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Meloni-Musk, l'asse che può rimettere al centro dell'Europa il governo italiano

La premier guarda al futuro e al suo possibile ruolo di ponte tra Trump e l'Europa. Ma c'è il fattore Draghi

di Giuseppe Alberto Falci   
Meloni durante l'incontro con Musk di qualche mese fa (Ansa)
Meloni durante l'incontro con Musk di qualche mese fa (Ansa)

Fino a una settimana fa Giorgia Meloni non aveva preso in considerazione la vittoria di Trump. Né tantomeno si era certo esposta come il vicepremier leghista che ha ostentato il sostegno al tycoon. Non lo ha voluto fare per i passi in avanti compiuti in questi anni in Europa e per la lealtà nei confronti del presidente uscente Joe Biden con cui ha coltivato un rapporto leale.

A distanza di sette giorni lo scenario è però mutato radicalmente. Sussurrano  a Palazzo Chigi: «Sembra passata un’eternità». E proprio perché è passata un’eternità la presidente del Consiglio ne vuole approfittare. Perché l’elezione di Trump offre di fatto un’opportunità politica tutt’altro che marginale all’inquilina di Palazzo Chigi. Così da 48 ore Meloni ha preso atto del successo trumpiano e ha iniziato a riallacciare i rapporti con la galassia del tycoon. La telefonata con il presidente americano c’è stata ed è stata anche «positivo». Ma l’uomo con cui Meloni ha confidenza è Elon Musk. Se il proprietario di X punta su Giorgia Meloni, anche quest’ultima punta sull’uomo più ricco del mondo. I due si conoscono, si stimano, hanno un legame che si è rafforzato nell’ultimo anno e mezzo. Musk considera «Giorgia» il punto di riferimento degli Stati Uniti in Europa. E Meloni, dall’altra, si vuole servire di «Elon» per riallacciare i rapporti con Donald.
E, notizia dell’ultima ora, desidera invitarlo alla festa di Atreju che si terrà fra un mese nella Capitale.

Insomma, l’inquilina di Palazzo Chigi intende seguire i consigli dei suoi più stretti collaboratori: «Giorgia, sei tu il ponte con Trump».  E per diventarlo occorre stringere i bulloni proprio nelle ore successive alle vittoria del tycoon. A Budapest, nel punto stampa a margine del vertice europea, la presidente del Consiglio parla di Musk, ne esalta le qualità, lanciando così un ponte nei confronti della tessera numero uno del trumpismo: «Musk è una persona che si è schierata nella campagna elettorale come migliaia di altre. Sembra che sia nel diritto dei cittadini aderire alle campagne elettorali…. Io  considero Elon Musk un valore aggiunto in questo tempo, una persona che ha fatto cose straordinarie e penso che debba e possa essere un interlocutore con cui confrontarsi». Ecco il disegno di Palazzo Chigi, una strategia che passa dal rapporto con il numero uno di Tesla. Forse perché, come dicono i detrattori di Meloni, «Giorgia si deve far perdonare il bacio di Biden».

Fatta questa premessa, le parole di Meloni arrivano forti e chiare negli Stati Uniti. Musk è l’azionista di maggioranza della Casa Bianca. Parlare del numero uno di Tesla significa porsi come anello di collegamento tra gli States e il Vecchio Continente. Quando Meloni si presenta davanti ai cronisti incrocia l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi. Le ricette dell’inquilino di Palazzo Chigi e quelle dell’ex capo della Bce si assomigliano su certi aspetti, per esempio sul debito comune, ma divergono, platealmente, sulla possibilità di portare le spese militari al 2% del Pil, come chiedono gli Usa, soprattutto adesso, con Donald Trump di ritorno alla Casa Bianca. Per Draghi l’Italia può riuscirci, anche col nuovo patto di stabilità. Meloni invece, davanti a microfoni e taccuini, spiega di condividere il principio, ma fa anche capire che le risorse a disposizione sono scarse e che non ha intenzione di “prendersela con i cittadini”.

Giorgia ponte con Trump

Al centro del confronto con i cronisti ci sono soprattutto le elezioni americane, definite spartiacque da tutti gli osservatori. Un risultato, quello delle elezioni presidenziali, che ha un impatto sulle sorti del mondo. E lo ha, va da sé, anche sull’Europa e sull’Italia. Meloni dribbla i giornalisti sulle questioni che più preoccupano il vecchio continente, i dazi e le due guerre in Medio Oriente e in Ucraina: «A me pare che l'Europa debba trovare una quadra e prendere le misure di se stessa. Sembra che scopriamo dei dibattiti oggi, penso al tema della competitività, dei dazi. Però ricordo che il dibattito sulla competitività europea è un dibattito che è iniziato mesi fa all'indomani dell'Inflation Reduction Act. Se volessimo dirlo con una battuta che ricorda appunto i presidenti americani, non chiederti cosa gli Stati Uniti possano fare per te, chiediti cosa l'Europa debba fare per se stessa, che è il dibattito di questa mattina».

Sia come sia, nello stesso consesso, dove vi è stato anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Meloni conferma che l’Italia sosterrà Kiev fino al termine del conflitto. Non è un passaggio scontato, visto il cambio di fase segnato dalle elezioni Usa. «Finché c'è una guerra l'Italia sarà al fianco dell'Ucraina”, scandisce la premier. Che però sviluppa il ragionamento così: «Dopodiché ovviamente vedremo come evolve lo scenario nelle prossime settimane». Resta la linea pro-Ucraina, ma più prudente, come anticipata giovedì dal sottosegretario Alfredo Mantovano: sì al sostegno militare, ma in raccordo con gli alleati, «a cominciare dagli Stati Uniti».

Già, gli Stati Uniti. Il vertice di Budapest guarda al neo presidente Trump. Ne parla anche Mario Draghi, ma non è catastrofico sul futuro: «Non c'è alcun dubbio che la presidenza Trump farà grande differenza nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l'Europa. Non necessariamente tutto in senso negativo, ma certamente noi dovremo prenderne atto». La nuova amministrazione Trump, continua, «sicuramente darà grande impulso ulteriore al cosiddetto high tech, dove noi siamo già molto indietro, e questo è il settore trainante della produttività. Già ora la differenza della produttività tra gli Stati Uniti e l'Europa è molto ampia, quindi noi dovremo agire» ricordando che «gran parte delle indicazioni" del suo report sulla competitività sono incentrate su questo tema. «Trump darà tanto impulso nei settori innovativi e proteggerà molto le industrie tradizionali, quelle dove noi esportiamo di più negli Stati Uniti - ha sottolineato l'ex premier -. E quindi dovremo negoziare con l'alleato americano, con uno spirito unitario in maniera tale da proteggere anche i nostri produttori europei». E Meloni è già lì pronta a sedersi al tavolo con Trump. Grazie ai buoni uffici di Musk.

di Giuseppe Alberto Falci   
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