Meloni dichiara guerra all’Europa. Dice no ai top jobs. Trattativa aperta su Ursula: “Ti voto se…”
Il Consiglio europeo si è concluso nella notte, un giorno prima del previsto, con la votazione sulla alte cariche. Von der Leyen e Kallas proposte all’Europarlamento. Il portoghese Costa (socialista) succede a Michel alla guida del Consiglio. Unici contrari Italia e Ungheria. Una giornata di corteggiamenti per tenere dentro l’Italia
L’ha fatto davvero. Giorgia Meloni ha isolato l’Italia, l’ha messa, insieme all’Ungheria, contro il resto d’Europa. Due contro 25. E l’altro che è accanto a te, Orban, è l’avamposto di Putin e Xi in Europa. Solo Italia e Ungheria infatti non hanno votato i top jobs, le alte cariche delle nuova governance europea 2024-2029, decisi in queste due settimane di trattative dai partiti vincitori (Popolari, Socialisti e democratici e Liberali). L’Italia si è astenuta sul bis von der Leyen, anche perchè un secondo dopo sarebbe probabilmente saltato il governo in casa visto che Tajani non solo è stato messo in minoranza ma è stato umiliato nel Ppe che ieri, nella lunga giornata prima del voto, era stato convinto a corteggiare un po’ Giorgia Meloni. L’Ungheria di Orban ha votato contro il bis di von der Leyen. Italia e Ungheria hanno votato entrambe contro la nomina della premier estone Katia Kallas (liberale) ad Alto commissario. Solo l’Italia ha votato contro il socialista portoghese Costa indicato alla presidenza del Consiglio europeo, il prossimo padrone di casa dell’Europa building al posto di Michel.
Europa avanti, nonostante l’Italia
Perchè ovviamente il pacchetto di nomine, nonostante l’impegno di Italia e Ungheria, è passato con un largo consenso, 25 stati su 27. Come ha sottolineato lo stesso Michel in una conferenza stampa convocata quando ormai era l’una del mattino. “Missione compiuta - ha detto - Era necessario farlo in giornata e ci siamo riusciti. Ed è per me un grande piacere e un grande onore annunciare le decisioni prese stasera dal Consiglio europeo circa le nomine per il prossimo ciclo istituzionale. Antonio Costa è stato eletto presidente del Consiglio Europeo. Ursula von der Leyen e Kaja Kallas sono state entrambe proposte per assumere la presidenza della Commissione e per diventare Alto rappresentante. Questo significa - ha aggiunto Michel - che il Consiglio europeo si è assunto pienamente la propria responsabilità nonostante i temi importanti, essenziali, forse anche pesanti all’ordine del giorno. Questo è un segnale forte che diamo ai cittadini europei rispetto alla capacità della democrazia di essere efficace, diretta e conseguente. I leader hanno preso in considerazione sia il risultato delle elezioni europee, sia il lavoro preparatorio per l'agenda strategica”. Neppure una parola sul caso italiano. Non stanotte almeno. Di sicuro sarà argomento fisso nei prossimi giorni. Probabilmente in tutta la legislatura.
Solo un post
Giorgia Meloni ha lasciato subito Bruxelles. Affidando le ragioni di una scelta così importante e dirimente - nel senso che ci sarà un prima e un dopo per l’Italia in seguito a questa decisione - ad un post su X: “La proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici europei è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerla per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che da quei cittadini sono arrivate con le elezioni. Continuiamo a lavorare per dare finalmente all’Italia il peso che le compete in Europa”. E’ la sintesi di quello che ha detto il giorno prima in Parlamento nella comunicazioni prima del Consiglio europeo: “Io ho vinto e i Conservatori anche, siamo diventati il terzo gruppo in Europa e non siamo stati consultati per decidere le nomine. Quindi visto che mi avete escluso, giocate voi, io non gioco. E poi faremo i conti in Parlamento”. Un concetto facile facile per i non addetti ai lavoratori, musica per antieuropeisti e sovranisti, e però profondamente sbagliato. Prima di tutto perchè la buona prova politica di Fratelli d’Italia non c’entra con l’Europa. Secondo perché i Conservatori saranno anche diventati il terzo gruppo politico superando di sette seggi i Liberali (la storia sarebbe cambiata se gli Stati Uniti d’Europa avessero superato il quorum e se Calenda avesse accettato quel cartello elettorale) ma il loro programma politico per l’Europa è distante per non dire contrario a quello di Socialisti e Liberali, in parte anche dei Popolari. Le alleanze, fino a prova contraria, si fanno sui programmi e sulle idee e non sulle somme algebriche. Tutte motivazioni, queste, che Giorgia Meloni ha ignorato accecata solo dalla rabbia di non essere lei e solo lei a dare le carte. Così - è il ragionamento fatto - se non posso giocare come dico io, allora cerco di non far giocare neppure voi. “Ci vediamo in Parlamento (a Strasburgo il 18 luglio ndr), li vedremo chi ha i numeri per fare cosa” ha ripetuto ieri la premier a Bruxelles a chi la avvicinava cercando di portarla su più miti posizioni.
“Contrari al metodo e al merito”
Nessuna conferenza stampa - e figurarsi: oltre il post su X, sono filtrate altre poco cose da fonti di Palazzo Chigi: “Il governo italiano ha ribadito la propria contrarietà al metodo seguito nella scelta da parte dei negoziatori PPE, S&D e RENEW esprimendo voto contrario ai candidati a Presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa e a Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas”. Nello specifico, sul bis di Ursula von der Leyen, “è stata deciso un voto di astensione nel rispetto delle diverse valutazioni tra i partiti della maggioranza di governo e nell'attesa di conoscere le linee programmatiche e aprire una negoziazione sul ruolo dell’Italia”. Quando l’euroeparlamento Parlamento dovrà votare il bis di von der Leyen - e serviranno almeno 361 voti, la metà più uno dei 720 - in quel caso i Conservatori decideranno cosa fare. Una scelta attendista, un rinvio in attesa di vedere come si comporta von der Leyen nelle prossime due settimane: ad esempio se viene erogata subito la quinta rata, oltre 12 miliardi di cui le casse dello Stato hanno bisogno come dell’aria. Come si comporta la Commissione sulla sesta rata, cioè se l’accetta così com’è ( e non è quella richiesta). In attesa di conoscere meglio le linee programmatiche, ovvero quale programma di cui finora in effetti si è capito molto poco e quel poco non sembra sufficiente (ad esempio sulla difesa europea). E di sapere, molto più concretamente, quali incarichi di peso si vorrà dare all’Italia. Insomma, un vero e proprio baratto. Io ti voto se…. Nessuno si scandalizza. Così fan tutti e da sempre. Aver votato contro ed essersi astenuta significa aver creato una ferita profonda in Europa: l’Italia è un paese fondatore e, come ha ricordato il Presidente Mattarella l’altro giorno, “non si può prescindere dall’Italia”. Che vuol dire il giusto rispetto ma anche la necessaria responsabilità. Cosa che ieri sera è totalmente saltata a Bruxelles.
Possiamo vedere la cosa anche da un altro punto di vista: Meloni preferisce rischiare l’irrilevanza (contare poco o nulla nella prossima legislatura) anzichè essere accusata di incoerenza (votare un socialista come Costa). Una piccola bandiera da issare se poi a livello parlamentare dovesse decidere di votare von der Leyen e la sua squadra. Altri invitano a ricovare che ci sono stati alcuni presenti: nel 2019 Angela Merkel non votò ad esempio von der Leyen per questioni interne; lo stesso accadde nel 2014 quando Cameron ha votato contro Juncker. Ma nessuno di questi era alla guida di un partito di destra. E soprattutto le destre non erano mai arrivate a contare 202 eletti nell’Europarlamento. Duecento persone divise in tre, forse quattro gruppi incompatibili l’uno con l’altro e quindi incapaci di avere una conseguente potenza di fuoco. Un quadro del tutto diverso, allora e oggi.
Il corteggiamento
E dire che c’è stato un momento ieri verso le 19 in cui sembrava le cose potessero andare così bene da non richieste neppure una votazione. “Si andrà probamente per alzata di mano” spiegavano i portavoce delle delegazioni straniere. Non quella italiana, questo va detto. Quando i leader arrivano all’Europa Building le trattative lavorano a piano regime. In realtà sono iniziate la mattina del 10 giugno e non sono mai cessate. Dietro le quinte il negoziato è andato avanti a oltranza per portare tutti a bordo, anche Italia e Ungheria e avere così l’unanimità. Sarebbe stato un bel segnale una volta blindato l’accordo già fatto sulla quadriglia: von der Leyen, Costa, Kallas e Metsola. Il loro via libera non è mai stato in dubbio.
Quello che è successo ieri in modo anche abbastanza plateale è stato il corteggiamento nei confronti dell’Italia. Trainati dai Popolari Ue, i capi di Stato e di governo hanno ribaltato l’approccio nei confronti dell'Italia e dell’ “esclusa” Giorgia Meloni. Per scongiurare che l’intesa fosse bocciata da un Paese fondatore con uno strappo che sarebbe destinato ad allargarsi nel segreto delle urne del voto finale all'Eurocamera a metà luglio. Quello che poi invece è successo.
E’ stato il presidente del Ppe, Manfred Weber, ad iniziare il corteggiamento: “L'Italia è un Paese del G7, leader nell’Ue” e i suoi “interessi” vanno presi in considerazione. Poi, uno dopo l'altro, gli esponenti di punta dei popolari hanno teso la mano alla premier italiana. Negando che sia stata esclusa dai negoziati. Parlando di “un malinteso” e di ragioni “politiche” e matematiche di maggioranza. Il premier polacco e anche uno dei sei leader negoziatori Donald Tusk, ha detto che “non c'è Europa senza Italia” e che nessuna decisione può essere presa senza la sua leader. Una linea ribadita anche dal vicepremier Antonio Tajani che - impegnato a fare da sponda a Meloni e perorare la causa italiana di “un vicepresidente e un portafoglio di rilievo” nella Commissione europea - ha messo più volte in luce le “convergenze” tra il suo Ppe e l'Ecr della premier su più fronti - dall'Ucraina alla lotta alla migrazione clandestina. Ha sudato settecento camicie il povero Tajani. Tutto inutile. Unica cosa che è riuscito a strappare è stata l’astensione su von der Leyen. Con quel messaggio incorporato: all’eurocamera a luglio ti voto se…
Anche i toni di Sholtz, una volta arrivato ieri al Consiglio, sono stati già concilianti. Se nei giorni precedenti con Macron ha pilotato le trattative in modo chiaro ed esplicito per tenere fuori i sovrasti dalla cabina di regia dell’Europa, ieri il Cancelliere ha detto che i Ventisette Paesi sono “tutti ugualmente importanti” per tutelare l’intesa. L’accordo sui nomi, ha rimarcato anche il liberale Mark Rutte, è stato chiuso dai gruppi di maggioranza per i quali la presenza di Ecr è “inaccettabile” senza però alcuna volontà di “escludere” l'Italia. Altre fonti Ue hanno spiegato durante il giorno che la stessa premier ha avuto al tavolo del Consiglio “un approccio costruttivo”.
Nel corso della giornata l’unico che è sempre stato dato per perso è stato Orban. Via via son rientrati Slovacchia e Repubblica Ceca. A mezzanotte il colpo di scena che quasi tutti credevano di aver scongiurato.
Quali alleanze
Non c’è tempo di festeggiare, anzi. Ursula von der Leyen deve subito mettersi al lavoro per blindare il suo incarico nell’Europarlamento. Sa bene che 399 voti non bastano. Il tasso di franchi tiratori è stimato intorno al 15%. deve allargare. E dove? A sinistra con i Verdi che mettono a disposizione 52 voti? E’ quello che vogliono Liberali e Socialisti. O a destra con l’Ecr che ne mette in palio 83? In realtà basterebbero anche solo i 24 voti di Fratelli d’Italia. Tanto, se Giorgia ordina, i suoi 24 obbediscono. Anche nel segreto dell’urna. I Popolari sono divisi, metà guardano a sinistra e l’altra metà a destra. Il voto francese saprà dare le necessarie indicazioni sul dà farsi.