Le “mille” sfumature di Giuseppe Conte su armi e guerra: minaccia la crisi ma forse no
“Non farò una crisi di governo ma Draghi non può metterci davanti al fatto compiuto dell’aumento dei fondi per la difesa”. L’accordo con la Nato è del 2006 ed è stato confermato da tutti i premier. Draghi: “Abbiamo dato la nostra parola”. Il ritrovato asse con Salvini. I dubbi dei parlamentari 5 Stelle. Mentre gli iscritti scelgono il Presidente. E’ la seconda volta. E c’è un solo candidato. Già pronto il nuovo ricorso

Promette: “Non farò una crisi di governo per colpa delle armi”. Minaccia: “Non è però questo il tempo di aumentare le spese militari. Altre sono le priorità”. Il cervello alla campagna elettorale. Il cuore al popolo 5 Stelle chiamato - ieri e oggi - “alle urne” virtuali per eleggerlo “Presidente”. L’uno e l’altro, il cervello e il cuore, per non perdere consenso e rinverdire quello un po’ appannato. E ritagliarsi, se possibile, nuovi simpatizzanti. Magari proprio nell’area di quello che dovrebbe essere il suo alleato e che sul dossier Ucraina ho trovato un segretario dem molto “interventista”. E pazienza se, in tutto questo, Giuseppe Conte dovesse essere giudicato illegittimo via tribunale, e per la seconda volta, nel giro di qualche settimana.
Un intreccio di calcoli e convenienze
E’ un intreccio di calcoli e convenienze quello che ha portato l’ex premier Conte ad alzare il dito e la posta “politica” negli ultimi giorni. In una insolita - o forse no - sintonia con Matteo Salvini, il leader 5Stelle ha pensato bene di provare a rompere proprio sulla guerra in Ucraina il fronte governativo- europeista-atlantista della maggioranza che sostiene Mario Draghi (il cui consenso in questo settimana è cresciuto, in base ai sondaggi, di quattro punti). Non solo: il fronte di tutta Europa e dell’alleanza atlantica che proprio nei vertici dei giorni scorsi hanno ribadito in una plastica compattezza il rafforzamento della difesa Nato a est, l’invio di armi all’Ucraina, la nascita della Difesa Europea e ribadito di voler portare al 2% del Pil l’investimento nel comparto Difesa di ciascuno dei trenta paesi Nato.
Giovedì mattina, appena Draghi ha messo piede a Bruxelles, Conte ha pensato bene di recapitare via social il messaggio “not in my name” e di indossare la maglia pacifista. E dire che la settimana prima, quando il senatore Vito Petrocelli, presidente 5S della Commissione Esteri a palazzo Madama, non ha votato il prima decreto Ucraina, Conte aveva annunciato: “E’ fuori”.
Passa qualche giorno e il mood di Conte rispetto alla guerra in Ucraina cambia: si adatta, annusa il vento e intercetta le piazze pacifiste. Che in Italia vuol dire “no armi”, “pace” e pazienza se gli ucraini dovranno arrendersi. In un crescendo di “nè-nè”, distinguo ed equilibrismi, l’ex premier tace martedì di fronte a decine di assenze grilline durante il messaggio di Zelensky al Parlamento italiano. Giovedì, appunto, recapita a Draghi l’avviso-ultimatum: “Il Movimento non può votare per l’invio delle armi alla resistenza ucraina”. Una minaccia esplicita alla tenuta del governo (che Conte per ovvii motivi non ha mai digerito). Un bastone tra le ruote grosso come un albero al suo rivale interno Luigi Di Maio. Il titolare della Farnesina, vuoi per cacciare via il prima possibile i ricordi di quando era filoputiniano, vuoi per proteggere il fedelissimo sottosegretario Di Stefano che è stato speaker ufficiale ai congressi del partito di Putin fino al 2019, è invece uno dei più attenti e indefessi costruttori del sostegno alla Nato ( e quindi al 2%) che della resistenza ucraina. Nonchè dell’attività diplomatica per diversificare il nostro energy mix.
E’ chiaro che nessuno fa il tifo per la guerra. E’ altrettanto chiaro però che il pragmatismo e il realismo politico impongono spesso dei compromessi. E far fare sempre a qualcun altro il lavoro sporco che ogni tanto occorre fare, non sempre paga in termini di affidabilità e leadership.
“Niente crisi di governo se…”
Dopo varie limature e correzioni, tre giorni di titoli in prima pagina e con l’avvicinarsi della verifica in aula delle sue minacce (martedì un ordine del giorno; mercoledì il voto al Senato del decreto Ucraina), Conte ha creduto bene di spiegare meglio la sua posizione in un paio di talk tv e con un video emozionale su Facebook. L’ultima versione del “not in my name” di Giuseppe Conte è la seguente: niente crisi di governo, a patto che il premier Mario Draghi tenga conto del no del M5s sull'aumento delle spese militari. Se Palazzo Chigi dovesse, per qualche motivo, tirare dritto sull'ipotesi di portare da subito la spesa per gli armamenti al 2% del Pil (entro il 2024, come è stato votato giovedì mattina nel vertice Nato cui ha preso parte anche Joe Biden), sarebbe “una forzatura che produrrebbe fibrillazioni per la tenuta dell’esecutivo”. Figuriamoci, ha spiegato l’ex premier, “se il Movimento può pensare in questo momento ad una crisi di governo. Però siamo la forza di maggioranza relativa e se si tratta di discutere un nuovo indirizzo faremo valere la nostra presenza. Il governo non può forzare e si assumerebbe la responsabilità di porre in fibrillazione. Spero in una prospettiva di buonsenso”.
“Devo incontrare Draghi”
Conte ha chiesto di incontrare Draghi per rappresentare a voce (quindi in questa settimana e prima di giovedì) il punto di vista del partito di maggioranza relativa. Al di là dell’ordine del giorno messo in votazione da Fratelli d’Italia e del voto sul decreto Ucraina tra martedì e giovedì al Senato, la prova di fiducia che attende Conte è nel Def (documento economico finanziario). Sarà anticipato a questa settimana per capire meglio l’andamento macroeconomico con i primi effetti della coda del Covid, dell’inflazione e poi della guerra. Dalle cifre del Def si capirà se viene dato subito seguito all’impegno preso poche ore fa in ambito Nato e Ue: portare al 2% del Pil le spese militari entro il 2024.
Conviene allora fare un esercizio. Ascoltare il Conte di oggi: “Di fronte all'instabilità di questo conflitto non si può rispondere con una reazione emotiva e alcune spinte a un riarmo indiscriminato. Non possiamo investire fondi straordinari nel riarmo e distrarre risorse ai cittadini in grande difficoltà economica e sociale”. E rivedere quello del 2019, allora premier, stringere la mano a Stoltenberg e ribadire, come avevano fatto altri premier di lui a partire dal 2006, che “certo che si, aumentino le spese per la sicurezza fino al 2% del pil”. Conviene anche farsi una domanda: qual è il vero Conte, quello che sorride alla Nato in qualità di premier? O quello che solletica il popolo ed in suo nome promette mai armi?
Mantenere la parola data
Maestro di equilibrismi, anche ieri ospite di Lucia Annunziata su Rai 3, ha detto: “Non ho mai messo in dubbio che gli accordi presi con la Nato siano da rispettare ma la tempistica ipotizzata otto anni fa non può essere un dogma indiscutibile”. Così come rifiuta che la sua linea e i suoi ultimatum a Draghi possano mettere in difficoltà Luigi Di Maio che ogni giorno dimostra di rifiutare la comfort zone dell’equidistanza e ha scelto di stare dalla parte dell’Ucraina, del paese aggredito. Delle democrazie e non dell’autarchie. Conte è uno dei tanti “nè-nè”.
Draghi tace. Difficile replicare a tante “bandierine” alzate con i relativi reclami di visibilità mentre si deve terminare il Def, diversificare le fonti di energia con tutta la partita europea che è molto tecnica, seguire le dinamiche Nato e gli eventi bellici, occuparsi che la diplomazia trovi il modo di far tacere le armi. A Bruxelles, alla fine di due giornate lunghe e complicate, alla domanda su Conte-Salvini, il premier ha un po’ allargato le spalle. Le braccia sarebbe stato eccessivo. “Ora non è il momento dei distinguo - ha chiesto - Ciascuno poi farà i conti con la propria coscienza e con il proprio elettorato. La politica, oggi, deve parlare del presente e del domani. In questo momento, l’unica cosa che - secondo me - può fare la politica che vuol bene al Paese e vuole la pace è stare uniti e seguire la posizione degli alleati”.
I dubbi nei gruppi parlamentari
Frasi che giungono proprio mentre gli iscritti pentastellati sono chiamati a pronunciarsi nuovamente sulla leadership del Movimento e sul resto degli organi dirigenti, la cui votazione iniziale e' stata annullata da un'ordinanza del Tribunale di Napoli, sollecitata dal ricorso di un gruppo di militanti. Le votazioni sono iniziate stamani alle 8 e si concluderanno domani alle 22. Nei gruppi parlamentari 5 Stelle non pochi fanno fatica a sostenere la posizione di Conte, nel merito e anche nella tempistica. “Uscire con posizioni diverse proprio mentre erano in corso i vertici a Bruxelles è stata deleterio soprattutto per Luigi (Di Maio, ndr) e per il suo ruolo di ministro degli Esteri” spiegano i fedelissimi del titolare della Farnesina e anche del presidente della Camera Roberto Fico che tanto si è speso, con successo, per avere il vide collegamento con Zelenscky. Quel giorno a Montecitorio mancarono 350 parlamentari. Soprattutto Lega e 5 Stella. Molti erano malati, in missione, indisponibili.
La promessa di un nuovo ricorso
Il crescendo antibellico e antiarmi di Conte capita proprio alla vigilia della votazione per il nuovo presidente. Conte era già stato eletto ma il Tribunale di Napoli, sulla base del ricorso di un ex 5 Stelle, l’avvocato Lorenzo Borrè, ne ha ordinato la sospensione decadenza. Conte ci riprova. Convinto di aver ragione. L’avvocato che ha già vinto il primo ricorso però avverte: “Al 99% ci sarà un nuovo ricorso, dobbiamo ancora valutare alcuni aspetti di dettaglio ma la volontà c'è e probabilmente questa volta sarà da parte di un numero più cospicuo di attivisti che sono stati esclusi dalle votazioni”. Quindi tra qualche mese l’ex premier, dopo aver fatto fibrillare la maggioranza e il governo, potrebbe ritrovarsi di nuovo come è adesso: un re senza regno.