E Giorgia finalmente ha sorriso. Poi ai ministri: “Vi chiedo correttezza, unità, lealtà”.

In serata l’incontro con Macron per “rafforzare l’asse con la Francia”. Prima della campanella, settanta minuti a colloquio con Draghi. Cosa si son detti

Macron e Meloni durante l'incontro a Roma (Ansa)
Macron e Meloni durante l'incontro a Roma (Ansa)

Percorso netto, non c’è che dire. E alla fine dei suoi due giorni politicamente più duri - dalle 16.30 di venerdì quando Mattarella  l’ha convocata al Quirinale alle 12.30 di domenica quando finalmente ha potuto suonare la campanella ricevuta dalle mani premurose di Mario Draghi - la prima donna premier della Repubblica italiana si è lasciata andare ad un sorriso vero, liberatorio, solare. Si, certo, carico del peso della responsabilità, ma con quella carica empatica che fa della leader della destra italiana una figura che riesce a strappare simpatia anche da chi sta da tutt’altra parte della geografia politica.

La nuova premier che cerca l'impeccabilità

Non ha sbagliato nulla: ha tenuto a bada l’emozione come una veterana; ha dato una lezione a tutti recitando a memoria, senza leggerla, la formula del giuramento; ha azzeccato la mìse giusta con i tailleur blu ieri ingentiliti dalla camicia bianca; si è concessa il vezzo femminile di cambiare le scarpe (dallo scarponcino comodo per la rassegna ai reparti militari nel cortile di palazzo Chigi al décolleté basso una volta nella sala dei Galeoni per il rito della campanella); non ha sbagliato un passo nel cerimoniale (secchiona anche in questo); non ha fatto mistero della complicità, e probabilmente anche della stima, con i due uomini che con soddisfazione le hanno passato l’incarico, prima Mattarella e poi Draghi. Certe occhiate sorridenti e gesti premurosi di questi giorni hanno fatto piazza pulita di tante ricostruzioni e retroscena: nessuno dei due è apparso preoccupato di affidare la guida del Paese ad una donna di destra.

Ripartire dalla scelta delle parole

Con la fiamma nel simbolo. Nonostante il lessico con cui sono state riscritte le deleghe dei ministeri. “Natalità”, “sovranità alimentare”, “famiglia”: le parole contano ma sono i fatti che diranno la verità. E ora è giunto il tempo dei fatti.  Questo governo - ha sottolineato il premier “non nasce con il favore della stampa” anzi, c'è “diffidenza se non ostilità. Io sono convinta che sarà una bella sorpresa ma serve l’impegno di tutti. Le persone si aspettano che ripaghiamo la fiducia che hanno riposto in noi. Quindi non guardate più al consenso ma alle percentuali del pil”.

Vicepremier e sottosegretario: le prime nomine 

La leggerezza, e le note di colore, dell’insediamento del primo premier donna finiscono qua. Sono finiti con i 70 minuti a colloquio con Draghi per quel passaggio di consegne “accurato e profondo” cui il premier uscente ha fatto tante volte riferimento e di cui è molto orgoglioso. Stamani tutti i ministri uscenti avranno colloqui approfonditi con i loro successori e a ciascuno di loro sarà consegnata una cartellina con le cose fatte in questi 20 mesi e quelle da fare perchè in scadenza nei prossimi mesi.

Leggerezza e note di colore sono finiti nella prima riunione del Consiglio dei ministri: ai 24 nominati sorridenti per la loro prima riunione (tranne Salvini che è sembrato un po’ più ombroso) attorno al grande tavolo della Sala del Consiglio, Giorgia Meloni ha chiesto soprattutto quattro cose: “Correttezza, lealtà, unità, evitate personalismi”. “Dobbiamo essere uniti, leali, responsabili - ha detto - ci sono emergenze da affrontare per il Paese. E’ finito il tempo delle cerimonie, adesso mettiamoci a lavorare insieme”.

Il magistrato Alfredo Mantovano è stato nominato sottosegretario alla Presidenza del consiglio (probabilmente sarà sua la delega ai servizi segreti); Matteo Salvini e Antoni Tajani sono stati nominati vicepremier. Erano filtrate ricostruzioni circa ringraziamenti spassionati al premier da parte dei due ministri. Tajani si è forse concesso qualche emozione in più (“da ministro e parlamentare sento di servire ancora di più il mio paese”). Salvini si è limitato ad incassare la nomina a vicepremier. Quando ha lasciato palazzo Chigi ha detto ai cronisti: “Non parlo”. Via social poi ha aggiunto: “Ai colleghi questa mattina ho sottolineato l’importanza sella lealtà, della condivisione e della collaborazione”. Non si sa chi abbia invocato di più e per primo questi aspetti. A quanto pare sono però un punto debole della coalizione. 

Poi Salvini ha postato una foto sui social nell’ufficio al ministero: “Sto approfondendo i dossier sulle oltre 100 opere pubbliche rievanti e commissariate in tutta Italia”. L’uomo del fare ha ripreso possesso di una tolda di comando.  Avrebbe preferito il Viminale. Il Ponte sullo Stretto è la prima sfida. Non farsi portare via la guardia costiera da quel ministero del Mare (una delle new entry dell’era Meloni) che il premier ha affidato all’amico Musumeci. A Salvini serve una polizia. Se è di mare, va benissimo. Per coordinarsi meglio con l’amico prefetto e da ieri ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.

Tra le nomine anche quella di Roberto Cingolani a consulente (a titolo gratuito) del suo successore Gilberto Pichetto Fratin, l’azzurro che è stato viceministro di Giorgetti nel governo Draghi. La delega sull’energia resta al Mite, non va al Mise (dove siede Adolfo Urso), ed è in questo momento il dossier più urgente.   

Settanta minuti a colloquio con Draghi   

Energia e gas sono i temi che hanno assorbito buona parte del lungo - e inedito secondo la memoria anche di staff e cronisti di palazzo - faccia a faccia tra ex e nuovo premier.  Parallelamente, nella stanza vicina, si sono visti il sottosegretario uscente alla Presidenza Roberto Garofoli e il suo successore Alfredo Mantovano. Draghi ha spiegato l'esito del Consiglio europeo di Bruxelles, che ha dato il via a un pacchetto di misure che comprende il price cap sul gas oltre ad un nuovo fondo europeo di aiuti agli Stati e un nuovo criterio di riferimento per fissare il prezzo del gas togliendo nei fatti l’esclusiva al TTf di Amsterdam. Questo accordo, strappato con le unghie e con i denti da Draghi nell’ultimo consiglio Ue dopo sette mesi di lavoro, deve  però essere tradotto in atti concreti e in tempi brevi. L’Italia deve avere subito un governo in grado di tenere testa ai probabili tentativi di Germania e Olanda di fare marcia indietro. Da qui la decisione della consulenza a Cingolani che ha seguito passo passo nei mesi la costruzione del dossier: domani a Bruxelles è previsto un Consiglio energia dove il governo italiano deve giocare un ruolo delicatissimo e occorre andare con persone pronte. Pichetto Fratin è un ministro esperto ma non fino a questo punto. Tra gli altri temi sul tavolo anche la Libia, i rapporti con la Russia e con la Cina. Proprio le relazioni strategiche con Pechino sono state uno dei temi al centro del summit di Bruxelles: “Non dobbiamo ripetere l’errore fatto con Mosca” aveva ammonito Draghi venerdì. Ampio aggiornamento anche sullo stato dei  rapporti con i 27 leader europei. Sull’Ucraina Draghi e Meloni hanno sempre avuto modo di confrontarsi. La premier ha già avuto contatti con Zelensky e Kiev (altrettanto ha fatto ieri il ministro Tajani). Necessario l’aggiornamento sul decreto armi e sulle prime decisioni da prendere in ambito Nato.

Quando si sono aggiunti anche Garofoli e Mantovano, sono stati affrontati il caro-bollette, l’attuazione del Pnrr e la legge di bilancio che quest’anno dovrà essere scritta a tempi di record. L'impianto tecnico è stato già messo a punto dal Mef e servono 40 miliardi solo per confermare le misure in essere (in favore di famiglie e imprese),  per sostenere il taglio del costo del lavoro, i contratti della Funzione pubblica e le spese indifferibili. “Credo che sarà una manovra molto tecnica. Le risorse sono quelle che sono e i tempi strettissimi, gli interventi più complessi saranno fatti in seguito”. Non sarà però facile spiegare agli elettori di destra che non ci sarà flat tax, rottamazione di cartelle e che anche il reddito di cittadinanza non potrà essere stravolto. Che tutte le promesse della campagna elettorale sono rinviate al prossimo anno.

Oggi la prima vera prova dei mercati

Venerdì i nomi dei ministri sono stati annunciati a mercati chiusi. Oggi le Borse e i mercati aspetteranno al varco il nuovo esecutivo di destra-centro. L’Italia sarà un’osservata speciale in una settimana calda tra Bce, Pil americano e risultati trimestrali di colossi a stelle e strisce come Amazon. Gli investitori vogliono capire se le soluzioni saranno in continuità con il governo Draghi o se ci sarà una discontinuità. E sono pronti a reagire. Occorre tenere bene a mente la lezione inglese. Che non è neppure Europa. Non è un caso che i vertici europei sottolineano “il ruolo chiave dell’Italia nella tenuta dell’Europa”.

Giovedì  27 ottobre la Banca Centrale Europea deciderà se alzare ancora i tassi d’interesse (si parla di un rialzo di 75 punti, anche questo è stato un tema del colloquio con Draghi).  Rialzi che saranno probabilmente confermati anche il 15 dicembre.

In serata l’incontro con Macron

Tra recessione, guerra, inflazione e crisi energetica è uno scenario da far tremare i polsi. Non è una novità, anzi. La buona notizia è arrivata da Bruxelles ed è il più bel regalo che Draghi potesse lasciare a Meloni. Ora però c’è da lavorare e tanto. Non da soli. E neppure con Orban. Con gli alleati storici. La Francia, ad esempio. Meloni ha incontrato ieri sera il presidente francese a Roma per l’evento organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio cui ha partecipato anche Mattarella. “Cordiale e proficuo incontro di oltre un’ora - recita una nota dell’ufficio stampa - energia, Ucraina, crisi economica, gestione dei flussi migratori”. Ha fatto di tutto il premier per incontrare Macron. Quando era all’opposizione non ha mai riservato parole gentili per il presidente francese. Ora l’intenzione è di “proseguire  l’asse con la Francia” assai rafforzato da Mattarella e Draghi. Meloni era rimasta a palazzo Chigi fino alle 19. Con lei il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e il senatore Giovambattista Fazzolari, tra i più ascoltati consiglieri economici. Serve subito un emendamento per prorogare fino alla fine dell’anno una serie di norme per famiglie ed imprese che sono in scadenza. Draghi e l’ex ministro Franco hanno lasciato un tesoretto di una decina di miliardi. Probabilmente non sarà un decreto ma un emendamento al decreto Aiuti ter che dovrà andare in aula il 7 novembre. Chissà se andrà bene a Salvini. E cosa dirà il ministro economico Giancarlo Giorgetti che ieri ha lasciato palazzo Chigi senza dire una sillaba.

Al termine Meloni ha presieduto il primo Consiglio dei ministri e quindi si è ritirata a lavorare nell'appartamento del presidente del Consiglio, studiando i dossier insieme ai più stretti collaboratori, tra cui il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida e il senatore Giovanbattista Fazzolari, uno dei suoi più ascoltati consiglieri.