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“La persona, non l’etnia, merita protezione”. Mattarella cita Manzoni e tira bordate ai governi

Il capo dello Stato celebra il 150esimo anniversario della morte del grande scrittore che "ci ammonisce di quanto siano perniciosi gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi”

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   

"È la persona e non la stirpe" o "l'appartenenza a un gruppo etnico, a essere destinataria di diritti universali". Quello che oggi definiamo multilateralismo deve prevalere sul "nazionalismo esasperato". L'attenzione per il popolo non può tradursi in un populismo che porta le classi dirigenti ad "assecondare la propria base elettorale o di consenso e i mutevoli umori delle folle anonime, per compiacerli a ogni costo, cercando solo un effimero consenso". E via così, nelle parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che prendono spunto dal 150esimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni. 
 
Doveva trattarsi di una pura celebrazione simbolica (la deposizione di una corona di fiori, rose bianche e rosse, sulla tomba del ‘grande italiano’, al Cimitero monumentale, poi la visita a casa Manzoni, i discorsi, le autorità presenti, etc.) ma si è trasformato in un discorso di quelli che fanno "boom": echeggiano provocazioni e reazioni. 
 
In verità, dal Quirinale si fa sapere, si spiega e si sottolinea che “si è trattato di un discorso di ampio respiro, dove si parla di tendenze mondiali, di sovranismi in generale, delle classi dirigenti di tutto il Mondo” e che, dunque, “non si può svilire con le polemiche di casa nostra”, cioè indicando nelle parole di questo o quel ministro (Lollobrigida sull’etnia, Sangiuliano sulla supremazia culturale, etc.) del governo Meloni l’obiettivo recondito delle parole di Mattarella. Ed è certamente così. Ma quelle parole restano e, insomma, chi le vuol capire dovrà ascoltarle bene. 

Mattarella e i Promessi sposi

Mattarella prende spunto dalla lettura dei “Promessi sposi”, libro che “ha fatto l’Italia” e fondamentale per ogni buon cattolico democratico. Si sofferma sul dialogo tra fra’ Cristoforo e don Rodrigo, per sottolineare la differenza dello “sterminato territorio che ne separa l’universo valoriale”, esalta il ruolo cruciale, anche europeo, del Manzoni, ricorda “le forze più vive e dinamiche della cultura italiana ed europea, pervase dall'aspirazione alla libertà, all'indipendenza, all'autodeterminazione". Quindi, e qui arriva la prima stoccata, "utilizzando una terminologia odierna, possiamo parlare di un Manzoni certamente 'popolare', ma non 'populista'". E questo "ci induce a riflettere, sia pure in tempi incommensurabilmente distanti, sui pericoli che corrono oggi le società democratiche di fronte alla diffusione del distorto e aggressivo uso dei social media, dell'accentramento dei mezzi di comunicazione nelle mani di pochi, della disinformazione organizzata e dei tentativi di sistematica manipolazione della realtà".

Ma fin quando siamo nel campo della denuncia della disinformazione, la critica vale per tutto. "E, anche - avverte però ancora Mattarella - sulla tendenza, registrabile in tutto il mondo, delle classi dirigenti a assecondare la propria base elettorale o di consenso e i suoi mutevoli umori, registrati di giorno in giorno attraverso i sondaggi, piuttosto che dedicarsi a costruire politiche di ampio respiro, capaci di resistere agli anni e di definire il futuro". Insomma, non si fa politica in base ai sondaggi, per inseguire consensi, ma sulla base di politiche valoriali. Si può pensare, in controluce, alla guerra in Ucraina e a chi l’appoggia: in termini di consensi non paga ma è una scelta giusta, legittima, valoriale. 
 
Mattarella torna, ancora, sugli effimeri consensi, citando, stavolta, la "Storia della Colonna infame", dove Manzoni "ci ammonisce di quanto siano perniciosi gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi” e di chi cerca “solo un effimero consenso". Sembra quasi un’ossessione, per Mattarella, quella sugli ‘effimeri consensi’ che guidano, sbagliando, le politiche degli Stati. 
 
Poi, però, il Capo dello Stato allarga lo sguardo. Manzoni "è, a tutti gli effetti, un padre della nostra Patria", che "ambiva a un'Italia unita, che non fosse una mera espressione geografica, una addizione a freddo di diversi Stati e staterelli, ma la sintesi alta di un unico popolo, forte e orgoglioso della sua cultura, della storia, della sua lingua, delle sue radici", dice ancora il Presidente della Repubblica. Ma per Mattarella, come per Manzoni, ‘nazione’ non equivale ad ‘etnia’. Anzi. 
 
Per il Capo dello Stato, "nell'idea manzoniana di libertà, giustizia, eguaglianza e solidarietà si può scorgere una anticipazione della visione di fondo della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo del 1948". "Una carta fondamentale, nata dopo gli orrori della Seconda Guerra mondiale, che individua la persona umana in sé, senza alcuna differenza, come soggetto portatore di diritti, sbarrando così la strada a nefaste concezioni di supremazia basate sulla razza, sull'appartenenza, e, in definitiva, sulla sopraffazione, sulla persecuzione, sulla prevalenza del più forte. Concetti e assunti che, come ben sappiamo, sono espressamente posti alla base della nostra Costituzione repubblicana". 
E qui c’è l’altra stoccata, quella a chi – ministri del governo Meloni, governi di altri Paesi Ue (vedi, per esempio, l’Ungheria, vien da pensare) – pensa che debba e possa prevalere una visione ‘etnica’ e/o ‘razziale’ della società in cui si vive. 

Manzoni e i diritti dell'uomo

"Dai diritti dell'uomo la concezione manzoniana si allarga a quella del diritto internazionale e dei rapporti tra gli Stati, dove si ritrova una critica lucida e serrata al nazionalismo esasperato. Perché la moralità, la fraternità e la giustizia devono prevalere sugli odi, sugli egoismi, sulle inutili e controproducenti rivalità", sottolinea ancora Mattarella, tornando sullo stesso concetto. 
 
Infine, "a proposito del Romanticismo e del Risorgimento italiano si cita spesso la triade Dio, Patria e Famiglia, quasi in contrapposizione alla triade della Rivoluzione francese, Libertà, Eguaglianza, Fraternità. E' una cesura eccessivamente schematica. Il romantico e cattolico Manzoni, in verità, non rinnega i valori della Rivoluzione Francese, anzi, li approva e li condivide, insistendo soprattutto su quello più trascurato, la fraternità". Nella visione di Manzoni, "è la persona, in quanto figlia di Dio, e non la stirpe, l'appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, di tutela e di protezione. E' l'uomo in quanto tale, non solo in quanto appartenente a una nazione, in quanto cittadino, a essere portatore di dignità e di diritti", conclude Mattarella. Insomma, per chi non avesse capito il concetto (è la persona che sta al centro ed è e deve essere detentore di dignità e di diritti, non l’appartenere a un gruppo etnico o nazionale) il Capo dello Stato lo ha ripetuto tre volte di fila. Nel governo non devono essersene accorti, perché nessuno osa commentare le parole di Mattarella, mentre anche dall’opposizione si mette in luce solo la parte in cui si difendono i diritti universali, senza lasciarsi andare a polemiche strumentali, il che, per una volta, è anche un intento lodevole, ma certo è che le parole di Mattarella pesano. E risuonano nelle cancellerie di tutti i Paesi della Ue, compresa, non ultima, proprio quella italiana. 
 
Il ministro all’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che ha parlato apertamente di ‘etnia’ italiana, non si sente però tirato in causa e replica: “Il presidente della Repubblica si ascolta, si rispetta e non si commenta se non per l'importanza fondamentale a un grande scrittore simbolo della storia patria come Manzoni”.
 
Del resto, per citare sempre Manzoni, a sua volta citato da Mattarella, nei capitoli dedicati alla peste, questi scriveva icasticamente a proposito di questi rischi: "Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune". Mattarella ha fatto un discorso tanto coraggioso quanto di buon senso. Chissà se verrà ascoltato.

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