[Il retroscena] Maroni premier e il colpo di grazia del centrodestra per andare al governo: vincere le regionali nel Lazio e in Lombardia

La decisione presa dal Viminale, in accordo con la Presidenza della Repubblica, di mandare alle urne Lombardia (7,5 milioni di abitanti), Lazio (4,4 milioni) e forse anche il Molise il 4 marzo, cioè nel giorno delle Politiche, avvantaggia le elezioni politiche del patto Berlusconi-Salvini-Meloni e complica ulteriormente la situazione per il Pd. Ecco perché

[Il retroscena] Maroni premier e il colpo di grazia del centrodestra per andare al governo: vincere le regionali nel Lazio e in Lombardia

Se le elezioni Politiche potrebbero non avere un vincitore chiaro e chiudersi con una sorta di “pareggio”, le Regionali no: vince l’uno o l’altro, il centrodestra o il centrosinistra. Il sistema elettorale che si usa per eleggere i governatori è infatti fortemente maggioritario, non lascia spazio a trattative, “inciuci” o terze vie. Cosa succederà se, come è probabile, il centrodestra riuscirà a mantenere la guida della prima Regione italiana e ne strapperà al Pd almeno un’altra, a causa delle divisioni a sinistra? Come cambieranno gli esiti delle Regionali la percezione del risultato delle elezioni nazionali e quanto potranno interferire nelle scelte del Quirinale? La decisione presa dal Viminale, in accordo con la Presidenza della Repubblica, di mandare alle urne Lombardia (7,5 milioni di abitanti), Lazio (4,4 milioni) e forse anche il Molise il 4 marzo, cioè nel giorno delle Politiche, complica ulteriormente la situazione per il Pd. A causa del rifiuto di Liberi e Uguali, il partito di Piero Grasso, di apparentarsi col candidato governatore dem, che poi è Giorgio Gori, la Lombardia potrebbe essere assegnata (quasi) a tavolino al candidato di centrodestra.  

Maroni disponibile per un secondo mandato

Roberto Maroni, ex ministro dell’Interno ed ex segretario della Lega, era infatti quotato dai sondaggi ben dieci punti sopra l’ex direttore Mediaset, che è stato per un (breve) periodo anche spin doctor di Matteo Renzi ed oggi è sindaco di Bergamo. Dopo un paio di tentativi di riavvicinare le posizioni, i dirigenti del partito del presidente del Senato hanno chiarito che “non ci sono le condizioni” per un accordo. Così sceglieranno nei prossimi un candidato di bandiera tra Cecilia Strada e il consigliere uscente Onorio Rosati: questi non potrà vincere, ma certo impedirà anche a Gori di farlo. Poco offensivo sembra il candidato governatore del M5s, che è il consigliere regionale uscente Dario Violi, indicato alle Regionarie con soli 793 voti. Ecco perché, a sorpresa, messo in sicurezza l’esito delle Regionali in Lombardia, Maroni avrebbe dato la sua “indisponibilità” a ricandidarsi per un secondo mandato. L’ex titolare del Viminale preferirebbe essere a disposizione per un ruolo nazionale importante, potrebbe addirittura diventare il premier del centrodestra. “Per quanto riguarda la Lombardia, se davvero il presidente Maroni per motivi personali non confermasse la disponibilità alla sua candidatura, verrebbe messo in campo un profilo giàcomunemente individuato”, hanno scritto nella nota congiunta Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni al termine del vertice di Arcore. Al suo posto di Maroni potrebbe correre Mariastella Gelmini. L’ex ministro dell’Istruzione, che è coordinatore di Fi in Lombardia, è quotata molto bene nei sondaggi e sarebbe la prima donna ad avere guidato quella Regione in caso di elezione. Il leader del Carroccio preferirebbe però un leghista: l’ex sindaco di Varese Attilio Fontana, anche lui forte per i sondaggi. Certo una sconfitta brutta del sindaco di Bergamo, che da mesi affigge i manifesti per la sua Regione, ed è vissuto - pur senza esserlo - come iperrenziano, potrebbe avere conseguenze nazionali.

Berlusconiani ancora molto indietro

Le avrebbe sicuramente se l’esito del voto in Lazio, che oggi viene considerato “apertissimo” da tutte le case di sondaggi. Governato da 5 anni da Nicola Zingaretti, che pure è un dirigente Pd stimato e che è rimasto fuori dalla contrapposizione degli ultimi anni dentro al partito, è oggi “contendibile”. A fare le differenza saranno il profilo del candidato del centrodestra e, soprattutto, l’eventuale scelta di Sinistra italiana, che oggi è una componente di LeU, di candidare governatore autonomamente l’ex leader dei Verdi, Paolo Cento, capace di rosicchiare qualche punto percentuale prezioso al centrosinistra. Già perché se i grillini hanno candidato l’ex capogruppo Roberta Lombardi, ai tempi considerata acerrima nemica di Virginia Raggi, oggi “pacificata”, qui sono i berlusconiani ad essere ancora molto indietro. In campo c’è  il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, che però, al momento, risulta formalmente un autocandidato. Nemmeno la Lega, che lo aveva sostenuto nella sua idea di candidarsi all’inizio, oggi sembra più disposta a fare le barricate. Pirozzi è iscritto a Fdi, ma Giorgia Meloni ha già ottenuto che la coalizione sostenesse Nello Musumeci in Sicilia ed ha accettato che sia Forza Italia, stavolta, ad indicare per il Lazio un suo candidato. 

No di Paolo Liguori a Berlusconi

Il Cavaliere vuole riconquistarlo a tutti i costi ed avrebbe tentato di giocarsi la carta Paolo Liguori incassando un no del giornalista, starebbe provando a convincere un giovane e noto avvocato, ma il punto di caduta più probabile sarebbe quello in “casa” sua. Maurizio Gasparri sarebbe infatti il candidato con le maggiori chance di vincere la partita. Il vicepresidente del Senato è stato ministro, colonnello di Alleanza nazionale ed oggi è un esponente di Forza Italia, potrebbe riuscire a “contenere” il fenomeno Pirozzi, o, quantomeno, gestirlo dentro il recinto della coalizione di centrodestra. In caso di sfida tra Zingaretti senza Sinistra italiana e un candidato di centrodestra sostenuto dal sindaco di Amatrice, la Regione che ospita la Capitale potrebbe essere oggetto di un “ribaltone” che avrebbe conseguenze clamorose sul piano nazionale. Potrebbe il Pd chiedere di indicare il prossimo presidente del consiglio, davanti a un risultato insoddisfacente alle Politiche e a una contemporanea debacle alle Regionali? Chiaramente no. Ecco perché nessuno sta sottovalutando l’ “altro” voto.  

Antonio Di Pietro intenzionato a tornare in pista

Il Molise ad oggi non ha ancora accettato l’invito - che pure fa risparmiare molte decine di milioni di euro - a tenere pure lui l’election day perché anche lì il centrosinistra è diviso e rischia di cedere il passo al centrodestra unito. Alla guida della piccola Regione c’è il renziano Paolo Di Laura Frattura, che prova a resistere alle pressioni dei fuoriusciti a sinistra del Pd, che vorrebbero votare il prima possibile e una “forte discontinuità”, che difficilmente ci potrà essere. A fare la differenza potrebbero essere Antonio Di Pietro, che sarebbe intenzionato a tornare in pista, ancora non si sa se con il Pd o con LeU, e l’ex governatore del centrodestra, Michele Iorio, che starebbe immaginando una specie di “grossa coalizione”. L'alternativa anche qui sarebbe un esponente del partito nato dalle ceneri di Alleanza Nazionale, il consigliere e coordinatore Filoteo Di Sandro, mentre i grillini ci riproveranno con lo stesso candidato di cinque anni fa, Antonio Federico, che però si era fermato al 16%. 

Deborah Serracchiani vuole tornare in Parlamento

Non si voterà certamente il 4 marzo, ma nella primavera 2018 si eleggerà il nuovo governatore del Friuli Venezia Giulia. Coi suoi 952mila elettori resterà comunque senza guida dal momento che la presidente uscente, Deborah Serracchiani, per 4 anni vicesegretario del Pd, ha deciso di lasciare quel posto e di tornare in Parlamento. I precedenti insegnano che di solito, in questi, casi, è favorito chi stava all’opposizione, dal momento che la non-ricandidatura viene vissuta dagli elettori come una “resa”. Anche qui, secondo i sondaggi, i berlusconiani sono in rimonta.  Il centrodestra avrebbe già deciso di puntare su Riccardo Riccardi, consigliere uscente di Forza Italia, anche se Matteo Salvini tiene pronto il suo fedelissimo Massimiliano Fedriga, che potrebbe decidere di candidarsi all’ultimo. Nel centrodestra sono sicuri che gli effetti di questo “ritiro” dell’ex numero due del Pd si vedranno nelle urne già alle Politiche, in una zona dove già sono fortissimi. 

Berlusconi, Meloni e Salvini credono di potercela fare, che il cappotto sia alla loro portata. “Sulle Regionali la coalizione conferma che si presenterà con candidati comuni e condivisi”, hanno scritto nella nota finale al termine del vertice di domenica i tre segretari. Tutti stanno gestendo per tramite dei loro delegati le due partite contemporaneamente, come se fossero parti di un unico piano. Niccolò Ghedini, Fabio Rampelli e Alberto Giorgetti trattano ininterrottamente ormai da settimane. Forza Italia in particolare sta pensando di sfruttare la capacità di consenso dei consiglieri regionali per le Politiche, di candidare i record man di preferenze nei collegi maggioritari il 4 marzo, ed è dunque impossibile chiudere un dossier tenendo aperto l’altro. Da quel momento in poi resteranno due settimane per chiudere le liste e avviare questa brevissima campagna elettorale bis, destinata a pesare sul futuro del Paese molto più del solito. Saranno due consigli regionali a decidere chi sarà il prossimo premier?