Attenzione a Martina, il pupillo di Bersani che può salvare il Pd dal baratro in cui l'ha portato Renzi
Bergamasco mite e tenace, attaccato ai piccolo riti di provincia, ha "tradito" una famiglia di destra per farsi largo all'ombra dell'ex ministro dell'Economia. Il suo metodo è l'opposto di Renzi. E rischia di funzionare benissimo
Per un mese almeno, e poi si vedrà, il Pd si ritrova un segretario completamente diverso da quello che c’era prima, dal divisivo Matteo Renzi al dialogante Maurizio Martina. E’ vero, nella relazione di apertura della Direzione del partito, ha appena detto, con aria quasi di sfida: «Cari Di Maio e Salvini, prendetevi le vostre responsabilità e governate». Ma ha anche subito aggiunto molto veltronianamente: «Non abbiamo il diritto di strattonare il presidente della Repubblica, non siamo nelle condizioni e non è giusto farlo. Non credo che sia responsabilità nostra indicare soluzioni». A differenza del suo predecessore non ha chiuso le porte in faccia a Mattarella, pur chiarendo che lui almeno per ora sta «alle cose che il Pd unitariamente ha deciso votando un ordine del giorno: siamo minoranza parlamentare, faremo opposizione». Detto questo, ha poi precisato bene come intende il suo ruolo in questa fase di transizione: «Guiderò il partito con il massimo della collegialità e con il pieno coinvolgimento di tutti, maggioranza e minoranza».
Il "galleggiatore"
Per lui in fondo parla il suo curriculum. A Bergamo dicono che «quando si schiera da una parte, la prima cosa che fa è quella di dialogare con l’altra». Atalantino, nato 40 anni fa a Calcinate ma residente a Mornico al Serio, si è sempre dimostrato «abilissimo a galleggiare fra fazioni opposte», come ha scritto Matteo Pandini su Libero. Cominciando da giovane di sinistra in una famiglia operaia di forti tradizioni cattoliche, che pare votasse a destra. Il suo impegno nasce nei primi Anni Novanta, quando non ha ancora vent’anni, così colpito dalle stragi di mafia da decidere di partecipare a marce e iniziative contro Cosa Nostra e di recarsi perfino a Palermo dove si iscrive pure a un corso teatrale, l’altra sua grande passione giovanile. E siccome al destino piacciono gli entusiasmi, proprio qui conosce Mara, bergamasca di Ghisalba, che è il suo grande amore: diventerà sua moglie e avranno due figli. Nel frattempo, però, tornato a casa, con una laurea in scienze politiche presa a Macerata, si butta anima e corpo in politica.
L'inizio dell'ascesa politica
A Mornico al Serio viene eletto nel consiglio comunale in una lista civica che dovrebbe essere di sinistra ma che appoggia Rossano Breno, un volpone democristiano presidente della Compagnia delle Opere, l’associazione di imprenditori vicina a Comunione e Liberazione. I due vanno molto d’accordo e il feeling non si romperà mai. Guarda caso, al suo matrimonio non mancano «pezzi da novanta della Compagnia delle Opere e di Comunione e Liberazione», come scrive Libero. Le amicizie non gli impediscono una rapida carriera a sinistra. Con la nascita dei Ds prima e del Pd poi diventa segretario regionale in breve tempo. I maligni fanno notare che proprio sotto la sua reggenza il pd perde tutto quello che c’è da perdere. Ma non importa, perché si rifarà dopo e i risultati si guardano alla fine, non all’inizio. Martina è nelle correnti di sinistra. Rifondazione però lo battezza con ironia fra’ Maurizio dopo che lui ha scritto al giornale locale di Bergamo, di ispirazione clericale, per invocare un dialogo fra laici e cattolici.
Pupillo di Bersani
E’ vicino all’area Bersani, che appoggia nelle primarie del 2012. Anzi, è proprio un pupillo di Bersani. Fa parte della maggioranza del partito restando in minoranza solo un anno e mezzo dopo la vittoria di Renzi. Al congresso 2013 appoggia Gianni Cuperlo. E’ diventato responsabile dell’agricoltura e il governo Letta lo nomima sottosegretario. Sarà Renzi a promuoverlo ministro, su pressante raccomandazione di Bersani, come rappresentante della minoranza all’ìinterno del governo. Poco più di un anno dopo, in occasione della discussione sull’Italicum, prese la palla al balzo e sancì la sua uscita ufficiale dalla corrente opposta al premier, fondando, in disaccordo con la decisione dei suoi colleghi di non votare la legge elettorale «Sinistra e cambiamento» ed entrando nella maggioranza di Renzi. Da allora si è sempre più avvicinato al leader fiorentino. E al congresso del 2017, dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre 2016, viene scelto da Renzi come suo vice: insieme, vincono le primarie con il settanta per cento dei voti. Come ministro è stato abbastanza conservatore, contro gli Ognm e di profilo basso sulla soppressione della Guardia Forestale. Ma in altri campi e in alcune interviste ha mostrato vicinanza alle idee dei 5 stelle, fino ad essere il primo formatario della legge n. 21 del 13 dicembre 2017 della Regione Lombardia che prevede l’abolizionme dei vitalizi e il taglio delle indennità.
Adesso il cerchio si è chiuso.
In eredità un partito in discesa libera
Ha raccolto la patata bollente da Matteo e si trova a condurre il partito nella fase più critica della sua storia, con una squadra allo sbando ancora ferita dalla sconfitta, incapace di prendere qualsiasi decisione in questo momento cercando di guardare un po’ più in là del proprio naso, tirata per la manica da alcuni commentatori che gli dicono che deve appoggiare il governo Cinque Stelle e ancora intossicata dall’ira renziana e di tutti quelli inveleniti da una campagna elettorale continuamente sotto attacco. Pubblicamente, lui dice di aver scelto la linea del suo predecessore. Ma con alcuni importanti distinguo. Tanto per cominciare, sul Presidente della Repubblica, per il quale Renzi non aveva avuto parole tenere, pur senza nominarlo. Dopo le parole di rimprovero del Capo dello Stato, quando aveva invitato i partiti ad assumersi le proprie responsabilità per non lasciare l’Italia senza guida, Martina ha espresso solo «piena stima e piena fiducia verso il presidente Mattarella, per il quale chiedo un applauso. La sua guida sarà un punto di riferimento per tutto il Paese». E poi ha mostrato apertura per una presidenza della Camera ai Cinque Stelle, che difficilmente avrebbe avuto l’approvazione di Renzi. Il suo non sarà un voto decisivo, se è vero che il candidato Emilio Carelli avrebbe già ottenuto il consenso del centrodestra grazie ai buoni uffici di Gianni Letta. Ma questa decisione segna comunque una discontinuità di non poco conto.
Pizza, Cola e una tenacia insospettabile
Poi è vero che tutto sembra portare verso altre direzioni, con il Pd fuori dai giochi, ma Maurizio Martina per tutta la sua storia non sembra proprio l’uomo dell’isolamento. Finché c’è lui, renziano dell’ultima ora raccomandato da Bersani, cattolico ma anche laico, giovane ma anche veltroniano, il pd cercherà un modo di dialogare, pur dall’opposizione. Lui, questo quarantenne che ama la pizza e la Coca Cola, e quelle cene fuori porta con amici e famiglia da vecchio paese di provincia, è questo. Va molto più lontano di quel che sembra, come i vecchi democristiani, anche se a dirglielo pensiamo che si offenda molto. E’ umile. E un po’ noioso. Nessuna frase ad effetto, nessuna dichiarazione pepata. Ma dialogando di qua e dialogando di là, chissà che succede.