La 'ndrangheta è la più infiltrata al Nord: quali sono le imprese più "inquinate" e perché è un freno all'occupazione
Presenza ramificata ed esclusiva nel Nord-Ovest: dall’Emilia di Parma e Piacenza a tutta la Liguria, il Piemonte, fino alla Brianza e al Varesotto. Al confronto, Cosa Nostra e camorra appaiono fenomeni più regionali. Lo studio di BAnkitalia

Né la Cosa Nostra siciliana, né la camorra napoletana. Delle tre grandi organizzazioni criminali italiane, è la ‘ndrangheta calabrese ad avere infiltrato a più vasto raggio e più in profondità l’economia legale dell’Italia del Nord, arrivando a controllare, dice la Banca d’Italia, migliaia di aziende e decine di miliardi di fatturato. Con un radicamento territoriale preciso. Mafia, camorra e ‘ndrangheta, infatti, si sovrappongono sostanzialmente in grandi città come Milano, Roma, Bologna. Ma i calabresi sembrano avere una presenza quasi capillare, ramificata ed esclusiva nel Nord-Ovest: dall’Emilia di Parma e Piacenza a tutta la Liguria, il Piemonte, fino alla Brianza e al Varesotto. Al confronto, Cosa Nostra e camorra appaiono fenomeni più regionali e più legati al Mezzogiorno, come del resto risulta dalla loro dinamica economica o - sarebbe forse più esatto dire - aziendale. La ‘ndrangheta, infatti, ha, grazie anche alle sue proiezioni internazionali nel traffico di droga, un fatturato (3,5 miliardi di euro l’anno) quasi doppio rispetto alla mafia siciliana, ma anche assai meno legato ai territori d’origine. Il fatturato di Cosa Nostra e della camorra è per il 60 per cento legato alla loro attività, rispettivamente, in Sicilia e in Campania. Per la ‘ndrangheta, invece, la quota originata in Calabria non supera il 23 per cento.
Contemporaneamente, però, il personale della mafia calabrese è quello con più forti ed esclusive radici locali. In Cosa Nostra, in fondo, si entra per associazione. Nella ‘ndrangheta, al contrario, per diritto e obbligo di nascita. Le “famiglie” criminali lo sono, in altre parole, anche anagraficamente. Questo comporta una struttura rigida, stretta, fondata su rapporti di parentela (rari, infatti, i pentiti di ‘ndrangheta), ma anche un’ampia frammentazione: a Reggio Calabria ci sono 50 clan, a Palermo solo sette famiglie. Ma rende anche, in qualche modo, i mafiosi calabresi più “tracciabili”. Sulla base del cognome e delle parentele, affidabili indicatori di appartenenza ad un clan.
Il censimento e le infiltrazioni
E’ proprio lavorando su cognomi e luoghi di nascita, sulla base del censimento delle famiglie di ‘ndrangheta fatto dalla Commissione Antimafia, che l’ufficio studi della Banca d’Italia ha provato a disegnare una mappa delle infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’economia del Nord. E’ una mappa minima: il cognome, infatti, esclude i criminali che entrano nel clan sposando una donna della famiglia. E anche quelli di seconda generazione, che al Nord sono nati. Anche così circoscritta, tuttavia, la mappa è impressionante. Al Nord ci sono 8 mila componenti dei consigli di amministrazione di società varie che si possono far risalire ai clan della mafia calabrese. Le aziende infiltrate sono quasi 10 mila. In pratica, su mille società del Nord, almeno sette sono controllate dalla criminalità organizzata. Metà di queste aziende ha al suo vertice un solo mafioso. Solo una su dieci ne ha fino a tre nel consiglio di amministrazione. Ma, naturalmente, sono molte di più quelle che la ‘ndrangheta non gestisce direttamente sul piano operativo, accontentandosi di averne acquisito il controllo – di maggioranza o di fatto – azionario.
Che aziende sono quelle su cui la ‘ndrangheta concentra l’attenzione? Spesso molto giovani o appena nate. Un quarto delle aziende infiltrate ha meno di un anno di vita. Di solito, sono comunque macilente, arenate in difficoltà operative o finanziarie. Ma sono anche, per regola, non aziendine o fabbrichette, ma società medio-grandi. Il risultato è che il fatturato delle ditte controllate nel Nord dalla ‘ndrangheta, secondo la Banca d’Italia, è, come minimo, di 42 miliardi di euro l’anno. Un volume massiccio, il 2 per cento del totale dell’economia nel 2016. Per dirla più chiaramente: per ogni 50 euro che le aziende del Nord, la parte più moderna ed efficiente del paese, producono, 1 euro finisce nelle tasche degli uomini della mafia calabrese.
Sei volte su dieci, l’investimento della ‘ndrangheta è rivolto ad alberghi, ristoranti, aziende di trasporto, compro oro e money transfer, supermercati, depositi all’ingrosso, tutti canali dove – sovrafatturando e sottofatturando – è più facile, grazie al continuo girare di liquidi, riciclare denaro sporco. Ma, quattro volte su dieci, l’investimento non è solo di facciata. Qui, la ‘ndrangheta cerca il business e i profitti: edilizia, immobiliare, servizi pubblici come la gestione della spazzatura. Tutti settori in cui la domanda trainante è quella pubblica e quella stessa domanda può essere incanalata e gestita con pressioni e corruzione su enti locali e politici. Il destino delle aziende infiltrate, tuttavia, non è scontato.
La strategia ndranghetista per fare profitti
Il database costruito dai ricercatori della Banca d’Italia mostra, infatti, che per le aziende scelte per riciclare denaro la strategia è quella di una gestione a lungo termine. Nel caso, invece, come per l’edilizia o la spazzatura, in cui la mafia calabrese è a caccia di profitti, il percorso delle aziende infiltrate è tortuoso. Spesso, dopo l’arrivo dei calabresi, l’azienda migliora in modo vistoso i suoi conti, aumentando il fatturato fino al 25-30 per cento e anche l’occupazione. Ma i calabresi non investono nella società che, rapidamente, esaurite le possibilità di rastrellare dai poteri pubblici appalti e commesse, viene spinta alla chiusura.
Il risultato finale, dice l’analisi dell’ufficio studi di Via Nazionale, è comunque una zavorra sullo sviluppo economico complessivo della zona in cui si è insediata la criminalità organizzata. Quell’aumento di fatturato e occupazione è un fuoco di paglia, destinato a spegnersi presto. Nei Comuni, in cui la ‘ndrangheta è riuscita a radicarsi, l’occupazione, alla lunga, anche rispetto ai Comuni vicini, si riduce fino a più del 25 per cento, anche se l’analisi, proiettata su vari decenni (l’insediamento della criminalità organizzata al Nord inizia nel 1970) non può non tener conto di fattori esterni e generali.