Il banchiere di ferro si commuove. E dice: “Andate a votare”. Poi il monito che vale per tutti, specie per la Destra
Il premier viene sommerso dagli applausi e affetto. Platea di Cl in piedi. Lui cede all'emozione
Commuoversi, si commuove, Mario Draghi. Del resto, “anche i banchieri hanno un’anima”, aveva detto, celiando, alla stampa e pure in Parlamento. E, ieri, la platea del Meeting di Rimini di Cl gli ha tributato un lunghissimo, e calorosissimo, applauso, prima durante e dopo il suo intervento.
Il premier, in ogni caso, alla prima uscita pubblica dopo la breve pausa estiva, sale sorridente sul palco del Meeting di Cl, accolto da un lunghissimo applauso che lo commuove e da un "entusiasmo" che "colpisce nel profondo". Parla ai giovani, Draghi, che sono "la speranza della politica", e invita "tutti ad andare a votare".
Sommerso dall’affetto e dalla stima di tanti, giovani in testa, è, di fatto, questa è l’ultima volta di una sua uscita pubblica e ‘non’ istituzionale. Per quelle, invece, c’è ancora tempo, diversi vertici di Capi di Stato e di Governo Ue e, soprattutto, l’Assemblea generale dell’Onu, a metà settembre. E altri impegni, sempre però tutti rigorosamente istituzionali, all’estero e in Italia. Con le urne, dice, gli italiani "sceglieranno" il nuovo Parlamento e anche "il programma del futuro esecutivo", cui il suo governo consegna "un metodo", torna a ribadire, più che un'agenda. Quella tanto sbandierata da Az-Iv e parte il Pd. Traduzione: chi sbandiera la ‘mia agenda’, facendone tema di campagna elettorale (brutta), ha sbagliato perché ‘non fa i calcoli con me’…
Ma, tornando a Draghi e al suo intervento al Meeting, cosa ha detto e come ha ‘scaldato i cuori’ della platea. La frase “L'Italia ce la farà”, dice Draghi, “qualunque sarà l'esito del voto”.
“L’Italia ce la farà”, ma “niente isolazionismi”
A patto, però, ammonisce, di non isolarsi, di non cedere, pure in un momento "molto complesso", a "protezionismi e isolazionismi" che non fanno "l'interesse" del Paese. La stoccata alla Meloni, ma soprattutto a Salvini, che ancora ieri metteva in discussione la posizione dell’Italia nella guerra in Ucraina e strizzava l’occhio ai russi, è pesante.
Mario Draghi, dunque, torna al Meeting di Cl a due anni dal famoso discorso sul "debito buono" che, conferma, ha poi "ispirato" la sua azione di governo. E c’è persino chi ricorda che, già allora (agosto 2021) nel discorso di Draghi (allora ‘solo’ ex banchiere centrale, ex Bce, andato, prematuramente, in pensione prima di essere ‘richiamato’ in servizio da Mattarella. Di cui, a sua volta, si sospetta che coltivasse, nel suo cuore, la speranza di far cadere Conte e di stare preparandolo alle necessarie incombenze future.
Gli italiani hanno dimostrato di avere coraggio ma il monito a loro è: “non disertino le urne”
In ogni caso, quale che sia il "colore" del prossimo esecutivo, il messaggio di "fiducia" che Draghi – da sempre in ottimi rapporti con Cl - porta alla platea di Rimini, è netto: gli italiani hanno già dimostrato di avere "coraggio" e che l'Italia "è un grande Paese che ha tutto quello che serve per superare le difficoltà". E l’Italia lo farà "anche questa volta", anche di fronte a questo "passaggio storico drammatico" tra la guerra in Ucraina, la crisi energetica e corsa dell'inflazione che oramai "pesa in modo molto gravoso". E Draghi, di conti pubblici, sa tutto e da una vita…
Coesione, indipendenza di giudizio, credibilità sono gli ingredienti che hanno guidato la sua azione nell'anno e mezzo a Palazzo Chigi e che ha riportato l'Italia a essere "autorevole", unica via per avere "rispetto". E il "dialogo tra forze politiche" continua a essere necessario e "si dovrà ritrovare la coesione - sottolinea ancora il premier – nel sentire comune da parte di tutti i protagonisti il senso di appartenenza alla repubblica e agli ideali della Ue". La Meloni – e, soprattutto, Salvini, deglutiscono malissimo e si fanno venire l’amare in bocca. E se la Meloni, più furba, non prende di petto Draghi e governo, né su questo punto né altri, Salvini invece lo fa.
“Combattere lo scetticismo, il Pnnr è valido”. Draghi ricorda al Paese tutte le cose fatte…
C'era, inoltre, un forte "scetticismo", ricorda il premier, sulla capacità dell'Italia di uscire dalle secche della crisi Covid e di presentare, e attuare, un Pnrr "valido". Ma "dopo 18 mesi - rivendica - possiamo dire che grazie al "coraggio e alla concretezza degli italiani" si è "riscritta una storia che sembrava già decisa". E questa, invece, è una staffilata contro tutti ‘ creduloni’ no-vax che, tra frange di centrodestra e partitini vari (Italexit) saranno presenti anche sulle schede elettorali.
“La crescita – continua - ha segnato risultati oltre le aspettative, il debito è calato in due anni come mai nella storia e il Pil marcia a ritmo superiore anche a Francia e Germania. Un risultato raggiunto grazie a una politica economica che ha saputo coniugare "crescita economica, giustizia sociale, sostenibilità dei conti". Un percorso che il premier invita chiunque verrà dopo a "seguire".
Dall'emergenza Covid alla crisi del gas, il governo ha assunto decisioni rapide e ricercando "l'unità di intenti", ricorda, assumendosi il "rischio calcolato" di riaprire le scuole correndo a sostituire le forniture dalla Russia che, attacca Draghi, "usa il gas come arma geopolitica".
Il problema delle forniture del gas e la Russia
L'indipendenza sul gas, questione di "sicurezza nazionale", ora è a portata di mano a patto di installare "nei tempi" i due nuovi rigassificatori. Per il futuro, è il monito, non dovrà accadere "mai più di dipendere da un Paese che non ha mai smesso di inseguire il suo passato imperiale", il che è, sottolinea, "il contrario della sovranità" di cui tanto si parla, ricorda Draghi, attaccando, di nuovo, la Russia, a sei mesi dall’invasione. Nel frattempo, serve quel tetto al prezzo del gas (oggi a livelli "insostenibili") su cui però ancora non c'è accordo. Mentre le aziende che hanno incassato "utili senza precedenti" non si devono sottrarre dal pagare, subito, la tassa sugli extraprofitti.
“No a protezionismo e isolazionismo”, dice Draghi, monito evidente alla destra che verrà
Oltre a proseguire con l'attuazione del Pnrr - c'è "l'impegno" a conseguire più obiettivi possibile, prima del prossimo cambio di governo – Draghi invita anche chi verrà dopo a rimanere nel solco dello "spirito repubblicano" che ha caratterizzato il suo governo e a mantenere "la credibilità interna" che deve "andare di pari passo con quella internazionale". L'Italia, ha sottolineato, è "paese fondatore della Ue, protagonista del G7 e della Nato", il suo debito è "per il 25%" in mani straniere, export e capitali esteri spingono la crescita. Per questo "protezionismo e isolazionismo" non fanno l'interessa nazionale. E la storia, "dalle illusioni autarchiche del secolo scorso" alle "pulsioni sovraniste che recentemente spingevano a lasciare l'euro" ha già mostrato che l'Italia "non è mai stata forte quando ha deciso di fare da sola". Un monito, evidente, palese, anche di forte durezza, che non fa altro che far sibilare le orecchie alla destra. Molto meno a Berlusconi e alla sua FI, moltissimo a Salvini e a una Lega ‘euroscettica’ oltre che, di fatto, ‘neutralista’ in politica estera, troppo vicina al mondo e all’egemonia russa, ma un po’ anche alla Meloni. La quale, come si sa, su atlantismo e americanismo, e su una netta posizione filo-ucraina e anti-russa ci sta da tempo ma che, dall’orecchio dell’europeismo e della ‘fiducia’ nelle istituzioni della Ue ci sente male.
Non c’è alcun futuro, in Politica, per Draghi…
In ogni caso, non c’è alcun futuro, in Politica, per Draghi. Smentite tutte le voci che lo davano in procinto di ‘fondare’ un partito (magari, come si favoleggiava, di marca centrista, neocentrista o terzopolista), ‘benedirlo’, se non addirittura, candidarsi di fatto alla sua guida (modello Dini o Monti, entrambi, si sa, finiti malissimo) il premier – ormai è chiaro – tornerà a casa sua, a Città della Pieve, Umbria, a fare ‘l’onesto Cincinnato’. Certo, è e resterà ‘a disposizione’ per (eventuali) nuovi e prestigiosi incarichi. Quello di segretario generale della Nato, per dire, scade nel 2023 e l’attuale Stoltenberg già è in regime di prorogatio. Potrebbe spettare, dopo decenni, a un italiano. E chi meglio di Draghi, super-occidentale al cubo? Ma anche gli incarichi di peso, prestigio e vertice della Ue verranno rinnovati, anche se nel 2024. Draghi sarebbe un presidente di Commissione Ue di alto livello, oltre che, naturalmente, un perfetto commissario all’Economia o Concorrenza, senza neppure doversi candidare all’Europarlamento. Ma, in quel caso, non decide ‘solo’ la Nato in una riunione ristretta e segreta dei paesi fondatori, ma entrano in gioco i partiti e le famiglie europee (socialista, popolare, liberale, etc.) e, in quel caso, i giochi si fanno sia più complicati che ‘politici’. E, come si è visto in questo anno in cui ha guidato il governo dell’Italia, Draghi la ‘politique d’abord’ o politique politicienne’ non solo non la ama, e in fondo la disprezza, ma non la capisce…
Una cerimonia della campanella forse inedita
Ma se, sul futuro di Draghi, si possono fare solo (tante) illazioni, dopo un periodo di meritato riposo, una sola cosa è certa. Entro tre mesi, come prevede la Costituzione e le leggi dello Stato, Draghi passerà le consegne in modo ufficiale.
In carica, attualmente, solo per “il disbrigo degli affari correnti” – formula che tutti hanno creduto fosse ampliabile a dismisura, ma era evidente che così non era e così, non poteva essere… - a causa della ‘non’ fiducia ‘non’ incassata, dalle Camere, a luglio, si accinge anche lui al rito detto della cerimonia della campanella. Avviene quando un presidente del Consiglio passa le consegne al suo successore è prevista, se tutto va bene a ottobre. E sarà una cerimonia, la prossima, assai inedita.
Il Paese sta per infrangere il ‘tetto di cristallo’. A un passo la chanche di prima donna premier
Infatti, se Giorgia Meloni, come tutti i sondaggi dicono, vincerà le elezioni e, entro metà/fine ottobre, l’Italia avrà un nuovo governo con la prima premier donna della storia repubblicana perché sarà il leader del partito più votato all’interno della coalizione di centrodestra. Quando si terrà, appunto, il tradizionale passaggio di consegne, dunque, potremmo assistere, per la prima volta, a un premier uomo che passa le consegne a un premier … donna.
Ma, al netto delle ‘prime volte’ – e di una sacrosanta affermazione di diritti, quello delle donne di rompere il ‘tetto di cristallo’ che le separa dal Potere (prima presidente della Camera donna, Nilde Jotti, 1979, primo presidente del Senato donna, Maria Elisabetta Alberti Casellati, 2018), la verità è che ‘tout se tient’.
Una manovra economica d’autunno durissima
Meloni, assai preoccupata, chiama Draghi più volte al mese e, di fatto, gli chiede: ‘Presidente, come stanno messi i conti pubblici?’. “Male”, gli ha già risposto e gli risponde ancora Draghi. Insomma, la prima legge di Bilancio del (futuro o futuribile) governo di centrodestra, quella del 2022 sul 2023, non sarà certo – né potrà essere – alla ‘spandi, spendi, Effendi’, come diceva la canzone di Rino Gaetano. Ma, anzi, dovrà essere ‘rigorosa’, ‘oculata’, ‘compatibile’ (con i divieti imposti dai vincoli Ue, dalla Bce, dal FMI, dalle Borse di tutto il Mondo e non solo da loro…).
Altro che ‘flat tax’, come propongono FI e Lega, altro che ‘ce ne freghiamo di cosa vuole la Ue’, come pure sarebbero tentati di dire dentro FdI.
La ex legge Finanziaria, non sarà ‘lacrime e sangue’, dunque, il che sarebbe matematicamente impossibile. Non foss’altro perché, dopo tante promesse elettorali che riempiono non le tasche, ma di illusioni, gli italiani che avanzano le destre (flat tax in testa a tutti, più la rottamazione delle cartelle esattoriali, più ‘quota 41’ e ‘opzione donna’, nel regime pensionistico, più tutte le sanatorie edilizie possibili e immaginabili, più manca solo che Berlusconi annunci l’amnistia), ma di certo sarà dolorosa, oltre che ‘corposa’.
Le parole rivelatrici di Guido Crosetto (FdI)
Lo spiegava, qualche giorno fa, uno dei consiglieri – politici, oltre che economici – più ascoltati dalla Meloni, l’ex sottosegretario alla Difesa (e, storicamente, ‘nemico’ di Tremonti…), Guido Crosetto, il quale ha peraltro rifiutato una candidatura in un collegio sicuro, ma che può di certo ambire a importanti incarichi di governo, in un’intervista al quotidiano Quotidiano Nazionale: “sappiamo che i tempi che ci aspettano sono molto difficili, duri, faticosi, e che la situazione è molto complicata. Dovremo fare scelte anche dolorose, ma con due fari: mettere al riparo il potere di acquisto delle famiglie e la competitività delle imprese sia dai folli rincari dei prezzi delle materie prime sia dalla sperale perversa tra inflazione e recessione, quindi non faremo la manovra ‘lacrime&sangue’, ma rispetteremo tutti i vincoli e gli obblighi Ue e tutte le alleanze”.
Anche la Meloni dovrà rispettare ‘il Cencelli’, oltre che le indicazioni del Capo dello Stato…
Certo, molto dipenderà, dal ‘bilancino’ politico all’interno di una coalizione - il centrodestra, se davvero vincerà le elezioni e, soprattutto, godrà di un ampio margine in Parlamento – che verrà stilato in base alle percentuali e ai seggi presi dai principali partiti della coalizione (Lega-FdI-FI).
‘Manovra’, quest’altra, tutta politica, e non economica, che sarà fatta con il solito ‘manuale Cencelli’ in mano e da rispettare, quando vengono dati i posti di governo e sottogoverno. Ma molto dipenderà da chi la Meloni sceglierà come ministro al Bilancio e al Tesoro, cioè quello che oggi si chiama Mef. Difficile, per intendersi, che possa essere il pur candidato Giulio Tremonti. Sia perché il Capo dello Stato vigila (e vigilerà), su alcuni dicasteri che sono ‘chiave’ e che passano, sempre, sotto la sua lente di ingrandimento, i quali dicasteri sono: Interni, Difesa, Esteri, Giustizia ed Economia. Su questi ministeri, Mattarella, dirà la sua. Tanto per fare degli esempi – che, in diritto fanno sempre ‘precedente’ - Scalfaro rifiutò Previti alla Difesa, Napolitano Gratteri alla Giustizia, Mattarella Savona all’Economia.
Il ‘cavallo pazzo’ Tremonti e il rischio Mef…
Ma se quello del ‘braccio di ferro’ tra Capo dello Stato e premier incaricato, specie se uscito vincitore da un plebiscito nelle urne, è una scena classica e tipica nella formazione di ogni governo, il ‘caso Tremonti’ già tormenta i sonni dei leader del centrodestra. La Meloni lo ha voluto in lista, ma non è che se ne fidi moltissimo. ‘Giulio’ è ritenuto un ‘cavallo pazzo’ da molti meloniani doc. e che, come si ricorderà, fu il vero maggiore responsabile della ‘defenestrazione’ dell’ultimo governo Berlusconi, il ‘Silvio quater’, nella maledettissima estate dello spread (2011), cui poi seguì un vero governo ‘tecnico’, quello guidato da Mario Monti, e una vera legge finanziaria da ‘lacrime e sangue’ che fu ‘indimenticabile’ (nel senso degli incubi…) per gli italiani. Superata, forse, nella memoria dei più anziani solo dal ‘prelievo forzoso sui conti correnti’ operato, di notte, dal governo Amato I nel dicembre 1991. Un altro governo ‘tecnico’. Come quello che sta per finire tra pochi mesi.
Solo che ogni governo, anche quello ora in carica (ma anche quelli Amato, poi Dini, Monti, etc.) è solo una ‘leggenda’ che siano tecnici perché la Politica, di riffa o di raffa, finisce per farla da padrone. Non foss’altro perché, secondo la nostra Costituzione, il governo riceve la fiducia dalle Camere, e deve ottenerla in entrambe di esse, in quanto siamo una repubblica parlamentare. Poi, quando e se il centrodestra introdurrà il semi presidenzialismo, o quello ‘intero’, tout court, sarà un altro paio di maniche. Per ora, si fa così. Anche il governo Meloni, quando e se nascerà, sarà un governo parlamentare, dovrà prendere, ottenere e mantenere la ‘fiducia’ delle Camere, legge su legge, mese dopo mese. Non sarà facile. Di maggioranze nate ‘blindate’ ma che poi si sono sfarinate e dissolte, in corso di legislatura, ne hanno viste parecchio, Transatlantico e aula. Specialmente nel campo del centrodestra…