchè se è vero che il Parlamento è sovrano, è anche vero che i trattati internazionali contratti dai governi vengano rispettati. L’Italia non lo ha fatto. Tutti gli altri paesi sì. E allora, combinato il pasticcio, la domanda ora è: cosa può succedere? Come può reagire l’Europa? Al momento, e per fortuna, non ci sono effetti a livello monetario e neppure finanziario. La Borsa tiene e lo spread anche. Ma è chiaro che il No del Parlamento italiano impedisce la possibilità per tutti gli altri 19 paesi europei che lo hanno invece sottoscritto di utilizzare il Fondo salva stati per la parte che riguarda eventuali salvataggi bancari (modifica introdotta tra il 2018 e il gennaio 2021con il governo Conte e via via ratificata in questi anni). Bruxelles potrebbe allora valutare - essere costretta a farlo - di siglare un nuovo accordo tra i 19 paesi dell’Eurozona già firmatari facendo a meno dell’Italia. Sarebbe un nuovo trattato intergovernativo che prevede lo stanziamento di nuove risorse per le stesse finalità. Insomma, una situazione che ha creato disappunto e sorpresa e non mette l’Italia in buona luce. Pierre Gramegna, il potentissimo direttore generale del Mes, ha tuttora buoni rapporti con il ministro Giorgetti. Gramegna parla bene italiano, produce olio a Cortona, conosce bene il quadro politico italiano, la presenza al governo di forze profondamente anti Mes e anche antieuropeiste. Ma ha imparato ad apprezzare e conoscere il ministro Giorgetti, gli sforzi che ha fatto in questi mesi per convincere a dare via libera al Mes i suoi stessi compagni di partito e di alleanza e la tenuta seria e rigorosa sui conti pubblici nella legge di bilancio. Il prossimo 15 gennaio ci sarà una nuova riunione dell’Ecofin a Bruxelles e Giorgetti potrà capire l’aria che tira. Volontà europea di superare lo strappo? O di farcela in qualche modo pagare? Il Mes a 19, senza l’Italia, sarebbe senza dubbio uno schiaffo al nostro Paese. Che a sua volta ha tirato uno schiaffo all’Europa. “E’ chiaro che per motivi di tipo economico e finanziario avrei voluto la ratifica” ha detto Giorgetti. Bruxelles - e a Lussemburgo dove ha sede il Mes - serviva il nostro sì.
Le due possibili “ritorsioni” di Bruxelles
Un’altra conseguenza del “fallo di reazione” del parlamento italiano potrebbe essere la mancata assegnazione a Roma della sede europea della sede dell’Antiriciclaggio. Dopo che abbiamo perso la presidenza della Banca europea degli investimenti che era stata “assegnata” all’ex ministro Franco ed è invece stata consegnata alla ministra spagnola Nadia Calvino (la stessa che, alla guida del semestre, ha condotto le danze sul rinnovo del Patto di Stabilità).
Giorgetti ha passato i giorni di Natale chiuso nella sua casa a Cazzago Brabbia a due passi dal lago di Varese. Ha staccato il cellulare e comunque ha parlato solo con chi ha voluto lui. Quello che aveva da dire lo ha confessato subito dopo il voto al Senato. Pronunciando anche la parola proibita: dimissioni. Le opposizioni lo hanno definito “umiliato”, “sconfessato”, “raggirato” dal suo stesso partito e dalla stessa premier. Lui ha tranquillizzato tutti: “Con tutto il rispetto per le opposizioni che spesso dicono cose sagge, se e quando dimettermi lo decido da solo”. Non è certo questo il momento. Ma per lui è stata una settimana horribilis. Iniziata martedì scorso con l’incontro a sorpresa tra il collega francese e tedesco con la conferenza stampa successiva in cui comunicarono, all’improvviso, dell’accordo raggiunto “anche con l’amico Giorgettì” disse Le Maire. Il quale però era in attesa di una videoconferenza il giorno dopo. Quando è iniziato il collegamento, Giorgetti già sapeva di essere rimasto solo e che non avrebbe potuto mettere il veto. Altro che sgarro sul Mes: moltiplicatelo per venti e ne avrete l’esatta dimensione. La sera stessa, siamo a mercoledì, Meloni e Salvini decidono la ripicca, Tajani deve accettare il compromesso (l’astensione). Giovedì si spaccano maggioranza e opposizione, torna l’asse populista Conte-Salvini.
Ma il ministro resta al suo posto
Non è il momento non perché Salvini abbia dichiarato che “non è assolutamente vero che Giorgetti sia indebolito”. Ma perché tutto sommato il titolare del Mef è l’assicurazione migliore che il governo possa avere in Europa e a Bruxelles. E viceversa. E’ la seconda volta che il ministro si trova superato dal suo governo praticamente a sua insaputa: il 7 agosto quando Meloni annunciò all’improvviso la tassazione sulle banche (misura poi rientrata e modificata proprio per il lavoro di Giorgetti) e ora con il voto sul Mes su cui da palazzo Chigi erano arrivate rassicurazioni che alla fine ci sarebbe stata la ratifica. Però, visto da Bruxelles, è sempre meglio Giorgetti che qualunque altro.
I prossimi “nodi” da sciogliere
Gradimenti a parte, il ministro economico avrà nei prossimi mesi qualche nodo da sciogliere in relazione al bilancio. Domani molte domande verteranno su questo. In base al nuovo Patto di stabilità l’Italia dovrà concordare con l’Unione europea il proprio percorso di bilancio dei prossimi anni. E dei prossimi mesi. A cominciare dal Documento di economia e finanza (Def) di aprile. Secondo il leader di Italia viva Matteo Renzi “quella legge di bilancio è un falso di bilancio perché mancano almeno 17-18 miliardi”. Il ministro Giorgetti “ha firmato un patto di stabilità in cui c’è scritto che dobbiamo avere una curva di rientro della traiettoria debito/Pil dell'1% ma in questa legge si prevede una curva di rientro dello 0,1% nei prossimi anni. La differenza sono 17-18 miliardi. Nei numeri che votate oggi mancano 18 miliardi”. E questa manovra correttiva, almeno in parte, dovrà essere fatta per il Def di aprile. Se dovessimo poi allungare lo sguardo al 2025, sappiamo già che dopo il Def il governo si dovrà mettere al lavoro servono 18-19 miliardi per rinnovare le misure non strutturali come il taglio del cuneo fiscale e le promesse modifiche fiscali. Difficile immaginare dove prendere questi soldi visto che non riusciamo a calare con il debito. Ha tante domande a cui rispondere Giancarlo Giorgetti. e, soprattutto, conti da far quadrare. Deve convincere il Parlamento. E, soprattutto, i colleghi europei. Il prossimo Ecofin è previsto il 15 gennaio.