Oggi il Movimento vota la fiducia poi “dipenderà dalle risposte di Draghi”
Conte consegna un documento con nove richieste imprescindibili “entro luglio”. C’è anche il cashback e il salario minimo. In dodici ore il leader dei 5 Stelle dice tutto e il suo contrario. “Daremo sostegno al governo” alle ore 13. “Mai detto questa cosa” alle ore 20

Forse la monetina lanciata in aria conosce la verità. “Testa” Conte porta i 5 Stelle fuori dalla maggioranza. “Croce”, li tiene dentro. A qualcuna delle condizioni richieste in un documento di sette pagine. C’è persino il ritorno del cashback. Roma da non crederci. C’è una terza ipotesi che la monetina non può prevedere: Conte non guida nessuno, nè in un senso nè nell’altro, dunque non sa e non può garantire alcunchè. Da qui il tutto e il contrario di tutto che è uscito ieri dalla sua bocca.
Le due dichiarazioni
Alle 20. 30 mentre Giuseppe Conte cammina tra la sede stellata di via Campo Marzio in direzione Camera dei deputati dove è previsto l’incontro serale con i gruppi, dice ai microfoni: “Non sono in condizione di assicurare il sostegno al governo Draghi , ho detto invece che ci sono delle richieste molto chiare e dalle risposte che valuteremo”. Qualche minuto dopo, in piedi nell’aula dei gruppi davanti ad un centinaio di parlamentari (cinque anni fa erano 330, ora sono dimezzati), Conte è ancora più sfidante, nel tono e nelle parole: “Il governo deve cambiare marcia. Abbiamo giurato fedeltà agli italiani e non a Draghi. Non siamo più disponibili a reggere il moccolo al grande centro o alla destra”. La prima prova del necessario cambio di passo? “Il salario minimo deve essere indicato come priorità”. A sentirlo e vederlo così sembra già all’opposizione.
Strano. Poco dopo mezzogiorno, quando incontra - finalmente - il premier Draghi, l’ex premier Conte non ha dubbi. Soprattutto è un’altra persona, gentile, disponibile, affabile. “Caro Presidente - è la prima cosa che dice - sappi che il Movimento non ha alcuna intenzione di andare all’opposizione. Siamo leali però ci dovete ascoltare”. Toni assai più accomodanti, concilianti che sembrano mandare in soffitta per l’ennesima volta l’ipotesi di un voto anticipato.
Il documento
E gli consegna un documento di sette pagine e nove punti che vorrebbe essere la linea del Piave del Movimento: o si rispetta quella linea rossa, almeno parte di essa, o è crisi. Sono richieste ragionevoli. anzi, gli obiettivi sono gli stessi del governo: “aiutare i cittadini, per lo più gli ultii, e fare il bene del Paese”, combattere le disuuaglianze, difendere il potere d’acquisto delle famiglie dall’inflazione e dalla speculazione; aiutare le imprese perchè il lavoro è l’unica cosa che aiuta in momenti di crisi. Si certo, ci sono le tutte le bandiere identitarie del Movimento, ad esempio no ad ogni forma di utilizzo di energia fossile nel giorno in cui Bruxelles ha messo nella tossanomia il gas e il nucleare. Ma insomma, si tratta di alzate di testa tipiche del Movimento. In generale il documento, nella sua assoluta genericità, è accettabile.
Il governo mette la fiducia
Così palazzo Chigi, una volta concluso l’incontro, fa due cose, quasi in contemporanea. La prima è mettere la fiducia sul decreto Aiuti che gli stellati hanno invece individuato come occasione per lanciare aut aut al governo su reddito di cittadinanza e Superbonus al 110% ma anche sul salario minimo. La seconda è che, sempre palazzo Chigi fa filtrare che l’incontro è stato “positivo e collaborativo”. Conte, dicono sempre le fonti di palazzo Chigi, ha “confermato il sostegno del M5S al Governo e ha presentato una lettera i cui punti principali sono in continuità con l'azione governativa”. Vogliono le stesse cose, Draghi e Conte. Poi magari si differenziano sui modi per ottenere quegli obiettivi. Ma dovrebbe essere il risultato quello che conta. Perchè dunque dividersi se “fare l’interesse dei cittadini e il bene del Paese” è l’obiettivo di entrambi?
Così, se nel primo pomeriggio il rischio crisi di governo sembra scongiurato, a sera sembra tornare in pole position. La prova - sottolinea anche un esponente dell'esecutivo - può arrivare a questo punto solo dall’aula, oggi, quando alle 14 inizierà la chiama per la fiducia. Se M5s vuole rompere lo può fare solo in Parlamento e e non certo nelle dichiarazioni volanti di Conte che però dovrebbero almeno cercare di mantenere sempre un minimo di coerenza e logica.
“Ma noi vogliamo uscire, il prima possibile”
L’ipotesi più probabile, per oggi, ce la racconta una deputata 5 Stelle incontrata nel pomeriggio intorno alle 16 e 30, quindi dopo l’incontro con Draghi ma prima della nuova riunione con il Consiglio Nazionale, che è quella che ha girare nuovamente la giornata. “Domani - spiega la deputata - voteremo la fiducia ma non il testo. E comunque resto convinta che dobbiamo uscire da questo governo il prima possibile”. Vi prendete la responsabilità di concludere la legislatura tra guerra, inflazione, speculazione e pandemia? “Noi non interrompiamo nulla. Andare in appoggio esterno non vuol dire crisi di governo. In ogni caso la maggioranza c’è”. Troppo comodo continuare la legislatura e intanto fare le barricate su tutto per recuperare consenso. Ma Draghi è stato chiaro: “Non guiderò - ha detto - un’altra maggioranza in questa legislatura”. Il Pd è stato ancora più chiaro, Letta, Franceschini, ieri il ministro Orlando: anche l’appoggio esterno vuol dire fine della legisltura. Il Movimento e Giuseppe Conte si prenderebbero quindi la respnsabilitò di mandare il Paese al voto in autunno. Prima della legge di bilancio.
Gli stellati pronti a seguire Di Maio
A sera torna quindi la fibrillazione nell'ex fronte rosso-giallo. Il Pd aveva apprezzato c l'avvio del dialogo tra Draghi e Conte e considerato lo strappo un’ipotesi lontana. La Lega intanto stamani riunirà i deputati per preparare le prossime battaglie parlamentari, a cominciare dal no allo ius scholae e sulla cannabis.
Sempre a sera, alla fine dell’ennesima giornata sull’ottovolante, le altre forze di maggioranza sembrano propendere per uno scenario in cui il Movimento 5 stelle deciderà di virare sull'appoggio esterno. “Altre forme di collaborazione” e’ l’espressione scena da Conte parlando ai gruppi con il tono e anche la gestualità del tribuno della plebe.
Insieme con il futuro, il nuovo gruppo di Di Maio potrebbe a quel punto accogliere chi nel Movimento intende stare ancora dentro al governo. A cominciare dai ministri. Un’altra piccola scissione all’orizzonte. Ieri mattina Di Maio ha incontrato il sindaco di Milano Sala: sono partite le manovre per la costruzione di un nuovo soggetto politico nell'area moderata.
Venti giorni di delirio
In attesa del verdetto di oggi conviene – o tocca, dipende dai punti di vista – rimettere in fila questi venti giorni di delirio e poi valutare le reali condizioni di salute della maggioranza. Chiedersi anche se tutto questo avrà effetti positivi circa il consenso perduto.
Prima di tutto distinguiamo i fatti dalle bugie. La storia di Draghi che aveva chiesto a Grillo la testa di Conte è finita dove doveva finire: nel nulla. Nell’ incontro ieri, dalle 12 alle 13 circa, il caso che per cortesia istituzionale fece rientrare il premier dal vertice Nato di Madrid si è rivelato quello che è sempre stato: una bufala. Le famose “prove oggettive” non ci sono. Resta la vergogna per chi ha alimentato quel cancan. I nomi sono noti.
Una volta chiarito che, parole di Conte, “il Movimento conferma in modo leale il sostegno al governo”, l’ex premier ha consegnato al suo successore un documento di sette pagine condiviso con i membri del Consiglio nazionale. In nove punti il Movimento spiega “le ragioni del profondo disagio politico” di essere in maggioranza. La premessa riguarda “l’assoluta responsabilità nazionale”, la “generosità politica”, la “consonanza con le indicazioni del Presidente Mattarella” e come questo “atteggiamento sia stato però pesantemente pagato in termini elettorali”.
“Vogliamo discontinuità”
Ora il Movimento “pretende un forte atto di discontinuità” (è la stessa parola tormentone che portò il Conte 2 alla fine) per evitare che la responsabilità diventi “atteggiamento remissivo e ciecamente confidente”. Sempre tra le premesse c’è la nota questione della collocazione internazionale e dell’invio delle armi all’Ucraina. “Vogliamo più che mai, e molto più di altri - si legge nel documento - essere e contare in Europa e mantenere la nostra storica alleanza dentro la Nato. Il punto è come si sta in queste sedi: con dignità e autonomia, consapevoli di essere una delle prime democrazie al mondo”. Come se la posizione del governo italiana fosse ancillare rispetto alle disposizioni europee e a quelle dell’Alleanza atlantica. Poi ci sono i nove punti veri e propri, nove bandiere identitarie del movimento: reddito di cittadinanza, salario minimo, intervento straordinario per famiglie e imprese “utilizzando uno scostamento di bilancio o attraverso un sostanzioso taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori”. E poi stop alle trivelle e allo sfruttamento dell’energia fossile, la necessità e “bontà” del superbonus 110%. E ancora: ripristino del cashback fiscale: piano straordinario di rateizzazione delle cartelle esattoriali e “un meccanismo legislativo che eviti la violazione delle prerogative parlamentari da parte dell'esecutivo”. “Lavoriamo per ridurre le disuguaglianze” e il Movimento 5 Stelle “esiste per fare l’interesse dei cittadini e il bene del Paese” sono le parole d’ordine generali.
Il decreto Aiuti non cambia
Draghi ieri “ha ascoltato con attenzione quanto rappresentato dal Presidente del M5s”. Subito dopo, oltre a dirsi soddisfatto, ha messo la fiducia. Significa che nel decreto Aiuti resta il termovalorizzatore per i rifiuti della Capitale, misura che serve ai cittadini soprattutto perché farà pagare meno tasse ai romani, e pazienza se è contro i principi ecologici del Movimento. Il mercato al momento non offre alternative mentre il trasporto fuori regione oltre che costare alimenta la criminalità.
Nel decreto Aiuti resta anche la modifica del reddito di cittadinanza (ammesso un solo rifiuto) e del Superbonus 110%. E’ l’undicesimo intervento, giusto per dire quanto era stata scritta male quella norma. Non è ancora sufficiente. I grillini hanno provato martedì a riaprire il testo sul 110% chiedendo un intervento sulle banche. Il Mef lo ha bocciato perché costa tre miliardi. Il testo, ancora una volta, sarà votato così com’è. Ciò non toglie che lo stesso governo abbia riconosciuto l’esistenza del problema banche che però “sarà affrontato con un altro strumento, non in questo decreto”. Insomma, il testo resta uguale, non cambia, Draghi non tratta. Del resto, non potrebbe mai accettare di diventare un leader sotto ricatto. O, peggio ancora, di non tenere i conti in ordine per sfamare qualche ansia di consenso di una parte politica. Non ammette contentini il premier. E anche questo è un modo di essere e fare il politico.