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Tutto da rifare anche sul Reddito di cittadinanza. La maggioranza critica il buon senso della ministra

La titolare del Lavoro ha presentato una bozza (MIA) che in realtà almeno nei primi mesi non toglie del tutto il sussidio. Un decalage per avere meno contraccolpi sociali. Ma Lega e anche Fratelli d’Italia hanno bocciato l’impostazione

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
(Ansa)
(Ansa)

Prima il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Tommaso Foti: “Tutto quello che avete letto su come sarà riformato il reddito di cittadinanza, potete scordarlo. Non esiste ancora il testo definitivo”. A ruota Matteo Salvini: “Poche storie: a luglio il reddito cessa di esistere e chi può lavorare, andrà a lavorare”. Un poco più tardi la stessa ministra del Lavoro Marina Calderone è costretta anche lei a “precisare”, “sottolineare”. Rassicurazioni del tipo: “Sulla revisione del reddito di cittadinanza stiamo lavorando in modo incessante, ci sarà un confronto all'interno del governo e anche più allargato con le parti sociali, con i sindacati. Una norma di questo tipo ha una ricaduta importante su platee numerose di soggetti”. Ve gestita con cura, insomma, non con l’ accetta né con le bandierine ideologiche.  “Siamo a buon punto- ha rassicurato ieri il ministro  - ma il testo non è ancora definitivo”. La questione è semplice nella sua complessità: Lega e anche un pezzo di Fratelli d’Italia vogliono l’abolizione secca del Reddito per chi può essere occupabile, per chi ha cioè l’età e il fisico per poter lavorare. La ministra Calderone, che è un tecnico e una dei massimi esperti del mondo del lavoro, una che sa perfettamente che in questo paese fare formazione e fare incontrare domanda e offerta è un’impresa, si muove invece con massima sensibilità su una materia che va sostituita/abrogata evitando troppi contraccolpi negativi.  Il Reddito di cittadinanza cioè non può essere gestito con un approccio ideologico - sì/no, bianco/nero - come invece fanno Salvini e anche un pezzo di Fratelli d’Italia. Il populismo - da destra e da sinistra - sta andando a sbattere anche su questa complessità - quella del lavoro - come sta già accadendo sull’immigrazione.

Risultato: nuove tensioni in maggioranza sul nuovo reddito di cittadinanza. Come se non bastassero la giustizia, i balneari, l’immigrazione e tutto il resto. E a cui si aggiunge adesso in modo abbastanza palese l’insofferenza di Lega e Forza Italia rispetto all’intinto definito “predatorio” di Giorgia Meloni, una leader “accentratrice”, che “vuoi controllare e decidere tutto” a cominciare dal pacchetto di nomine di controllate e partecipate, parliamo di centinaia di posti di primissima fascia, potere e soldi, una partita in corso proprio in queste settimane.

Acronimo “MIA”

Lunedì mattina sul Corriere della sera escono più articoli che salutano l’arrivo di MIA, Misura di Inclusione Attiva, che prenderà il posto in agosto del Reddito di cittadinanza. IN base alla legge di bilancio, chi non può lavorare (per problemi di salute o età)  continuerà ad avere il sussidio. Tutti gli altri, circa 700 mila persone, dovranno andare a lavorare. Anche perché il mercato del lavoro ha, per fortuna, grande bisogno di mano d’opera più o meno qualificata.  Vengono pubblicate le bozze e non il testo finale. Servono limature e correzioni ma quello sarà il perimetro e il senso della nuova misura.  Le bozze disponibili parlano di un assegno da 375 a 600 euro che dal primo settembre sarà destinato a due platee in cui vengono separati i potenziali beneficiari: la prima è quella delle famiglie a basso Reddito dove ci sono over 60, minori o disabili, la seconda è quella in cui risiedono uno o più soggetti occupabili dai 18 ai 60 anni. Per i primi, l'assegno massimo, con un tetto Isee fino a 7.200 euro, varrà 500 euro per al massimo 18 mesi. Per i secondi si parla di 375 euro per un anno, e perdita del beneficio con un solo rifiuto di un'offerta di lavoro congrua. Scaduti i termini, per le famiglie senza occupabili, dopo un mese di pausa, si potrà riottenere la Mia per altri 12 mesi. Se invece nel nucleo famigliare ci sono degli occupabili, dopo un mese di pausa, si potrà ottenere l'assegno ancora per sei mesi, dopodiché verrà imposto uno stop di 18 mesi prima di poter fare ancora richiesta. La domanda andrà presentata in via telematica all'Inps che, dopo una serie di controlli incrociati, darà il via al pagamento degli assegni. I nuclei familiari senza occupabili verranno presi in carico dai comuni che dovranno attivare percorsi di inclusione sociale. Chi può lavorare dovrà sottoscrivere il 'patto' che prevede il coinvolgimento di centri pubblici per l'impiego e, gran novità, anche agenzie private. Rispetto al testo attuale, per gli occupabili l’assegno sarà inferiore in media del 25%. Sono stati simulati alcuni esempi partendo dalla bozza della MIA e tenendo conto dell’importo massimo del sussidio contro la povertà. Madre con due figli minori: con il Reddito prende 700 euro, con Mia ne va a prendere 600. Un altro esempio: madre, padre e due figli maggiorenni: l’importo massimo oggi è 1.050 euro al mese, andrebbe a scendere fino a 787 euro. Ancora, madre, padre, due figli maggiorenni e uno minorenne: l’importo massimo oggi sarebbe di 1050 euro, con il Mia sale a 1100 (perché il minore riceve comunque 50 euro). Un uomo che vive da solo, 45 anni, non disabile, cala da 500 a 375 euro al mese perché non rientra nelle categorie protette.  E’ stato calcolato che il risparmio per lo Stato nel primo anno si dovrebbe aggirare intorno ai 3miliardi.

“Il Mia nasce dalla volontà di risolvere il tema delle politiche attive e di spostare quello che oggi è un sussidio sul tema della politica attiva. Quindi, ovviamente, non è una retromarcia” disse nell’immediato il sottosegretario al Mef, Federico Freni. Luci e ombre per il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: “Per i cosiddetti non occupabili cambia poco, il Reddito di cittadinanza si conferma essere fondamentale come contrasto alla povertà. C'era da fare un lavoro sulle politiche attive, su tutto ciò che c'è attorno alla misura e su questo mi sembra che vada nella giusta direzione. Noi abbiamo tanti inattivi e abbiamo progetti di inclusione che spesso non vengono svolti da Comuni e centri per l'impiego, qui mi sembra che ci sia una spinta molto forte in questa direzione”. Ha ricordato poi che “l'Italia dovrà fare i conti con le direttive della Commissione Europea sul Reddito minimo. Mi sembra effettivamente una grande criticità”.

Non è l’abolizione

Il punto è che la Mia non abolisce radicalmente tutto da subito. E’ un lento decalage. La ministra Calderone, nella vita precedete presidente dei consulenti del lavoro, ha messo le mani sulla riforma del Reddito conoscendo l’Italia, sapendo come funzionano realmente le cose, tenero di conto la normativa anche europea di riferimento e, con la mano sul cuore, nel senso che non ha alcuna intenzione di far scoppiare una guerra civile. Cosa che invece si annuncia, con la guida politica dei 5 Stelle, nel sud Italia. Dunque Mia è il compromesso probabilmente migliore tra le promesse fatte (“via il reddito, basta col metadone di stato, tutti a lavorare”) e la realtà dei fatti. Che dice, ad esempio, che l’82 per cento dei percettori del Reddito nella regione Campania ha bisogno di formazione per poter provare a cercare lavoro.

La frenata

Salvini, invece e giusto per fare un esempio, la vede così: “Dal prossimo mese di agosto il Reddito di cittadinanza come lo abbiamo conosciuto non ci sarà più. Se uno è in grado di lavorare deve lavorare, altrimenti siamo uno Stato che si basa sull’assistenzialismo”. Insomma, per la Lega e non solo anche quei 6-12 mesi a 350 euro non vanno bene, devono essere aboliti.  Da qui la frenata delle ultime ore. “Mai avuto in programma di portare Mia nel Consiglio dei ministri straordinario di Cutro” assicurano dal ministero che pure è impegnato nella stesura del decreto migranti. “Mai letto nulla, mai visto nulla” ribadiscono dal Mef che resta in attesa di una relazione tecnica.

In realtà la bozza ha scontentato tutti, maggioranza ed opposizione. I 5 Stelle, nel bene e nel male  creatori e custodi della misura, hanno giù ribattezzato Mia come Mea, misura per l’esclusione sociale. “Taglia fuori oltre 340mila nuclei familiari in un momento in cui tutti, a cominciare dall'Europa, stanno chiedendo più risorse per combattere la povertà” dicono i parlamentari 5 Stelle nelle commissioni Lavoro di Camera e Senato. “Non possiamo non notare - dicevano ieri -  che dopo anni di attacchi contro di noi questa maggioranza prende l'impianto del Rdc, lo peggiora sotto tutti i punti di vista e lo spaccia come novità. Persino il sostegno agli 'occupabili', che per Giorgia Meloni era 'metadone di Stato', rimane. Nulla si sa invece su come il Governo intenda agire sul fronte delle politiche attive: ad oggi non si hanno ancora notizie dei fantomatici corsi di formazione sbandierati a destra e a manca. Basta con la propaganda sulla pelle delle persone”. Michele Gubitosa, invece, lo boccia su tutta la linea. “L'impianto di Mia dovrebbe tagliare fuori 345mila famiglie che attualmente percepiscono il Rdc, a causa dell'abbassamento della soglia Isee da 9.360 euro a 7.200 euro. Si conferma e si spiega così il taglio di  900 milioni di euro nella legge di bilancio destinati al contrasto alla povertà”.

Fotografia del Reddito

Il Codacons ha fatto i conti: da marzo  2019, data della prima emissione, a oggi la misura del Reddito (insieme con la pensione di cittadinanza) è costata allo Stato 27,8 miliardi: nel primo anno, 3,9 miliardi di euro di cui hanno beneficiato 1,1 milioni di famiglie e 2,7 milioni di italiani; nel 2020 la spesa per il Rdc è salita a 7,14 miliardi di euro (1,57 milioni di nuclei, 3,69 milioni di persone) per raggiungere quota 8,79 miliardi nel 2021. Lo scorso anno il sussidio è costato allo Stato 7,99 miliardi di euro ed è stato destinato a 3,66 milioni di italiani. “Il Reddito di cittadinanza è  costato complessivamente circa 1.078 euro ad ogni famiglia italiana che con i propri soldi ha finanziato la misura” ha spiegato il presidente Carlo Rienzi.

Ora però non è semplice uscire da questa situazione. E, come pare, non si può chiudere subito tutti i rubinetti dell’assistenza. Al ministero si sono quindi rimessi al lavoro sugli importi che poi determinano le platee. E la ministra è al lavoro per operare con la massima sensibilità su una materia delicatissima cercando di evitare troppi contraccolpi. Si chiama buon senso. 

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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