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Meloni si serve dell'euroatlantismo per nascondere le preoccupazioni sul premierato

La premier al museo Maxxi di Roma ha rivendicato quello che è successo nell’ultimo anno di governo, partendo dalla politica estera

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni in videocollegamento al museo Maxxi di Roma (Ansa)
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni in videocollegamento al museo Maxxi di Roma (Ansa)

Il giorno prima delle comunicazioni in Parlamento in vista del Consiglio europeo, Giorgia Meloni mette in chiaro una serie di concetti. Prima di tutto intende partire dalla postura in politica internazionale, ancorata nel solco dell’europeismo e dell’atlantismo. Da lì non intende allontanarsi.

L’ultimo anno di governo

Eccola dunque al museo Maxxi di Roma rivendicare quello che è successo nell’ultimo anno di governo. Partendo proprio dalla politica estera e dal recente conflitto in Medioriente:  «Penso che l'antisemitismo sia un problema reale, che sta crescendo in tutta Europa e in Occidente, spesso mascherato da critica verso Israele. Le tante manifestazioni convocate come manifestazioni a favore Palestina e poi risoltesi in manifestazioni che inneggiavano ad Hamas credo ne siano una spia molto preoccupante, perché sono due cose molto diverse». E ancora, sempre su queste note: «Questo antisemitismo in Europa e in Occidente cresce soprattutto nelle comunità islamiche, ma deve colpire molto di più che si sta facendo largo anche al di fuori di questi contesti, come dimostrano le denunce fatte da diversi analisti, è un fenomeno che deve preoccuparci». Sul conflitto in corso nel Medioriente ritiene dunque  «che non si possa trattarlo se non si riparte dall'orrore di Hamas, dalla ferocia disumana che non ha risparmiato donne e bambini e che racconta la disumanizzazione dell'altro e io penso che debba essere condannata senza ambiguità perché se ci abituiamo all'orrore, abbiamo un problema serio».

Il conflitto tra Russia e Ucraina

Un passaggio del discorso l’inquilina di Palazzo Chigi lo riserva poi al conflitto tra Russia e Ucraina, ribadendo la postura che l’esecutivo italiano non ha mai mutato, prima con Draghi e poi con la guida della leader di Fratelli d’Italia, in linea con l’Europa e gli Stati Uniti: «È giusto continuare a sostenere l'Ucraina, banalmente perché se consentiamo che saltino le regole del diritto internazionale gli scenari di crisi si moltiplicheranno. Sento parlare di risultati nell'avanzata ucraina inferiori a quanto immaginato ma credo che si debba tenere in considerazione che Kiev ha liberato gran parte del suo territorio e che oggi è inimmaginabile un'ipotesi di invasione totale dell'Ucraina. Doveva essere una guerra lampo e questa stoica resistenza degli ucraini, avvenuta grazie anche ai paesi occidentali, ha allontanato la guerra da noi perché se quella invasione lampo fosse riuscita ci saremmo trovati una guerra più vicina a casa, perché la Russia non si sarebbe fermata».

L'economia

Se la politica estera è stato il fior all’occhiello dell’azione dell’esecutivo Meloni, l’economia è stata invece l’anello debole di un governo che deve duellare con Bruxelles e soprattutto deve mantenere i conti in ordine. Sconfessando cosi le parole degli anni all’opposizione. «Il tema per noi è quello degli investimenti. Dopo di ché la trattativa è aperta, noi stiamo portando avanti un approccio pragmatico e credo che non si possa dire di sì a un patto di stabilità che nessuno Stato potrebbe rispettare perché non sarebbe serio da parte nostra. Io vedo spiragli per una soluzione seria che tenga conto del contesto in cui operiamo».

La questione del Mes

Vede spiragli, insomma, l’inquilina di Palazzo Chigi. Che allo stesso tempo non sembra intravederne sull’oggetto della discordia: il Mes. Salvini si dice contrario al Meccanismo europeo di stabilità e predica il rinvio a gennaio, Forza Italia è pronta a votare la riforma del Fondo Salva Stati. In tutto questo Meloni sta nel mezzo: «Quello sul Mes è un dibattito molto italiano e anche molto ideologico, testimonia la strumentalità di certe posizioni: non si può parlare di Mes se non si conosce il contesto. Certe dichiarazioni mi fanno sorridere, come la segretaria del Pd Elly Schlein che dice 'non possiamo tenere ferma tutta Europa'. Forse non sa che il Mes esiste, chi lo vuole attivare lo può tranquillamente attivare. Forse bisogna interrogarsi sul perché, in un momento in cui tutti facciamo i salti mortali per reperire risorse, nessuno vuole attivarlo: questo sarebbe il dibattito da aprire». E se questo è l’attacco al PD, resta la domanda: il governo darà il via libera alla riforma del Fondo Salva Stati? «Un governo serio tiene conto del contesto, e in quel contesto fa calare degli strumenti. Perché parliamo di strumenti e non di totem ideologici. E io così ragiono. Quando saprò quale è il contesto nel quale mi muovo saprò anche che cosa secondo me bisogna fare del Mes. Fermo restando che continuo a ritenere il Mes uno strumento che ad oggi non è stato utilizzato neanche quando era stata attivata una linea di credito durante la pandemia, che aveva minori condizionalità, perché purtroppo è uno strumento rispetto al quale gli Stati, prima di accedere, si pongono il problema di che tipo di messaggio danno al resto del mondo». 

Linea attendista

Una risposta che prefigura un rinvio o comunque una linea attendista in vista della chiusura dell’accordo sul Patto di Stabilità. Meloni vuole vedere «cammello» prima di accettare il Mes. Fatto sta che in questo contesto l’inquilina di Palazzo Chigi inizia a essere preoccupata per il destino della riforma del premierato. Le audizioni in commissione Affari costituzionali in Senato continuano e continueranno anche oggi. Al momento si registrano bocciature trasversali da parte dei tecnici auditi in commissione. Uno dei punti bocciati da quasi tutti i tecnici è stato il premio di maggioranza del 55% in Parlamento al primo ministro eletto. Oltretutto manca una quota minima di accesso, oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale. E se la ministra per le Riforme Maria Elisabetta Alberti Casellati esterna ottimismo affermando che  «si tratta di una riforma che non riguarda il centrodestra, ma tutto il Paese. In 75 anni di storia repubblicana abbiamo avuto 68 governi con durata media di 14 mesi»; dentro e fuori la maggioranza si accresce il fronte del No. E critiche costruttive sul premierato saranno attese oggi, a Montecitorio, dai presidenti emeriti di Camera e Senato invitati a parlarne dall’associazione ex Parlamentari, guidata da Giuseppe Gargani. Ed è la ragione per cui in Transatlantico in tanti sussurrano che «l’iter della riforma non è affatto scontato, anche perché il fronte del No continua ad allargarsi». 

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
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