Meloni, “fuga” in Albania. I dieci dossier che scottano per un autunno difficile
La premier si sentiva assediata nel resort di trulli in Puglia. Ha preso un traghetto (di linea) ed è andata a trovare il premier Edy Rama. Dalla legge di bilancio al Pnrr, dall’immigrazione al Mes, dal salario minimo alle tasse sulle banche, la difficile agenda del ritorno

Dice di sentirsi assediata e quindi di non riuscire a rilassarsi. Persino il resort di trulli in Puglia per quanto isolato e discreto è stato violato, si dice, con i droni. Sono le spine della prima estate da Presidente del Consiglio. Ma per Giorgia meloni è troppo. Quindi ha preso la famiglia, il traghetto di linea ed è andata in Albania dall’amico premier Edy Rama. Il turismo italiano si lecca le ferite per il -30% di questa estate con i super prezzi e di sicuro la premier che va in Albania, che registra invece un +7% di turismo italiano, non è un "bel messaggio” per la campagna Open to meraviglia della ministra Santanchè.
Ha fatto parte del presunto assedio anche la presenza costante di giornalisti e telecamere fuori dal resort pugliese. Presenza che ha prodotto un’intervista collettiva a tre quotidiani italiani in cui la premier ha mostrato molte certezze che però lei stessa sa di non poter avere. “Non temo l’autunno caldo, credo che ci sia un’opposizione pregiudiziale, basti vedere che il sindacato dichiara sciopero prima ancora di leggere la legge di bilancio. Ma io sono certa che gli italiano sanno che stiamo facendo il possibile”. Che sia un’opposizione “pregiudiziale”, sarebbe nel novero delle normali dinamiche politiche tra maggioranza e opposizione. Come Giorgia Meloni, per anni leader dell’opposizione, sa bene. Il problema è che esistono una serie di dossier delicati e di difficile soluzione con cui il governo è costretto a fare i conti entro la fine dell’anno. Ne abbiano contati almeno dieci.
Dieci dossier che scottano
Il Pnrr, ad esempio, si porta dietro due problemi. Il primo relativo alla cassa corrente. Il ministro titolare del Piano, Raffaele Fitto ha assicurato - e con lui la premier - che entro la fine dell’anno avremo in cassa i 35 miliardi della terza e quarta rata. Entrambe sono state sbloccate, la prima dopo sette mesi di trattative, e però non c’è stata ancora l’erogazione di soldi perché sono ancora in corso valutazioni da parte della Commissione Pnrr di Bruxelles. Le casse dello Stato hanno però bisogno come dell’aria di questi soldi che dovevano entrare in parte in marzo e la seconda parte a settembre... Il secondo problema con cui fare i conti sono proprio i 16 miliardi del Pnrr per lo più “tagliati” ai comuni nella revisione del Piano condotta dal ministro Fitto: molti dei progetti sono cantieri avviati, i sindaci temono di non poter più avere quelle opere e soprattutto chiedono i motivi di questa distrazione di fondi.
La legge di bilancio
Settembre e ottobre sono i mesi in cui viene presentata e votata la Nota di aggiornamento al Def e la legge di bilancio. C’è grande attesa perché, da quanto filtra dagli uffici di via XX Settembre, mancherebbero all’appello almeno venti miliardi. E poiché questa sarà la prima vera manovra del governo della destra meloniana, la sensazione è anche questa legge di bilancio non potrà essere all’altezza delle promesse fatte non in campagna elettorale ma anche in questi mesi e settimane. Al momento il governo può contare su 4,5 miliardi stimati con il Documento di economia e finanza uscito in aprile. A questa cifra vanno aggiunto 1,5 miliardi in arrivo dal taglio della spesa corrente dei vari ministeri (300, 500, 700 nei tre anni fino al 2026). La famosa tassa sugli extra margini delle banche partorirà alla fine un topolino da un paio di miliardi. Forse anche meno visto che Forza Italia, e non solo, ha chiesto modifiche in Parlamento. E infatti il crollo di borsa dei titoli bancari si è fermato. Il danno alla credibilità internazionale del paese è stato fatto: nessuno critica l’obiettivo della tassa ma il metodo è stato una lunga somma di errori. Più o meno si arriva ad una cifra di circa 8 miliardi. Senza dimenticare che il Pil potrebbe fermarsi sotto l’un per cento e quindi anche il valore del gettito potrebbe cambiare. Al ribasso.
Il problema è che servono molti più soldi. Tra le spese indifferibili ci sono i 5-6 miliardi delle missioni internazionali. Solo per confermare l’attuale taglio del cuneo per i redditi fino a 35 mila euro, servono almeno dieci miliardi. Il governo vorrebbe aumentare il taglio delle tasse in busta paga (anche per migliorare le condizioni dei lavoratori poveri) per cui il preventivo di spesa aumenta: solo per realizzare un piccolo pezzetto della riforma fiscale (la riduzione delle aliquote, si pensa l’accorpamento tra la terza e la quarta) servono fra i 3 e i 4 miliardi. C’è il capitolo pensioni: Salvini ha promesso - promette da anni - il superamento della Fornero, ma anche quest’anno dovrà ridimensionare le attese perché non ci sono soldi. Dovrà spiegare, nel tour elettorale che è già iniziato, che sarà possibile, al massimo, confermare Quota 103 (quella del ’23). E già questo costa circa un miliardo. Il ministro della Salute ha chiesto quattro miliardi, ne potrebbero arrivare due e mezzo. Un altro miliardo va messo in conto per confermare la detassazione dei fringe benefit (un altro modo per far salire il valore degli stipendi e dare un po' di benzina contro il caro vita) e tre miliardi per sistemare, almeno un po’, i contratti scaduti da anni nel settore del pubblico impiego. Se si mettono in fila queste voci - e sono quelle indispensabili - la somma fa tra i 28 e i 30 miliardi. Al momento ne abbiamo a disposizione otto. Gli altri vanno trovati.
Dal Mes alla supertassa delle banche
Al dossier Sanità si collega il Mes, il fondo salva stati che il Parlamento italiano, unico in Europa, deve votare dalla primavera ma ha rinviato all’autunno. Bruxelles ha le antenne accese. Sempre in ottobre, e in tempo per la legge di bilancio, il governo dovrà trovare una risposta sul “doppio fronte” della tassa sugli extraprofitti delle banche (mal digerito nella maggioranza da Forza Italia e dai centristi di Noi moderati mentre Fdi e Lega tirano dritto) e del salario minimo per combattere la piaga del lavoro povero. Meloni ha affidato la soluzione al Cnel presieduto da Renato Brunetta. Sulle banche i rischi boomerang è altissimo: doveva essere la mossa politica che avrebbe mandato il governo Robin Hood in vacanza sule ali di una vittoria di popolo. Invece, oltre ad aver fatto arrabbiare e molto la maggioranza (da Tajani a Giorgetti), ha prodotto un mezzo topolino da uno-due miliardi e ha riacceso il faro della inaffidabilità sull’Italia. Abbiano il debito pubblico più alto d’Europa e se gli investitori stranieri non si fidano, chi compra il nostro debito sovrano?
Dal carrello della spesa alla ricostruzione
Intrecciato al dossier lavoro povero c’è il tema inflazione. Il carrello della spesa vola sempre con la doppia cifra. La ricetta del ministro Urso è il patto antifinflazione che dovrebbe scattare dal primo ottobre, certamente in ritardo e con pochissime garanzie di successo. L’autunno dovrà poi dare risposte certe sulla ricostruzione post-alluvione. Il presidente della regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, a cui è stato preferito come commissario il generale Figliuolo, è in pressing su Palazzo Chigi: Meloni dice che sono stati stanziati 4,5 miliardi ma in realtà sono arrivati solo 230 milioni, comuni e regioni non hanno più soldi da anticipare e centinaia di frane tengono ancora isolate intere comunità. “Non capisco perché Bonaccini si lamenti. Forse non ha gradito la nomina di Figliuolo?” ha detto la premier nelle interviste collettive. Aggiungendo una coda velenosa: “Guai a chi fa politica sulle disgrazie dei cittadini”. Il problema è che è tutto fermo. E l’inverno non è certo una buona stagione per lavorare.
In attesa della decisione su Santanchè
Sempre in autunno dovrà arrivare la decisione della magistratura, e dell’Agenzia delle entrate, sul caso Santanchè e sulle ipotesi di reato per cui è indagata che vanno dalla bancarotta al falso. La morte di Luca Ruffino, presidente di Visibilia editore, non aiuta. Se la ministra del Turismo dovesse essere rinviata a giudizio, potrebbe rendersi necessario un rimpasto. Che, a quel punto non riguarderebbe una sola casella. E poi l’immigrazione - siamo ormai a centomila sbarchi, mai così tanti dal 2017 - con la promessa di un nuovo decreto sicurezza che ancora una volta non potrà fare miracoli e però crea attesa ed aspettative. Intanto sindaci e governatori si stanno rifiutando di fare accoglienza ai migranti perché non hanno né strutture né soldi. In realtà il sistema dell’accoglienza fu smantellato dall’ex ministro Salvini e tuttora non è stato riattivato. Il sistema attuale è tarato su 93 mila presenze. Con i nuovi arrivi siamo quasi al doppio. Su tutto questa aleggia la campagna elettorale per le elezioni europee. Salvini è già in tour e avvisa: “Guai a chi mette veti sulle alleanze ad esempio con Marine Le Pen”. Cerca di portare i Conservatori di Meloni verso destra e non verso i Popolari che è invece il piano della premier italiana. Un tasto delicatissimo. Su cui Meloni alza le mani: “No adesso di questo non mi posso occupare”. Ma la campagna per le Europee inizia in ottobre. E’ il decimo dossier.