Nella trattativa Pd-M5s fa capolino la nuova legge elettorale: un proporzionale puro che spaventa Salvini
Per governare da solo sarebbe necessario più del cinquanta per cento dei voti, prospettiva abbastanza utopistica anche per il lanciatissimo Capitano leghista
Nel gran tiramolla fra governo sì e governo no di Pd e Cinque Stelle, il vero nodo della questione è la legge elettorale. Una riforma con il metodo proporzionale puro cambierebbe completamente le regole del gioco. Non farebbe certo fuori Salvini, che è ormai diventato un leader con una forte base di consenso. Ma segnerebbe la fine del salvinismo. Perché con il proporzionale il vero punto di gravità permanente diventa il centro. Per governare da solo avresti bisogno di più del cinquanta per cento dei voti, che è una prospettiva abbastanza utopistica per chiunque, anche per il lanciatissimo Capitano leghista. Avresti bisogno invece di alleanze, che fatichi a ottenere con una politica estremista. Il proporzionale rimette al centro dei giochi il Parlamento, e la sua giungla composita di paletti e bilanciamenti vari, con i partiti del centro che via via aumenterebbero il proprio bacino elettorale per il semplice fatto di diventare decisivi. La politica dell’urlo non sparirebbe ovviamente dai talk show, ma avrebbe meno appeal. Fino adesso il maggioritario ha sempre premiato l’esatto opposto, come dimostra il caso emblematico di Berlusconi, che alla guida di un partito di centro era il più estremista di tutti per vincere le elezioni.
I timori di Salvini
Forse non tutti nel Pd sono perfettamente coscienti di questa possibilità. La teme, invece, enormemente Salvini, che ha compiuto in fretta e furia una giravolta di 180 gradi per evitarla, quanto sincera è ancora poi tutto da appurare. Ma la questione principale è un’altra. Il Movimento Cinque Stelle può essere d’accordo con una svolta di questo tipo? I grillini nascono sulle linee estreme dello schieramento politico, e hanno ottenuto i loro migliori risultati caratterizzandosi per questo, anche se nel governo gialloverde hanno finito per rappresentare molte volte, per esempio nei rapporti con l’Europa, il punto di moderazione dell’alleanza. Il sospetto che, nella disputa sul taglio dei parlamentari, la riforma elettorale sia un ballon d’essai lanciato nel campo opposto per misurarne le reali intenzioni non è del tutto campato in aria.
Disposto a tutto
Ovvio che la riforma proporzionale della legge sul voto spariglierebbe completamente le carte, ribaltando posizioni di vantaggio che sembravano ormai acquisite. Chi l’ha capito benissimo è Matteo Salvini: di tutto si può dirgli, ma non che non sia il più sveglio di tutti. Nella giornata che prevedeva l’incontro tra i capigruppo grillini e democratici, ha fatto subito recapitare a Luigi Di Maio un messaggio d’amore e di disarmo uniltarale: «Sono pronto a vederti stamattina, oggi pomeriggio, o anche stanotte». Secondo alcune fonti abbastanza attendibili sarebbe persino pronto a rilanciare: non solo la presidenza del Consiglio offerta a Luigi Di Maio, ma pure il ministero dell’Economia, che fino al giorno prima aveva sempre dichiarato di voler riservare a Giorgetti. «Disposti a tutto pur di non far tornare il partito democratico al governo», annuncia Salvini in una delle sue esternazioni volanti. Il ministro Gian Marco Centinaio avrebbe spiegato ad alcuni senatori leghisti un po’ spiazzati da tanta generosità che «quello che farà Matteo alla fine nessuno lo sa, ma noi offriamo il più possibile a loro, cosicché loro chiedano il più possibile al Pd». In questo eccessivo gioco al rialzo, fra un rilancio e l’altro, un veto e una polemica, il treno dell’alleanza dem e cinque stelle avrebbe molte più possibilità di deragliare.
Strategie misteriose
Ma a questo punto che cosa accadrebbe? Salvini ha sempre dichiarato dall’avvio della crisi in avanti che il voto è la strada maestra della democrazia, che lui non ha paura delle decisioni del popolo italiano, qualunque esse siano. In Parlamento, prima dell’affondo di Conte, aveva appena rettificato il tiro: «Rimettiamoci insieme, votiamo il taglio dei parlamentari e poi subito al voto». Se davvero le elezioni fossero la sua priorità, che senso avrebbe, una volta fatto cadere l’accordo tra Pd e Cinque Stelle e dimostrato che non esiste una alternativa alla sua alleanza, tenere in piedi la legislatura senza passare all’incasso del favoloso trend ancora cresciuto dopo le europee? Il dubbio è forte, e in questo caso l’unico che resterebbe decisamente spiazzato è Di Maio. Zingaretti almeno cambierebbe i deputati in Parlamento in modo da averne il controllo diretto, visto che adesso la maggioranza dei suoi eletti è di osservanza renziana. Se Salvini facesse un’altra giravolta l’unico a rimetterci sarebbe il leader dei Cinque Stelle. Ma la verità è quella che dice Centinaio, «e quello che farà Matteo alla fine nessuno lo sa». L’unica cosa che vuole senza se e senza ma è impedire il proporzionale: e in un modo o nell’altro ci sarebbe riuscito.