Il MES, rito di passaggio del governo Meloni. Ecco chi poi dovrà decidere
Che sia a giugno o settembre, mugugnando e puntando i piedi i parlamentari di Lega e Fratelli d’Italia saranno chiamati insieme agli assai meno recalcitranti parlamentari di Forza Italia a votare a favore del cosiddetto Fondo salvastati

Inevitabile. Nonostante le urla e le strida di un tempo, le proteste, i pugni agitati minacciosamente, la ratifica del tanto detestato MES appare ormai inevitabile. Che sia a giugno o settembre, mugugnando e puntando i piedi i parlamentari di Lega e Fratelli d’Italia saranno chiamati insieme agli assai meno recalcitranti parlamentari di Forza Italia a votare a favore del cosiddetto Fondo salvastati. E non è improbabile che alla fine la via d’uscita dal cul de sac nel quale il governo si è cacciato insieme alla sua maggioranza sarà quella suggerita ripetutamente da Mario Monti sulle colonne del Corriere della Sera: ratificare il MES ma rimettere il potere di decidere se accedervi o meno al Parlamento e non al governo.
Il rito di passaggio all’età adulta
Benché, come sostenuto da più parti, la questione sia abbastanza tecnica, e probabilmente interessi solo alla platea euroscettica timorosa che l’Italia sia venduta agli eurocrati e pronta a gridare al tradimento, la vicenda potrebbe rappresentare un momento importante nella vita di questa maggioranza e del governo e quindi della politica italiana e forse europea. La ratifica del MES, per quanto avverrà obtorto collo, potrebbe infatti rappresentare il rito di passaggio all’età adulta di FdI. Un rito che l’ala giorgettiana della Lega ha compiuto da tempo, anzi forse si può dire che è nata già adulta, e che invece l’ala salviniana appare lungi dal compiere e chissà se mai lo farà.
Bruxelles e non Budapest
Procedendo senza troppi ritardi alla ratifica il governo Meloni darebbe la dimostrazione di voler guardare a Bruxelles piuttosto che a Budapest e che il terreno di gioco sul quale intende misurarsi, anche duramente se ritenuto necessario, è quello comunitario e non quello sovranista. Risolverebbe inoltre un montante problema di credibilità dell’Italia, ovvero quello di un paese che prima firma un trattato e poi non lo ratifica. Succede per carità ed è successo in passato ad altri paesi, anche in occasioni ben più importanti come quella del trattato di Nizza, la cosiddetta “Costituzione europea”, bocciato dai referendum francesi e olandesi, ma di certo non rappresenta un bel viatico per i negoziati su altri tavoli europei. Tra di essi il più importante è senza dubbio quello della riforma del patto di stabilità, ma vi sono anche quello della presidenza della Banca Europea degli Investimenti (BEI), per la quale è in lizza Daniele Franco, o della presenza nel board della Banca Centrale Europea (BCE) nel caso l’attuale membro italiano, Fabio Panetta, venga nominato governatore della Banca d’Italia quando a breve scadrà il mandato di Ignazio Visco.
Est modus in rebus
A contare però non sarà solo la ratifica, ma anche come ci si arriverà, posto che in ogni caso ci si arriverà entro la scadenza del dicembre 2023. Un conto sarebbe che alla fine sia il governo a guidare il processo, più o meno palesemente, e a portare la sua maggioranza ad accettare appunto l’inevitabile. Un altro che il tutto avvenga in modo convulso, magari con l’astensione leghista e il soccorso dell’opposizione. Ma soprattutto un conto sarebbe che il governo prenda atto rapidamente che in Europa il MES non è ritenuto materia di scambio e moneta da giocare su altri tavoli e che accetti di ratificare prima per guadagnarsi quel rispetto che servirà poi. Un altro che continui a tentare di usare il MES come arma di negoziato, o persino di ricatto, per poi essere sconfitto e dover ratificare avendo perso credibilità. Ogni negoziato sul Patto di Stabilità diverrebbe a quel punto per il nostro paese assai più complesso di quanto non lo sia già.
Le elezioni europee
C’è infine un ultimo aspetto che sicuramente stanno considerando nelle stanze di Palazzo Chigi, ed è quello delle elezioni europee e, a cascata, della nomina della prossima Commissione Europea. Meloni è a capo del Partito Conservatori e dei Riformisti Europei e da qualche mese sta lavorando a un asse con i Popolari Europei che le consenta di entrare in maggioranza nel futuro Parlamento Europeo e partecipare, e magari condizionare, gli assetti tanto a Strasburgo quanto a Bruxelles. Creare problemi sul MES oltre il politicamente comprensibile potrebbe pregiudicare tale prospettiva o quanto meno renderla problematica.
Non è mai facile
Passare dal salviniano “No Euro” al “Sì MES” sembra offrire molti vantaggi sia per il paese che per la presidente del Consiglio e per il suo partito, almeno sul versante europeo. Il problema, naturalmente è il versante nazionale dove si tratterebbe di giustificare un voltafaccia non da poco e, pur accettando di perdere un po’ di voti degli euroscettici, evitare di lasciarli tutti a Salvini, il quale comunque avrebbe anche lui i suoi problemi. Si tratta quindi di capire come riuscire a presentare in modo efficace la repentina inversione di marcia, magari giocando sulla doverosa tutela del risparmio italiano, e sapendo comunque di poter contare su una prospettiva di governo assai lunga. Sono scelte complesse, che incidono sul futuro dell’Italia e dell’evoluzione del suo assetto politico. Ma d’altronde diventare adulti non è mai facile.