“Votate me, votate Giorgia”. Serve un governo di destra in Europa per salvare i nostri conti pubblici
Ma il re è nudo perché sono proprio le destre “alleate” e i paesi amici a pretendere la stretta sul debito italiano. Il rischio di trovarsi nell’angolo. Si è chiusa la tre giorni di Pescara. La premier sarà candidata in tutte le circoscrizioni. Il problema con Salvini (assente) e con la candidatura di Vannacci.

“Votate me, votate Giorgia, una di voi, una del popolo, mi troverete in tutte le circoscrizioni e andiamo a prenderci anche l’Europa”. A ben vedere, le “novità" in settantasette minuti di discorso con alle spalle il mare di Pescara sono tutte qua. Saranno i maledetti otoliti che ogni tanto si muovono e la tormentano con nausee e vertigini (“se mi vedete barcollare è colpa loro, è come se fossi in un ottovolante non temete ce la faccio”). Sarà la stanchezza. Alla conferenza programmatica del suo partito che lancia la campagna elettorale per le Europee Giorgia Meloni è più che legittimata ad essere e a fare il tribuno e il capopopolo. Non si pretendeva certo proprio qui un discorso da Presidente del consiglio di tutti gli italiani. E però gratta gratta, anzi, a forza di ascoltare l’intervento tra le pause, il compiacimento per qualche battuta (“Salvini non c’è, ci ha tradito per il ponte… del 25 aprile, è ovvio” ), l’esercizio retorico sulla sua persona sempre oscillante tra l’eroismo e il vittimismo (“sono un soldato e se serve mi schiero in prima linea per l mio popolo”) e l’impegno/promessa di stravincere perché “solo così potremo andare a cambiare l’Europa mentre già stiamo cambiando l’Italia”, restano due certezze. La prima: il voto dell’8-9 giugno sarà un referendum della sua leadership e un misuratore di consenso dell’azione del proprio governo dopo diciannove mesi a Palazzo Chigi. I risultati sapranno quindi anche dire una volta per tutte pesi e misure nella maggioranza. Per essere più chiari, chi comanda e chi è destinato a fare il gregario in relativo silenzio.
Il sondaggio sul governo
“Scendo in campo - ha detto anche per chiedere agli italiani se sono soddisfatti del lavoro che stiamo facendo in Italia, del lavoro che stiamo facendo in Europa. Lo faccio - prosegue - perché' oltre a essere il presidente di Fratelli d'Italia io sono anche il leader dei Conservatori europei, che vogliono avere un ruolo decisivo nel cambiare rotta alle politiche europee. Votando Fratelli d'Italia l'8 e 9 giugno si voterà per dare ancora più forza al nostro governo in Italia e in Europa. La seconda: la consapevolezza che questa volta il “re” potrebbe restare nudo. Giorgia Meloni sa infatti benissimo che per cambiare l’Europa, come dice e promette, “senza i Socialisti ma con una maggioranza di destra che ripropone il modello italiano” è semplicemente una contraddizione in termini. Nelle destre europee, infatti, sovraniste, nazionaliste e “frugali” ci sono i principali nemici dell’Italia alle prese con il più grande debito pubblico d’Europa, una crescita la cui stima non supera l’1% per cento nei prossimi tre anni. Ecco quindi la domanda che pesa come un macigno su Palazzo Chigi, sul ministero dell’Economia e su tutti gli italiani che fanno i conti con il nostro bilancio e che ha aleggiato su tutto il Giorgia Beach-party: se le destre saranno al governo con i Popolari ma senza i Socialisti, con i belgi, i tedeschi, i polacchi, l’Olanda, i cosiddetti falchi e frugali che hanno scritto le nuove regole capestro del Patto di Stabilità, con chi il governo italiano pensa di cambiare quelle stesse regole per dare più flessibilità all’Italia?
La sordina e i problemi
Nel lungo intervento, infatti, Meloni evita di pronunciare i veri dilemmi della sua agenda interna: dopo il voto la Commissione uscente e in carica fino a settembre-ottobre (questa volta Bruxelles vorrebbe accelerare la tempistica che in genere porta via fino a 5-6 mesi prima dell’insediamento) ci chiederà una manovra correttiva e il governo non ha idea dove andare a prendere i soldi. E se non cambiano le regole appena ratificate del nuovo Patto di stabilità, il governo non saprà neppure dove trovare i soldi per scrivere la legge di bilancio del 2025. Mancano in cassa tra i 15 e i 20 miliardi solo per confermare le misure dello scorso anno (taglio del cuneo, accorpamento delle aliquote Irpef, bonus famiglie) che possono saltare fuori o da nuovi tagli o da nuove tasse.
Nei 77 minuti non si fa mai un cenno a tutto questo. Si dice, invece, che l’Italia nell’era Meloni è in paese che “cresce più di tutti in Europa” e parliamo dello 0,9 del 2023 contro lo 0,3-0,4% della Germania che però è anche la nostra locomotiva. Che ha dato lavoro a mezzo milione di persone in più tra cui molte donne. Che la Borsa ha i migliori rendimenti da anni e lo spread non è mai stato così basso. Che gli stipendi sono aumentati grazie al taglio del cuneo (solo per gli stipendi fino a 35 mila euro). Non si dice che nonostante il Pnrr e i suoi duecento miliardi le previsioni di crescita anche nei prossimi anni sono sempre sotto l’1 per cento. Che, appunto, non ci sono soldi per la prossima manovra. Che benzina e bollette sono in aumento per una speculazione figlia non solo delle guerre. Che i poveri sono aumentati e gli stipendi hanno perso potere d’acquisto. Con buona pace della cosiddetta classe media. Non una parola sulla Sanità e sulle code per le liste d’attesa. Non si dice nulla dell’inganno più evidente: candidarsi alle Europee solo per fare l’acchiappa-voti.
Giorgia Meloni detta Giorgia
Si spiega invece la nuova frontiera del marketing politico che prevede la possibilità di mettere nella scheda “Giorgia Meloni detta Giorgia” e che quindi, come ha lungamente spiegato il ministro Lollobrigida, sarà possibile scrivere solo Giorgia. Siamo al massimo della personificazione. E il Pd si è rivoltato contro la Schlein che aveva ipotizzato di metterlo. L’impegno della campagna, è l’altra promessa, “non sottrarrà un secondo del mio tempo al mio lavoro da premier”. Anche perché l’agenda dei prossimi due mesi sarà molto fitta con la presidenza del G7 e il vertice in Puglia. Senza contare che lo scenario internazionale è e resta assai complesso. “Il mio compito - ha detto Meloni - è risolvere i problemi di questa nazione e questo intendo fare anche in campagna elettorale”. Sarà Arianna, la sorella, ad andare un po’ in giro per la campagna elettorale. Soprattutto al Sud. Meloni conta di farcela perché “so che il mio partito mi darà una mano visto che per fortuna non sono la segretaria del Pd”.
Per dire che a lei è già toccato in sorte di far diventare possibile l’impossibile, Meloni è ripartita dalle elezioni europee del 2013 quando, appena nati, “non riuscimmo a superare lo sbarramento e però non abbiano mollato, siamo rimasti fedeli a noi stessi, all’opposizione, e nel 2019 abbiamo fatto il 6%. Tre anni dopo alle Politiche Fratelli d’Italia è arrivata al 26%”. Il magic touch di "Giorgia, una di voi, una del popolo. Se volete dirmi che ancora credete in me, mi piacerebbe che lo faceste scrivendo sulla scheda semplicemente Giorgia, perché sarò sempre solo una di voi, sempre e solo una persona alla quale dare de tu, senza formalismi e distanza”. Tranne quelle che mette con i giornalisti visto che sono quattro mesi che non fa una conferenza stampa.
Una nuova maggioranza in Europa. Ma con chi?
Lo stesso “orgoglio” adesso è necessario metterlo per queste Europee. Perché se i Fratelli d’Italia faranno quello che dicono i sondaggi rischiando di essere il primo partito in Europa (un po’ come successe al Pd di Matteo Renzi), allora la famiglia dei Conservatori (Ecr) di cui Meloni è presidente potrà "dettare legge” a Bruxelles ed essere il traino di una nuova maggioranza di destra-dentro con i Popolari, certamente. I Liberali, forse ma è molto difficile. E la superdestra di Identità e Democrazia, cioè la famiglia politica di Salvini, Le Pen, Afd e tutti i partiti nazionalisti. Ed eccolo qua l’altro elefante che si mette nel mezzo della tecnostruttura di Pescara ma tutti fanno finta di non vedere: l’alleanza con Salvini, adesso pure con Vannacci, con Afd e gente che teorizza che “i disabili devono stare in classi speciali”, che i “gay non sono normali” e che Mussolini era “uno statista”. Sono le parola scelta da Fantacci nella sua prima intervista da candidato. I Popolari hanno già detto “mai con Afd e altri partiti di destra”. Ed ecco che se l’elefante si muove, potrebbe venire già tutto: la nuova maggioranza in Europe e la possibilità di cambiare le regole del bilancio europeo e di poter quindi scrivere la prossima manovra.
Vannacci: problema o risorsa?
Matteo Salvini non è presente e manda un video messaggio collegato per strada da Milano. E’ con la figlia e si rammarica molto di non poter essere lì. In prima fila Tajani, nei panni dell’alleato fedele di Giorgia, scrolla la testa. Senza dubbio la Lega, Vannacci e tutti i malumori nel corpaccione del partito preoccupano molto anche la platea e soprattutto il backstage della convention. Senza I&D non ci sono i numeri per “mandare all’opposizione la sinistra anche nell’Unione”. Ma è anche vero che Vannacci potrebbe rubare voti alla destra di Fdi.
“Mai con la sinistra” è il mantra che serve a spazzare via, almeno per ora, le ipotesi di cedimenti dopo il voto, quando ci sarà da sedersi al tavolo delle trattative per i nuovi vertici europei. Anche perché - è il concetto che Meloni ripete da inizio anno - un conto sono gli accordi per la Commissione, altro è una maggioranza stabile al Parlamento europeo.
Per il resto la premier ha sfoderato il classico armamentario da comizio: ha attaccato Schlein chiamandola direttamente per nome; il Movimento 5 Stelle colpevole della “più grande patrimoniale al contrario”, il Superbonus. E poi la natalità che deve diventare centrale, la difesa delle origini “guidaico-cristiane” dell'Europa, il cambio di passo già impresso a Bruxelles sulle politiche green, sull'auto, sui migranti. E la difesa di Edi Rama, attaccato da “Report” che ha dipinto l’Albania come fosse un narco-stato, per via dell’accordo sull’immigrazione. “E poi la chiamano TeleMeloni.”.
L’eccezione italiana
Resta da segnalare che l’Italia resta un caso eccezionale in Europa. Schierando il suo capo di governo e 4 leader di partito (inclusa la stessa premier) come capilista alle Europee, l’Italia va in direzione contraria ai Paesi membri dell'Ue. O almeno a quelli più grandi e popolosi. Il trend, nei partiti del Vecchio continente, è candidare eurodeputati uscenti, new entry o, al limite, membri del governo in carica, come nel caso della Polonia. Invece noi abbiamo Meloni, Tajani, Schlein. Ieri si è aggiunto Carlo Calenda che fino all’altro giorno ha giurato e spergiurato che non l’avrebbe mai fatto perché “non si prendono in giro gli elettori”. L’annuncio di Meloni, più qualche sondaggio che mette Azione sotto il 4%, è stata la scusa per cambiare idea. Manca ancora la decisione di Matteo Renzi: il leader di Italia Viva era in campo prima che la lista Stati Uniti d’Europa fosse una certezza, cioè una settimana fa. La lista spingerebbe a non personalizzare e a mettere il progetto politico, che c’è ed è forte, prima di tutto. Mancano ancora 48 ore e poi i giochi saranno fatti. Le liste anche e la campagna elettorale, iniziata otto mesi fa, entro nell’ultimo miglio.