[Il ritratto] La ministra “più meglio”: dai congiuntivi sbagliati all’errore sul re. Tutte le gaffe della Fedeli
Purtroppo anche la sua ultima decisione, quella di far entrare gli smartphone nelle aule scolastiche e di farne uso, che come tutti possiamo intuire per i giovani sono «più meglio» di qualsiasi libro, ha suscitato un vespaio
Mentre gli insegnanti precari della scuola bivaccano in mandrie sperdute nei corridoi e sulle scale delle università per versare l’ultimo incomprensibile balzello allo Stato che non li sistema, la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli sfreccia sempre «più migliore» verso nuovi lidi, nuovi incontri, nuovi successi. E qualche gaffe. Ma come si dice: solo chi non lavora non sbaglia.
La Laureata
E dopo 40 anni nel sindacato, l’impatto col lavoro dev’essere traumatizzante per chiunque. Valeria Fedeli, detta la Laureata, da non confondersi con Il laureato, che è il soprannome preferito di Oscar Giannino e Renzo Bossi, è intervenuta l’altro giorno fra un dibattito e l’altro nel corso degli "Stati generali dell’alternanza scuola lavoro" con un discorso pregnante ripreso in videoconferenza e isolato maliziosamente su Youtube nella sua performance meno brillante: «C’è il rafforzamento della formazione per i docenti che svolgono le funzioni di tutor dedicati all’alternanza. Perché offrano percorsi di assistenza sempre più migliori a studenti e studentesse». Non avendo detto niente il portavoce della ministra, detto «Prosegua», che di solito sbaglia congiuntivi e affini in vece sua, dai giornalisti è stato subito fatto notare che non si dice «più migliori» e che soprattutto non dovrebbe dirlo il ministro dell’Istruzione.
La biografia corretta
E’ la solita polemica di lana caprina. Come quella sulla sua laurea, anzi sul suo diploma di laurea, che qualcuno era andato a spulciare nel suo curriculum ai tempi dell’insediamento al ministero facendo notare che non era quello il titolo di studio appropriato. Valeria Fedeli aveva immediatamente corretto la biografia modificando il diploma di laurea in diploma triennale, mentre attorno si levavano alte le grida di scandalo, perché il ministro dell’istruzione avrebbe dovuto invece essere laureato. In una lettera all’Unità, la ministra - «Riesco a dirle di chiamarmi ministra? No? E’ complicato?...» - aveva spiegato giustamente che per fare la ministra la mancanza di una laurea non è poi così grave perché la sua capacità di ascolto l’ha messa sempre nella posizione di apprendere.
Il passato nel sindacato
Come poi si è visto «più meglio» con il seguito del suo mandato. «Posso fare la ministra - ministra, ci tengo - dopo una vita nel sindacato. Sono stata apprezzata, promossa, chiamata a Roma e poi a Bruxelles a guidare il sindacato europeo dei tessili. Ho contribuito a salvare grandi aziende, ho portato nella Cgil le competenze dei ricercatori della moda. Fino a quando questo governo esisterà, cercherò di migliorare la scuola, l’università, la ricerca 24 ore al giorno». L’unico problema è forse il sindacato, cioè un’organizzazione votata ormai a proteggere elefanti e assenteisti contro quei rompiballe di precari e cococo vari, ritoccandosi pure gli emolumenti prima di andare in pensione, come è successo alla Cisl, ma per il resto l’accorato intervento della ministra - posso chiamarla così? - non fa una grinza e la sua buona volontà è indiscutibile.
Gli smartphone in classe
Nel dicastero dell’Istruzione si è in effetti data molto da fare. Anche se i suoi nemici sottolineano che si è data troppo da fare. «Ho 40 anni di vita rigorosa nel sindacato», ripete lei. E l’abitudine al lavoro non si perde dall’oggi al domani. Purtroppo anche la sua ultima decisione, quella di far entrare gli smartphone nelle aule scolastiche e di farne uso, che come tutti possiamo intuire per i giovani sono «più meglio» di qualsiasi libro, ha suscitato un vespaio. Mentre invece si tratta di una scelta modernissima, in linea con i tempi, come si auspicano moltissimi studenti che sperano anche di poter avere almeno un’ora di play station al posto della matematica o della fisica. I Codacons, non si capisce perché, sono andati giù pesantissimi definendo questo provvedimento «una follia pura», minacciando ricorsi e denunce: «Invitiamo già da oggi i professori, se non vogliono rispondere dei danni arrecati agli studenti, a rifiutare categoricamente l’uso dei cellulari a scuola».
I congiuntivo perduto
La verità è che qualsiasi cosa faccia la nostra ministra - è complicato chiamarla così? - finisce sempre nell’occhio del ciclone. Come per una bellissima lettera scritta al Corriere della Sera, in cui a un certo punto c’era l’evidenza effettivamente un po’ marchiana di un congiuntivo sbagliato, prosegua anziché proseguisse, ed è scoppiato il finimondo. Apriti cielo. Per fortuna, il suo portavoce, detto anche «Prosegua», si è subito pubblicamente scusato ammettendo di essere lui il colpevole dell’errore. Adesso non stiamo a guardare il pelo nell’uovo, che magari sarebbe meglio che un ministro dell’istruzione nemmanco laureato si scegliesse almeno dei portavoce che conoscano l’uso del congiuntivo, perché, che ne sappiamo noi?, forse il dottor Prosegua è uno bravissimo con lo smartphone, che, come spiega lei, «è uno strumento che facilita l’apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata». Viva la modernità, santocielo. Viva la ministra. Anche se va al Premio Cherasco Storia e confonde Vittorio Emanuele III, un re abbastanza indimenticabile per tutto quello che ha combinato, con il povero Vittorio Amedeo III, che visse più di 200 anni prima e fu sconfitto da Napoleone. «Più meglio» 40 anni di sindacato e i telefonini a scuola, che ci divertiamo tutti un casino.