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Meloni potrebbe giurare prima del 20 e volare a Bruxelles. Quell’intesa cordiale tra la leader e Draghi

Fitto scambio di dossier e report tra la premier in pectore e la presidenza del Consiglio. Oltre al gas, la leader sta studiando col Mef dove trovare i soldi per fare il quarto decreto Aiuti. Lega e Forza Italia vogliono almeno 4 ministeri a testa. Salvini alle prese anche con la Corrente del Nord

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Giorgia Meloni e, sullo sfondo, Mario Draghi (Ansa)
Giorgia Meloni e, sullo sfondo, Mario Draghi (Ansa)

Come si cambia quando quando da opposizione-a-prescindere - perchè produce consenso - si diventa maggioranza e la propaganda deve cedere il passo alla responsabilità e al buon senso. Le nuove parole d’ordine sono un inno all’equilibrio e al pragmatismo: “Daremo risposte agli italiani”, “difendere l’interesse nazionale per trovare soluzioni comuni”, “non disturbare chi vuol fare impresa”, “fermare la speculazione sul gas e non regalare soldi alla speculazione”. Ha parlato poco nella sua prima settimana da premier in pectore Giorgia Meloni. E quelle poche cose dette o scritte, sono state tutte giuste. Straordinariamente diverse, nei toni e nella sostanza da quelle ascoltate in questi anni in Parlamento, nei dibattiti, nelle interviste e anche in campagna elettorale. “Sono in contatto con il governo in carica che è impegnato in una trattativa difficile per trovare soluzioni a livello europeo” ha spiegato sabato a Milano. Anche il governo di Mario Draghi è passato da essere quella roba che mandava in rovina l’Italia a un soggetto attivo a tutela del bene del Paese. La presidente Meloni maestra di fair play e politically correct. Se la metamorfosi sia sostanziale o di facciata, servirà qualche mese per capirlo.

La sensazione, adesso almeno, è che Giorgia Meloni sarà un premier in continuità con Draghi, la sua agenda e il suo metodo. Se così sarà, bisognerà vedere piuttosto cosa succederà con il consenso.

Un lungo passaggio di consegne

Ma conviene andare “a mano a mano” come la colonna sonora scelta per accompagnarla sul palco della Coldiretti sabato mattina a Milano. Prima di tutto Meloni cerca di accelerare per avere l’incarico e far partire il governo. In questi giorni l’interlocuzione con i ministri Cingolani (per il gas) e Franco (per le risorse disponibili) è costante. Anche il premier Draghi non fa mancare il suo sostegno. E’ in corso un vero e proprio accompagnamento all’uscita del governo uscente e all’ingresso di quello entrante. E’ un momento delicatissimo e la sequenza di vertici europei - a Praga 5-6 ottobre e Bruxelles 20-21 ottobre - ha convinto tutti, dal Quirinale in giù, che occorre accelerare. Praga sarà quindi probabilmente l’ultimo vertice di Mario Draghi e Bruxelles il primo di Giorgia Meloni premier.  Entrambi saranno “vertici a quattro mani” perchè è necessaria l’esperienza del governo Draghi sul tema specifico del tetto al prezzo del gas  e l’autorevolezza di un governo con pieni poteri per gestire da titolari questa partita. Che la crisi di governo di metà luglio ha, gioco forza, relegato l’Italia tra le ultime riserve in panchina togliendo quindi al governo in caricarono per gi affari correnti il potere di incidere e di pesare.

Ecco che dopo la prima convocazione del Parlamento (13 ottobre) le cose potrebbero andare più velocemente del previsto. Dal Colle si percepisce la volontà di lavorare anche nel fine settimana e c’è chi ha segnato sul calendario  il 18 e il 19 ottobre come giorni possibili per il giuramento del nuovo governo.  Se così fosse, la nuova premier potrebbe così seguire personalmente il dossier energia a Bruxelles.

Emergenza gas e nuovo decreto

E’ senza dubbio la priorità. Soprattutto lo è fermare la speculazione. Di sicuro la Germania che ha fatto gli affari suoi mettendo un price cap da 200 miliardi, non ha aiutato il contesto e le trattative a livello europeo dove Mario Draghi tenta da febbraio di spiegare come il price cap sia l’unica scelta possibile. In questo quadro, sono proseguiti anche nel fine settimana i contatti con palazzo Chigi. Un filo diretto che consente di tenere informato il prossimo capo del governo su tutti i dossier aperti, dalla guerra in Ucraina (su cui si sono ripetuti in questa settimana le dichiarazioni in sostengo a Kiev e alla Nato) alla lotta all’inflazione passando ovviamente per il gas. In questi contatti si è anche molto parlato delle opzioni possibili in vista del quarto decreto Aiuti per sostenere famiglie e imprese contro la stangata d'autunno, tra boom bollette e inflazione. Sarà questo il primo vero atto del governo Meloni. Tutto da costruire, a cominciare dalle coperture da trovare. Tra le ipotesi circolate in ambienti parlamentari ci sarebbe l'aumento della base Isee per i bonus o le aliquote del credito di imposta, che però assottiglierebbero non poco il 'tesoretto' di 10 miliardi a disposizione per i nuovi sostegni.

Tutti coloro che affiancano Meloni nello studio dei dossier e nella ricerca delle possibili soluzioni sono tenuti ad un rigoroso silenzio. Molto poco filtra anche dai bilaterali con i soci della coalizione. All’appello a questo punto mancano solo i centristi di destra di Maurizio Lupi a cui Meloni sembra intenzionata di affidare il ruolo chiave e di fiducia del ministero dei Rapporti con il Parlamento. In prativa cui che deve tenere unita la maggioranza e convincere le opposizioni a fare battaglie costruttive. Alla collaborazione pur nella diversità dei ruoli. Ah se le cose fossero andate così anche negli ultimi 18 mesi: avremmo ancora il governo Draghi e anche la battaglia sul gas poteva essere gestita in maniera diversa.

“Una transizione ordinata”

E’ sempre stato l’obiettivo di Draghi che fin dal giorno dopo la “sfiducia” ha chiesto ai “suoi” di curare nel dettaglio i dossier aperti di ciascun dicastero. Tutto il contrario di quello che accadde quando Conte gli cedette, suo malgrado, il testimone.O nel passaggio Gentiloni/Conte 1. Prima di lasciare il Palazzo, non è escluso che Draghi possa tornare in Parlamento e presentare la relazione sul Piano nazionale. In sostanza, la fotografia dello stato dell'arte dell'Italia, anche per sancire il passaggio di consegne sul lavoro fatto, in assoluta trasparenza. Il governo Draghi starebbe, quindi, definendo tutti i dossier ancora aperti e quelli in chiusura, così da garantire una transizione ordinata e lineare a chi verrà dopo. Tra cui anche alcuni suggerimenti per le strategie che il prossimo governo potrebbe adottare. Per reperire altri fondi, oltre al tesoretto indicato nella NaDef, Salvini continua a chiedere un nuovo scostamento di bilancio. Anche un pezzo di sinistra, Pd e tutti i 5 Stelle lo chiedono.

Fare nuovo debito, però,  per nutrire la speculazione potrebbe mandare in fibrillazione i mercati. Un aspetto considerato delicato da tutti gli interlocutori, alla luce anche della recessione in atto in Germania (che ha già messo sul piatto 200 miliardi), nel Regno unito e della recessione tecnica degli Stati Uniti. In questo difficilissimo quadro internazionale un extra deficit italiano potrebbe rappresentare più una complicazione che un aiuto. Non ci sono dubbi che solo l'esecutivo entrante potrà decidere su questo punto.

Il tavolo della squadra di governo

Se Meloni vuole andare come premier a Bruxelles il 20-21 ottobre, il 13 deve essere pronta la squadra di governo. Che è l’altro tavolo parallelo su cui Giorgia Meloni sta lavorando incessantemente da quando il risultato delle urne - il 25 settembre sembra un secolo fa - è stato definitivo. E schiacciante. A questo proposito, non sono poche le criticità da sbloccare. La leader di Fratelli d’Italia ha raccolto i desiderata di Lega e Forza Italia (pari trattamento e almeno 4 ministeri a testa) ma non ha sciolto il rebus sui ministeri chiave: Economia, Esteri, Difesa e Interno. Berlusconi e Salvini hanno fatto asse e hanno detto No a  “tecnici nei ruoli chiave”. “Perchè cercare i tecnici quando abbiamo un mandato popolare così largo e ottimi e valenti professionisti nelle nostre squadre?” ha fatto notare sabato Berlusconi quando ha ricevuto la visita ad Arcore di Giorgia Meloni.

Salvini ha annunciato che domani riunirà il Consiglio Federale della Lega per “scegliere i nomi migliori”. La Lega - ha detto ieri - “darà all’Italia la squadra di governo migliore possibile. C’è grande ottimismo: la Lega non vede l’ora che questo governo cominci a lavorare”. Così, tanto per mettere altri puntini sulle “I” a una Meloni che da qualche parte, per qualche ora, ha pensato ad un governo “monocolore” viste le percentuali. La Lega vuole 4 ministeri. Forza Italia altrettanti. I Moderati, a questo punto, almeno un ministero.  La squadra del governo Draghi conta 23 ministri di cui 8 tecnici. La squadra di Meloni potrà arrivare forse a 24 ma non di più per via dei vincoli della legge Bassanini.

Alla fine l’unico tecnico potrebbe essere il titolare dell’economia e finanze (e qui si ragiona di un eventuale split). Non è un mistero che Meloni vorrebbe in via XX Settembre Fabio Panetta, ora nel board della Bce e candidato alla guida di Bankitalia. Sarà difficile mettere un tecnico (un prefetto, due in pole, Piantedosi e Pecoraro) al Viminale: quel posto lo reclama Salvini; Berlusconi non gli ha detto no ma il Quirinale sarà criticamente contrario.  Salvini spinge per trovare un posto da ministro a Centinaio, Rixi, a Giulia Bongiorno e ad altri suoi fedelissimi a cominciare da se medesimo. Berlusconi ha il suo dream team: Tajani, Ronzulli, Bernini, Cattaneo e Barelli. Non sarà facile trovare spazio per tutti.

Ed ecco allora che si apre la partita delle Camere, dei presidenti di Camera e Senato e dell’ufficio di Presidenza. Meloni ha fatto in fretta tramontare l’idea di dare la seconda o la terza carica dello Stato alle opposizioni. Entrambe sono quegli incarichi di prestigio  necessari per sfamare l’appetito di incarichi che rumoreggia dalle terze quarte file di Fdi. Si parla di La Russa e Calderoli a palazzo Madama. Molinari (Lega), Giorgetti (Lega) e Rampelli alla guida di Montecitorio. Peccato che, soprattutto i candidati alla presidenza della Camera, sono convinti di fare i ministri. Una cosa è certa: se si vuole veramente fare in fretta, tra il 13 e il 14 al massimo deve essere eletto l’Ufficio di Presidenza e la Presidenza di entrambe le Camere. E non è detto che sia così scontato. 

La Corrente del Nord

Anche perchè Salvini ha molti, troppi fronti aperti. Difficile possa andare al Viminale. Potrebbe chiedere le Infrastrutture (da cui dipende tra l’altro la Guardia Costiera)  e che però Meloni vorrebbe dare ad un tecnico. Da sabato Salvini deve anche tenere a bada la prima corrente interna de La Lega in tutta la sua storia. Umberto Bossi, entrato in Parlamento per il rotto della cuffia nonostante il collegio di  Varese, ha dato vita a “La corrente del nord”. “Per recuperare le persone del nostro nord” è stato spiegato. Intanto, tra le prime azioni, c’è l’approvazione della legge sulle Autonomie. “Stavolta è nostra, stavolta ce la facciamo” ha ripetuto Salvini. Il segretario è politicamente difficoltà (“abbiano pagato la responsabilità di andare al governo”) ma non ha alcuna intenzione di mollare e cerca ogni occasione per dimostrare che va tutto bene ed è tutto sotto controllo.

Insomma, il guaio è il gas. Ma comporre un governo autorevole resta il vero problema di Giorgia Meloni.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   

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