Meloni e Landini vincono la sfida della Cgil. C’è aria di sciopero generale. Contro la riforma fiscale che non c’è
Grande rispetto dalla platea del sindacato rosso che ha ascoltato la premier. La prima di destra a calcare quel palco. Poche e isolate proteste. Meloni boccia salario minimo e reddito di cittadinanza. Elogia la riforma fiscale. Che però è vuota, senza un numero, solo una delega. E non piace alla Cgil che ha chiesto la mobilitazione nazionale

Poco importa sapere adesso chi ha vinto o perso venerdì sul palco della Cgil a Rimini. Se Giorgia Meloni, autentica performer da palcoscenico molto meno da conferenza stampa, o Maurizio Landini, il segretario della Cgil che ha rischiato l’osso del collo invitando sul palco del più importate sindacato della sinistra la leader nonché Presidente del consiglio della destra italiana. La premier è stata senza dubbio brava, preparata, ha toccato le corde giuste, ha parlato di estremismo e violenza politica indicando “l’estremismo di destra responsabile dell’attacco alla sede della Cgil”. Per qualcuno è stato “il suo miglior discorso da quando è premier”. Il segretario Landini, che per inciso oggi sarà rieletto per un secondo mandato, è stato coraggioso perché pur consapevole di poter essere un domani indicato come responsabile dello sdoganamento della premier della destra, ha valutato più importante dimostrare che la Cgil è un’organizzazione seria, senza pregiudizi, che sa ascoltare. Affidabile. Tutto sommato, infatti c’è anche un terzo vincitore: l’assemblea dei mille delegati che - a parte quella trentina dell’opposizione interna a Landini che si è alzata col pugno chiuso cantando “Bella ciao” e hanno lasciato sui tavoli i peluche in memoria dei bimbi lasciati morire davanti alla spiaggia di Cutro - ha saputo ascoltare, valutare, e giudicare in silenzio ma non gelo, con civiltà. Ecco, sì, si può dire che nel complesso ieri è stata scritta una bella pagina di politica. Ma che nella sostanza Meloni ospite della Cgil potrebbe alla fine essere un boomerang se è vero - lo sapremo oggi - che sarà annunciato lo sciopero generale di Cgil, Cisl e Uil contro la riforma fiscale approvata giovedì dal Consiglio dei ministri e che è stata al centro dell’intervento della premier.
Dall’ingresso principale
Giorgia Meloni ha scelto di entrare al congresso della Cgil dall'ingresso principale, a dispetto del protocollo, a mostrare anche plasticamente di non temere “fischi” o proteste. Che saranno alla fine contenute, Bella ciao, i peluche e la maglietta “Sentiti sgradita” fax simile di quella della Ferragni a Sanremo (“sentiti libera”). “Non sapevo che Ferragni fosse una metalmeccanica” il commento secco della premier appena salita sul placo. Ha parlato per circa mezz’ora davanti ad una platea che ha ascoltato in un composto silenzio l'intervento con cui la premier ha rivendicato l'azione del suo governo. E ha offerto la promessa di un “ascolto senza pregiudizi”. Proprio quello che secondo il sindacato finora non c'è stato. Nessun passo indietro e nessuna concessione. Non sul reddito di cittadinanza, stroncato, né sul salario minimo, “inefficace". E tantomeno su quella riforma del fisco appena approvata e bocciata "troppo frettolosamente da alcuni". A partire proprio dai suoi ospiti.
Una volta sul palco ha atteso, con sguardo attento e a suo modo eloquente la conclusione della mini protesta. “Mi sono divertita - è stato l’incipit - nel leggere alcune ricostruzioni per cui io avrei avuto timore di venire qui. Mi fischiano da trent'anni, sono cavaliere al merito…”. Piuttosto la premier è lì “per celebrare quell’ unità d’Italia” che poche ore prima aveva omaggiato con il presidente Mattarella davanti all’Altare della Patria. Di sicuro Meloni è stata attenta a limare il linguaggio, ha escluso un lessico indennitario (che sarebbe stato provocatorio) e, nel solco di ciò che aveva chiesto Landini nel presentarla, ha molto apprezzato l’appello a “chiedere ascolto ma anche a dare ascolto”.
Stop al salario minimo e al Reddito
La premier stoppa il salario minimo - su cui le opposizioni si stanno coordinando - perché potrebbe diventare una “tutela sostitutiva” dei contratti nazionali che spesso sono già più alti (infatti Landini è freddo sul salario minimo) e che vanno rafforzati. Una argomentazione che trova orecchie sensibili in platea. Landini ha aperto a fissare una soglia minima nella cornice di una legge sulla rappresentanza. Il reddito di cittadinanza “ha fallito” perché ha messo “nello stesso calderone” chi può lavorare e chi non può. Ma il lavoro, ha sottolineato, “non si crea per decreto” ed era quindi “doveroso" cancellare il reddito per chi può lavorare. “Cosa ci hanno fatto i poveri? Niente” - ha assicurato la premier - “vogliamo farli uscire da quella condizione e l'unico modo è dargli un lavoro". Larga parte dell’intervento è dedicata alla riforma del fisco, fresca di approvazione e di cui non ha ancora parlato. La premier ha assicurato che è una riforma che darà “molti vantaggi ai lavoratori dipendenti dalla flat tax sui redditi incrementali (come per gli autonomi) alla deducibilità per intero di alcune spese come istruzione e trasporti fino al taglio dell'Irpef attraverso la riduzione a tre aliquote.
Elogio della riforma che non c’è
La platea ascolta, in silenzio, con rispetto. Ma avrebbe molto da obiettare rispetto a quanto sostenuto dalla premier. Peccato non si possa aprire in queste occasioni una sessione di domande e riposte. Sarebbe chiarificatrice rispetto a molti slogan precotti. Come quello di dire: “Giornata storica, approvata la riforma fiscale, l’Italia aspetta da 50 anni". Prima di tutto la riforma fiscale non c’è. Non esiste. Esiste una delega che indica criteri e priorità anche in modo vago ma non c’è un numero. Ci vorranno due anni per poter leggere i decreti delegati (che per inciso non passeranno più dal Parlamento) per capire bene cosa c’è dentro questa “riforma fiscale” che appunto non c’è. Per essere più chiari, leggendo i venti articoli della delega è impossibile rispondere ad alcune domande chiave: di quanto scenderà il carico fiscale? Come sarà finanziata la perdita di gettito? Tanto è progressiva la tassazione? Quante le aliquote Irpef? Meloni dice tre. Ma non sappiamo quali. E il dettaglio in questo caso fa molta differenza.
In compenso balzano agli occhi alcune clamorose novità. Ad esempio, il “concordato preventivo biennale” in base al quale privato e Stato si mettono d’accordo prima quale sarà la base imponibile dei prossimi due anni. Base che ovviamente non potrà essere toccata. Ha tutta l’aria di essere un bel vantaggio per chi vuole evadere. Ha detto Meloni che "un fisco amico, parola chiave compliance, è l’unica chance che abbiamo per combattere l’evasione”. Fa un po’ sorridere, poi, pensare di recuperare il mancato gettito dal taglio degli sconti fiscali, le mitiche tax expenditures il cui valore ammonta tra i 60 e gli 80 miliardi. Anche questo è un vecchio mantra che nessuno è mi riuscito a fare. Perché nessuna categoria vuol rinunciare ai suoi privilegi. Un altro dettaglio: manca del tutto la promessa e necessaria riforma del catasto. Come volevasi dimostrare. Alla fine, se ci pensiamo bene, il governo Draghi è caduto per tassisti, catasto e balneari.
I fiori bianchi
Scesa dal palco, Meloni è rimasta ancora mezz’ora a colloquio con Landini. I due si conoscono da tempo hanno affrontato, lontani da taccuini e telecamere, “a 360 gradi tutti i temi di attualità”. Viene quasi da pensare che anche Landini stia studiando da leader. Della sinistra, ovviamente. Le distanze restano ma l'intenzione di “discutere” c'è. Giorgia Meloni è stata qui la prima in tutti i sensi: prima premier donna e la prima di un governo di destra. L’ultimo intervento risale al 1996, a palazzo Chigi c’era Romano Prodi ed erano i tempi dell’Ulivo e il padrone di casa fu Cofferati. Prima di Prodi, Bettino Craxi nel 1986 e Giovanni Spadolini nel 1981. Nel 2010 era intervenuto Gianni Letta a nome del governo Berlusconi. Quando la premier lascia la Fiera di Rimini, ha in braccio un mazzo di fiori bianchi. Regalati, precisano dalla Cgil, da due parlamentari di Fratelli d’Italia. Perché il rispetto sì. I fiori sarebbe stato troppo.