Meloni completa la squadra ma è piena di spine: il protagonismo di Salvini e i mugugni di Forza Italia
Ieri l’esordio del Consiglio dei ministri con tre misure molto identitarie. E non urgenti. Fatta la squadra di 39 sottosegretari. Penalizzata Forza Italia. Fuori molti big cui era stato promesso un posto. Ben venti senatori al governo. Palazzo Madama non c’è più la maggioranza
“E andato tutto bene. Ottimo clima e misure di cui vado molto fiera”. Giorgia Meloni, alla guida di un governo “pronto e veloce”, si presenta alla sua prima conferenza stampa da premier come se fosse le centesima: tre ministri sulla sinistra (Matteo Piantedosi all’Interno, Carlo Nordio alla Giustizia, Orazio Schillaci alla Sanità) e alla destra il sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano. E’ “fiera” tre volte Giorgia Meloni. Dell’intervento sull'ergastolo ostativo, confermato nonostante quello che dirà la Corte Costituzionale nella sentenza atteso per l’8 novembre. Cosa succederà se, come probabile, la Consulta si pronuncerà contro il fine pena mai, senza alcun tipo di beneficio, per boss e terroristi? Uno scontro con la Corte? Oppure dovremo leggere bene il decreto già firmato da Mattarella e magari scoprire che qualche spiraglio alla funzione rieducativa del carcere è stata lasciata.
E' fiera, il premier, del fatto che “non ci sarà più un approccio ideologico” nella gestione Covid, dando così voce e ragione al popolo no vax a cui la destra ha sempre strizzato l’occhio in questi tre anni. E buttando al tempo stesso nel cestino i valori della scienza e il duro lavoro fatto in questi anni. Comunque da oggi i medici e il personale sanitario (15 mila in totale) non vaccinato potranno tornare in servizio. Dove era stato loro vietato andare perché non vaccinati.
"Fiera" tre volte
Ed è “fiera" del segnale che riesce a dare il suo governo: “In Italia non si può venire a delinquere”. Il terzo capitolo del primo decreto del primo vero consiglio dei ministri introduce infatti un nuovo reato per punire chi organizza rave party. Delle tre misure - giustizia, sicurezza, sanità - è forse quella più giusta: è dall’estate 2021 che le forze dell’ordine chiedono questo reato. “Altrimenti - hanno spiegato - siamo a mani vuote contro i patti clandestini”. La più giusta. Di sicuro non la più urgente. Unica urgenza ce l’ha l’altra parte del decreto giustizia là dove rinvia al 31 dicembre l’entrata in vigore della riforma Cartabia. Che da mercoledì avrebbe dovuto iniziare a cambiare la giustizia penale di questo paese. In effetti il rinvio è stato chiesto dagli stessi procuratori perché impossibile adeguarsi alle nuove regole. “Nessun rischio per il Pnrr” assicura il premier, “entro la fine dell’anno avremo quello che serve”. C’è da chiedersi piuttosto perché gli uffici non si siano adeguati alla riforma nei tempi previsti.
Comunque, Meloni aveva promesso discontinuità e così sia. Su temi, però, molto identitari - sicurezza, carcere duro per i boss e Covid - e paganti in termini di consenso. Per i dossier urgenti - quelli economici - bisogna aspettare la prossima riunione che dovrebbe essere venerdì. Ma qui difficilmente ci potrà essere discontinuità con il governo Draghi. Ed è alto il rischio di deludere il proprio elettorato.
Una spina nel fianco di nome Matteo
Tranne forse che per circa 700 mila percettori del reddito di cittadinanza per cui potrebbe cessare il sussidio. Dice Salvini che il risparmio, circa un miliardo e mezzo, sarà impiegato per garantire Quota 102. E se lo dice Salvini, a giudicare dall’andazzo di questa prima settimana, significa che nell’arco di 48 circa la previsione si realizza. "La squadra è unita e compatta e io ho chiesto a tutti lealtà. Non ci sono problemi. Per ora almeno. Certo poi magari arriveranno, lo so…” ha sorriso sapiente. Quando non si può sapere. Più facile ipotizzare da chi saranno sollevati i problemi: dal protagonismo della Lega, ad esempio; e dai mugugni di Forza Italia, in tensione per come è stata chiusa la partita dei sottosegretari.
39 tra viceministri e sottosegretari
Dopo il tira e molla sottotraccia negli ultimi giorni, ieri il premier ha chiuso anche il capitolo del sottogoverno. La squadra ora è al completo “e dobbiamo lavorare”. Così come quando annunciò la lista dei ministri, anche ieri pomeriggio quando ha letto la lista dei 39 nuovi membri de governo, ci sono state sorprese e malumori nella maggioranza. A bruciare tutti sui tempi è stato Matteo Salvini che prima ancora che la premier rendesse noti i nomi in maniera ufficiale ha diffuso l'elenco della squadra leghista. Un gesto giudicato irrituale dagli altri azionisti della maggioranza. E che mette in evidenza la volontà del leader della Lega di avere una forte presenza, quasi da protagonista, sulle iniziative del governo da parte del leader leghista. Una tattica precisa: alzare bandiere identitarie e poi giocare d’anticipo. Da quando è diventato vicepremier la mattina o la sera prima lancia un post o un tweet con un tema specifico da affrontare, il primo giorno disse stop agli sbarchi, poi il tetto al contante, stop alle mascherine, l’altro giorno la previsione sul reddito di cittadinanza, ieri la riunione sul Ponte sullo stretto. Nelle ore successive poi tutto si è puntualmente verificato. Per rispondere a questa “spina nel fianco” Meloni usa il decisionismo e la velocità. E le piccole tensioni crescono. Anche l’anticipo dei nomi, ieri, ha irritato la premier che oltre mezz’ora dopo, quando li ha potuti leggere in conferenza stampa, è sembrata tesa e irritata.
Tutti i numeri del sottogoverno
Dalle parti degli azzurri, c’è rammarico per una squadra ridimensionata dai diktat del premier. Lo dicono i numeri. Stravince Fratelli d’Italia con 19 dei 39 sottosegretari. Tra loro Galeazzo Bignami, pizzicato nel 2005 in una foto dove indossava la divisa delle SS. La Lega ne porta a casa 11, Forza Italia 8, tra cui la sorpresa del neo deputato Tullio Ferrante, giovane avvocato napoletano, destinato alle Infrastrutture, amico di Marta Fascina, “l’unica vincitrice nel partito”; a Noi Moderati tocca un posto, con Giorgio Silli, Vittorio Sgarbi è considerato indipendente ma è quota centristi. Chiosa sui centristi: sulla carta sembrano molto penalizzati, nessun ministero e un solo sottosegretario. Eppure dovrebbero essere loro l’àncora di salvezza di Meloni qualora in Forza Italia le cose dovessero mettersi male e i gruppi parlamentari implodere. “La nostra ricompensa - spiega una fonte centrista - è stata poter avere i gruppi parlamentari nonostante abbiamo solo sette eletti”. Il gruppo vuol dire soldi, uffici, diritti d’aula. E, se e quando sarà il caso, essere la casa pronta per eventuali transfughi. Che altrimenti andrebbero nel Misto. O, peggio, nel Terzo Polo. Sono solo 13 le donne e 27 gli uomini. Ancora una volta, la maggior parte arriva dal nord, eccezione il Lazio che ne esprime ben sei. Alcuni regioni - Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Molise, Basilicata - sono rimaste senza rappresentanza.
La delusione di Forza Italia
In Forza Italia c’è doppia delusione: ancora una volta penalizzati rispetto alla Lega che ottiene 2 viceministri e 9 sottosegretari pur avendo già avuto la presidenza della Camera; per i tanti “amici rimasti a casa nonostante le promesse di essere recuperati al governo” e si possono fare i nomi di Mandelli, destinato alla Sanità e invece nulla, Ruggeri, Mallegni, Giacomoni, tutti fedelissimi, penalizzati nella competizione elettorale in liste e posizioni difficili. Da qui i distinguo e le richieste di chiarimenti per alcune mancate nomine, come quella di Giuseppe Mangialavori. Raccontano che Silvio Berlusconi in persona abbia provato fino all’ultimo a perorare la sua nomina. Ma più che l’essere coinvolto (ma non indagato) in una delle inchieste monstrum di Gratteri, pare abbia pesato la sponsorizzazione di Licia Ronzulli. Al suo posto, per dare rappresentanza alla Calabria, entra Maria Tripodi non eletta alle ultime elezioni. Una scelta dettata anche dal fatto che in Calabria Fi ha fatto uno dei migliori risultati. Per il Cavaliere nulla da fare nemmeno per Valentino Valentini agli Esteri, troppo vicino a Mosca e a Putin negli anni di palazzo Chigi. Per lui, la promozione a viceministro ma al Mise. Così come tiene Francesco Paolo Sisto alla Giustizia come viceministro. Escluso doc anche l'ex capogruppo di Fi alla Camera Paolo Barelli, eletto ma fuori dalla squadra di governo. Sembrava destinato al Viminale, resta deputato semplice. Fuori alla fine anche Francesco Battistoni che in molti davano in pole per l'Agricoltura. Due nomi, quest’ultimi, vicini al coordinatore di Fi Antonio Tajani. Ce la fa anche Matteo Perego, altro pupillo di Berlusconi. Entra al governo Sandra Savino, friulana, non rieletta. C’entra l’esperienza ma anche il genere e la geografia. Ultima nota tecnica: dei 39 nominati ben undici sono senatori. Che si aggiungono ai 9 ministri. Significa che sulla carta al Senato il destra-centro non ha più la maggioranza. Se per qualche motivo tutti e 20 dovessero essere impegnati ai ministeri, il destra centro al Senato può contare su 95 voti (contro i 115).
Bagno di folla e buone notizie
Nel tornare a piedi in ufficio a Palazzo Chigi, Meloni si è concessa un piccolo bagno di folla che l’ha incitata e che lei ha ringraziato con sorrisi e baci. “Scusate non ci sono abituata”. Poi si è chiusa in ufficio con i ministri economici (al Mef è arrivato il fidatissimo Maurizio Leo) per aprire la partita vera, quella su cui si giocherà la credibilità anche con Bruxelles, quella dei conti pubblici. Con lei ci sono Giancarlo Giorgetti, lo staff del Mef (e il vicepremier Matteo Salvini), Leo. Inizia a rivedere le tabelle della Nadef che sarà aggiornata nel prossimo Consiglio dei ministri (venerdì). C’è da fare “una corsa contro il tempo”, la speranza è portare già a fine settimana le prime misure contro il caro-bollette, che saranno completate poi con la manovra. Premier e ministro hanno avuto una bella notizia ieri davanti ad un dato del Pil del terzo trimestre che doveva essere negativo e invece è cresciuto di mezzo punto. Lo scenario potrebbe rivelarsi meno fosco di quanto le previsioni fino a ieri indicavano. E rafforzare la dote del 'tesoretto' da quasi 10 miliardi lasciato in eredità dalla gestione di Mario Draghi e Daniele Franco.