“L’inverno sta arrivando…”. Meloni si sente già premier e prepara il governo. Salvini e Berlusconi ridotti a comprimari
Il palco del comizio finale del centrodestra è tutto e solo per lei. I sondaggi (riservati) dicono che la maggioranza ci sarà.
Il comizio finale, e unitario, del centrodestra: Salvini e Meloni attendono, per un bel po’, che arrivi ‘zio Silvio’, che alla fine si palesa…
E’ una fredda, e assai buia, ‘settembrata’ romana. Piazza del Popolo è piena, ma non strapiena. Secondo uno che se ne intende, Arturo Parisi (ex ministro alla Difesa nel II governo Prodi, numero due del Professore, e ‘prof.’ In seconda, dell’Ulivo, era – ed è – così pignolo che contava le presenze, cioè i numeri, delle manifestazioni, uno per uno, persona per persona…) “in quella piazza ci stanno, al massimo, 10 mila persone. Ma solo se tutti pigiati. E dipende anche molto da dove lo metti e quanto è largo, il palco…”. Insomma, non è una manifestazione oceanica. Ma, come diremo meglio poi, i tempi delle grandi adunate, dei grandi comizi, sono belli che finiti.
Nel retropalco della manifestazione del centrodestra si attende, a lungo, che arrivi Silvio Berlusconi. Il ‘vecchio leone’ (il presentatore, sul palco, lo presenterà come “l’ultimo presidente del Consiglio scelto dagli italiani”, manco stesse per appalesarsi Rocky Balboa in ‘Rocky 1’) tarda. E’ planato a Roma, lunga sosta nella villa sull’Appia, alla fine, però, arriva. Il comizio di chiusura del centrodestra sfora un po’ sui tempi: doveva iniziare alle 18, invece inizia alle 19.
Nel retropalco stazionano Meloni e Salvini, ma lontano dagli occhi indiscreti dei giornalisti…
Matteo Salvini e ‘lei’, la vera star della manifestazione, Giorgia Meloni, si attardano nel retropalco lontani da ‘giornalisti’ occhi indiscreti. Il clima è amichevole, quasi conviviale. In realtà, di mattina presto, la Meloni ha detto che, nel suo governo, se vincerà le elezioni, i ministri del governo Draghi non li vuol vedere neppur dipinti. Salvini l’ha presa a male (“Siamo una squadra e la squadra di governo la decidiamo insieme”), ma poi si chiariscono. Il clima è disteso, amichevole. Almeno per un giorno, ecco. Dirigenti leghisti non se ne vedono, tranne Roberto Calderoli. Confusi, in mezzo al ‘popolo’, qualche deputato, come Annagrazia Calabria, vestita di tutto punto, elegantissima, come se andasse all’Opera. A parlare con i giornalisti qualche dirigente di FdI di quelli che ‘contano’ (Fabio Rampelli, Francesco Lollobrigida, Giovanni Donzelli, responsabile Organizzazione del partito, etc.), più qualche ‘esterno’ illustre come Guido Crosetto, che, però, dopo poco, prende cappello e se ne va. Tra gli azzurri ci sono Licia Ronzulli, Maurizio Gasparri, e altri. Per i leghisti, siamo a sottozero.
I comizi dei ‘tre amigos’ (che tali non sono…)
Ma, finalmente, è arrivata l’ora dei tre ‘comizi’. Parla Berlusconi (stanco, spompo, biascica anche un po’) e dice le solite cose: “la dittatura della sinistra sta per finire e quella della magistratura pure”, etc. etc. Applausi. Il giusto. Nulla di che.
Parla Maurizio Lupi, capofila di Noi Moderati, che si è portato le bandiere dei suoi, quattro gatti. Non che gli azzurri siano più di tanti. Anche i leghisti scarseggiano. Il popolo è quello di FdI, ma è composto, ordinato, civile, ‘seduto’ nel senso letterale del termine. Non molto ‘caldo’.
Poi parla Salvini, ma parla poco. Il ‘Capitano’, pure lui, è stanco. Troppi comizi, troppi guai, troppi (pessimi) sondaggi. Il verbo che usa di più è ‘proteggere’. L’influsso della Madonna, cui è devoto, si sente. Se la prende con gli ‘zingaretti’, ma non sono gli ‘zingari’, sono quelli del Pd che, secondo lui, “mal goverano” Roma. Applausi. Più forti, ma contenuti. Poi arriva lei, la star, Giorgia.
Parla la Meloni
Ad aspettarla, oltre ai diecimila (scarsi) in piazza, 300 (dicasi, trecento) giornalisti stranieri accreditati. Occhi puntati tutti sul suo discorso. La Meloni è in palla, ma pure lei accusa qualche stanchezza. Una campagna elettorale breve, ma durissima, si sente. La presenta Pino Insegno (giusto per far vedere che, pure a destra, esistono degli attori…) che recita una frase da ‘toccarsi’ (“Verrà il giorno della sconfitta, ma non è questo quel giorno!”), ma è Giorgia che l’ha voluta inserire in quanto è tratta dal Signore degli Anelli di Tolkien, autore che le è, si sa, molto caro.
Rullo di tamburi. Sventolio di bandiere. Inni. Lei parla il doppio degli altri. La leader designata, da parte di tutto il centrodestra è lei, non ci piove. Attacca la sinistra, il suo potere, i suoi intellettuali, la Rai che manda in onda “pseudo-filosofi d’Oltralpe che ci vogliono spiegare chi deve governare l’Italia. E cioè la sinistra, anche se perde le elezioni”. Ne ha pure per “i circoletti di Capalbio”, i “giornaloni”, il “mainstream” che vogliono “insegnare agli italiani come votare”.
L’affondo di Giorgia: sfida la ‘Sinistra’ “mainstream” e promette il presidenzialismo
Poi, l’affondo: “Letta, Conte, Di Maio, Bonelli, Fratoianni, Renzi, Calenda (e qui giù fischi, ndr.) ci dicano se vogliono governare insieme. Li sfido perché noi siamo coesi, e siamo chiari, loro no”. Il resto è retorica, tranne sul presidenzialismo. Meloni annuncia che il centrodestra di governo lo farà: “con la sinistra, se vuole, oppure da soli”. Attacca duro Speranza e il suo “modello cinese” (la polemica è sulla sua gestione del Covid) e giù, subito, arriva un coro di reazioni indignate. Difende i diritti delle madri, delle giovani, delle donne, degli anziani contro “sfruttatori, ladri, stupratori”. Attacca “gli scafisti e i loro barconi”. Chiude, pure lei, con un inno alla “libertà”, un leit motiv che era stato anche di Berlusconi e Salvini.
Si chiude con Pupo (“Su di noi”). Poi se ne va, non prima di essersi immortalata in vari selfie, con il suo telefono cellulare, a favor di piazza. Niente ‘a margine’ con i giornalisti, però, che pure l’attendavano, ansiosi e speranzosi.
“L’inverno sta arrivando”. Il governo Meloni
Nel retropalco, però, si va facendo il prossimo governo Meloni, anche perché i sondaggi, pure quelli di fonte dem, sono disastrosi per tutti gli avversari, 5s esclusi, e il centrodestra si sente, in buona sostanza, la vittoria già bella che in tasca. Il borsino, ad oggi, dice: Antonio Tajani (FI) agli Esteri, il prefetto Matteo Piantadosi agli Interni, Carlo Messina (oggi potente ad di Banca Intesa) al Mef, Antonio D’Amato (ex presidente di Confindustria, tecnico, ma storicamente vicino al centrodestra), al Mise, ai Rapporti Ue Raffaele Fitto (FdI), alla Giustizia Giulia Bongiorno (Lega). E, alla Difesa, Guido Crosetto (FdI), se superò la (personalissima) ritrosia a volerlo fare. Poi, ancora, Adolfo Urso (FdI) all’Istruzione, Vittorio Sgarbi (che fa ‘caso’ a sé) ai Beni culturali, Maurizio Lupi (Noi Moderati) ai Lavori Pubblici. Ai giornalisti stranieri, non abituati, assai spaesati, viene su il magone, anche solo a sentirli, tutti questi nomi che, per lo più, non conoscono. “L’inverno sta arrivando” è il leit motiv di una serie tv, dai grandi incassi e ottimi ascolti, “House of Dragons”. Secondo la sinistra “l’inverno sta arrivando” pure in Italia. Si vedrà.
La ‘photo opportunity’ del centrodestra…
Il centrodestra, dunque, si è riunito per la foto ‘di famiglia’ alla vigilia delle Politiche di domenica. L’immagine che vuole dare è di una coalizione che cerca l'unità nella piazza di Giorgia Meloni. Perché, a piazza del Popolo, ci sono tutti i leader delle quattro liste: oltre a Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Maurizio Lupi, ma la presidente di Fratelli d'Italia è la protagonista dell'evento “Insieme, per l'Italia”.
E’ la prima volta, nella pur storia del centrodestra, che sia lei a chiudere il comizio collettivo, aperto dal ‘padre’ di tutti, il Cavaliere. E sono tutti per lei gli striscioni presenti: “Noi siamo Giorgia”, “E’ tempo di patria”, i cori “Giorgia premier”, le bandiere di FdI dominanti, insieme ai palloni tricolori che proiettano in cielo il simbolo elettorale di Fratelli d’Italia e Meloni.
Il lungo comizio - di quasi due ore, cominciato con un'ora di ritardo - si svolge in una piazza non proprio riempita, con sedici file di sedie sotto il palco e un bel po’ di ‘buchi’, dalla metà in poi.
La photo opportunity arriva subito, a inizio manifestazione. Al centro Meloni e Berlusconi, lei con spolverino beige, lui in doppiopetto. Al fianco del ‘leone’, Salvini, che gli alza il braccio; poi la Meloni e Lupi che ripete il gesto con lei.
Dimmi dove e con chi chiudi e ti dirò chi sei…
Insomma, se è sempre stato vero il detto “dimmi dove e con chi chiudi (la campagna elettorale, ndr.) e ti dirò chi sei”, i ‘comizi’ di chiusura “non sono più quelli di una volta”. Quando, cioè, nella Prima Repubblica, accorrevano centinaia di migliaia – se non milioni – di iscritti, militanti, simpatizzanti. E mica solo per la Dc di De Gasperi e, poi, di Fanfani, Moro, De Mita, O per il Pci di Togliatti, Berlinguer, persino Natta. Anche i partiti laici ‘minori’, a partire dal Psi di Bettino Craxi, sapevano fare la loro porca figura. Figurarsi il Psi di Pietro Nenni che, tra i tanti slogan coniati, e passati alla storia, coniò anche quello – famosissimo – “piazze piene e urne vuote” dopo le – fallimentari – Politiche del 1948.
Nessuno, per dire, ‘osa’ prenotare più, da anni, piazza San Giovanni, troppo grande da riempire, che ha visto alternarsi mega-comizi sindacali (da Lama a Trentin, da Cofferati a Epifani, etc. etc.), mega-comizi partitici (quello del centrodestra del 2019 in cui proprio Giorgia Meloni lanciò lo slogan-tormentone “Sono Giorgia, sono una madre, sono una donna, sono cristiana!”), ma pure della sinistra engagé (i ‘girotondi’, per dire).
La ‘mania’ del comizio di chiusura finale ha resistito alle temperie della Seconda Repubblica, come dimostrano tutte le campagne elettorali. Oggi, però, è tutto diverso. Contano i like, i sentiment, i social. I partiti, però, non sanno rinunciare alle buone, care, vecchie tradizioni. E, dunque, vai col comizio! Anche questa volta.
Perché va bene la Rete, i social o “TikTokTak”, come ha ribattezzato il social per imberbi, Tiktok, Silvio Berlusconi manco fosse il… ‘tikitaka’. A chiudere le campagne elettorali si va in ‘piazza’. E così, a partire da ieri, ecco la ‘sagra’, il ‘rito’.
Per primo (sarà un segno divino?) ha iniziato il centrodestra, a Roma, in piazza del Popolo. Piazza ‘storica’ della destra, “ma anche” della sinistra (che fu). Meloni e Salvini, però, nel frattempo continuano a bisticciare, e Berlusconi, oggi, si rifugia nella ‘sua’ comfort zone, cioè Milano, dove terrà un’iniziativa al ‘Palafiera’.
Certo è che gli oltre 300 (trecento) giornalisti accreditati, per lo più di testate straniere, non sono andati né per Salvini, in crollo verticale, almeno nei sondaggi, né per Berlusconi, ma per ‘lei’. “Io sono Giorgia”, la più attesa da tutti che, con tempismo perfetto, parla pure in orario di tg.
Enrico Letta
La stessa piazza, quella ‘del Popolo’ (ai bordi ci sono i caffè “Rosati”, più vip, e “Canova”, meno, e il ristorante “Il Bolognese”, caro come nessun altro, a Roma, e dove si mangia pure male), dove, oggi, chiuderà anche il Pd. Enrico Letta, chiude pure luì lì, ma ‘solo’ come Pd. Una scelta un po’ depressive, da ‘triste, solitario y final’. Letta ha chiesto ai suoi “un grande, ultimo, sforzo”, cioè quello di riempire la piazza, ma il dato politico resta uguale: centrodestra unito (nonostante le liti), centrosinistra diviso. Infatti, Verdi e SI si sono riuniti, ieri, ai Fori Imperiali (peccato non se ne sia accorto nessuno). Impegno civico e +Europa chiudono per fatti loro (Di Maio, ovviamente, a Napoli, Bonino a Roma e Milano). Il segno di ‘disunità’ non lascia tanto ben sperare. Proprio come i sondaggi, che sono assai pessimi.
Il Terzo polo
Non che, nel Terzo Polo, stiano messi meglio. Se indaghi scopri che la ‘vera’ chiusura di Renzi (Iv) è stata ieri a Napoli e oggi a Milano. Invece, quella di Calenda (Az), si tiene, oggi, a Roma. Il quale Calenda, sempre fedele al suo cliché della Roma ‘bene’, ha scelto la suggestiva terrazza del Gianicolo, da dove ‘spara’, ogni sera (ci puoi rimettere l’orologio) il cannone della Repubblica romana che fu. Conte non ha di questi problemi, anzi. Ha ‘scippato’ al Pd la storica piazza Santi Apostoli, sede simbolo dell’Ulivo, che aveva lì la sua ‘casa’, cioè la sede, e che vi chiuderà una (trionfale) campagna elettorale, sempre oggi.
Le piazze del Sud
Ma i comizi finali dei leader di partiti e coalizioni hanno ormai ‘esondato’ dai confini della Capitale. I leader stanno battendo soprattutto le piazze del Sud (la Meloni oggi sarà a Napoli), dove i seggi, specie quelli uninominali, sono ancora in bilico o, per dirla in politichese, contesi.
Spesso costretti a un vero e proprio tour de force fatto, anche, di assaggi di prodotti tipici, cene elettorali e, ovviamente, selfie, photo opportunity. Tanto che la premier in pectore, Giorgia Meloni, la vera ‘notizia’ l’ha già data e non trattasi di ‘come’ sarà il suo governo: “dal 26 in poi torno in palestra!”. A smaltire i chili di troppo, ecco, che una premier sovrappeso ‘nun se po’ guarda’.
Tutte le volte in cui le elezioni sono state decise ‘last minute’. Si ripeterà anche stavolta? No…
I sondaggi riservati
Le elezioni, si sa, tengono tutti col fiato sospeso, anche i cittadini che, di solito, la politica non la seguono o che se ne annoiano. I sondaggi ‘riservati’, certo, girano all’impazzata, ma presentano tutti una caratteristica peculiare: non tengono conto della gran massa di indecisi che possono - e, spesso cambiano - il loro voto tra i tre giorni prima del voto e il giorno stesso in cui vanno a votare. Ora, però, qui bisogna intendersi.
La grande massa degli astensionisti (affluenza stimata, oggi, al 65-69% nel 2018 fu al 72,9%), in Italia, si divide in due: astensionisti ‘cronici’ (circa il 10-15% del 30-35% del totale) e gli astensionisti ‘intermittenti’ (un altro 15%). I primi non votano più, punto. I secondi, invece, se convinti, possono decidere di tornare a votare, ‘rientrando’, da un astensionismo ‘intermittente’, tra cui va a votare, ovviamente aumentandoli. E’ su questi ultimi che i partiti si concentrano. I loro umori sono ‘insondabili’ e impercettibili, ma possono cambiare il volto, e il verso, alle elezioni.
Come catturarli? Come convincerli a votare non solo per te, ma anche in un voto ‘last minute’? Premesso che, nella Prima Repubblica, il tema non si poneva (il tasso di astensionismo era bassissimo, intorno al 2-5%, la partecipazione al voto era altissima, intorno al 90% e rotti, tutti i cittadini sapevano, prima, chi avrebbero votato), la vera caccia al voto degli indecisi si apre dal 1994 in poi e diventa disperata dal 2013 in poi.
Le astensioni
Quando il numero degli astensionisti si gonfia via via, fino all’attuale, cioè intorno al 30-35%.
Silvio Berlusconi escogitò un metodo perfetto: promettere tutto a tutti e convincere gli elettori che, votando per lui, lo avrebbe realizzato. Le elezioni politiche del 2006 – si votava con il Porcellum – cambiarono ‘verso’ e permisero, all’allora Casa della Libertà, una clamorosa rimonta che la portò a un’incollatura dall’Unione.
Berlusconi, nell’ultimo confronto in tv con Romano Prodi, che parlava, genericamente, di ridurre le tasse sul lavoro, propose di abolire l’Ici (l’odiata tassa sulla casa), in pratica a quasi tutti, togliendo, letteralmente, la parola al povero Prodi (conduceva il ‘faccia a faccia’ Enrico Mentana), che – ‘sventurato’ – non rispose, restando basito.
Certo, in quelle elezioni, Berlusconi non vinse, vinse Prodi, ma poco e male: durò solo due anni. Poi, Berlusconi si prese la sua lunga rivincita, governando, per l’ultima volta, dal 2008 al 2013. Ecco un primo esempio di spostamento di voti dell’ultima ora che può decidere le sorti del voto.
Gli altri due esempi sono molto più vicini a noi. Sia nel 2013 che nel 2018 nessun sondaggista aveva previsto il boom dei 5Stelle. Nel 2013, ancora si votava con il Porcellum, la coalizione di centrosinistra subì, dalla massa di indecisi che si spostarono, all’ultimo, sul M5s, una dura lezione. Tanto che, dopo la ‘non vittoria’ di Bersani (maggioranza assoluta alla Camera, non al Senato), non riuscì a formare il suo governo. Ne seguirono governi di coalizione (Letta), governi retti con ‘strane’ maggioranze (Renzi, con Ncd di Alfano e poi anche Ala di Verdini, e Gentiloni).
Nel 2018, l’exploit – insondabile – dei 5s (33%), e qui già si votava, però, con il Rosatellum, causò (come si sa) una matassa ingarbugliata e faticosa che Mattarella, solo dopo tre lunghi e faticosi mesi di consultazioni, riuscì a dirimere, prima con il governo gialloverde (Conte I), poi con quello giallorosso (Conte II), infine col governo Draghi. I voti al M5s, che prometteva il reddito di cittadinanza, spuntarono fuori solo all’ultim’ora. Erano, appunto, i molti indecisi ‘last minute’. Cosa succederà il 25? Quien sabe, dice il poeta, ma stavolta si dubita, fortemente, tra sondaggisti, commentatori e pure tra i vari big dei vari partiti, che gli ‘indecisi’ provocheranno grandi scossoni. Più facile che si ‘spalmino’ tra i vari partiti, ma in modo ‘proporzionale’, dal più grande agli altri. Il che vuol dire che chi, oggi, è in testa, lo resterà…