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L'allarme di Mario Draghi: "L'economia italiana frena il Pil dell'Eurozona"

Il problema è che mentre per altri agili nuotatori d’Europa può essere sufficiente, per un paese come l’Italia, zavorrata da una economia che non decolla da più di vent’anni, quel salvagente rischia di essere troppo piccolo e troppo poco gonfio per tenerci a galla

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
Mario Draghi
Mario Draghi

E’ stata la giornata dei miraggi. Nel tardo pomeriggio di ieri, alla chiusura dei mercati finanziari, sembravano accalcarsi le buone notizie. Il temuto spread fra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi era tornato ai livelli di settembre, prima della tempesta finanziaria sulla manovra. Anche i tassi sui titoli a 2 anni, quelli sui quali più si esercita la speculazione, erano scesi ai livelli di sei mesi fa. E l’eterna offensiva in Borsa contro le fragili banche italiane si era di colpo interrotta con le quotazioni dei maggiori istituti risalite ai numeri di fine estate.

Troppo bello per essere vero

Troppo bello per essere vero. E, infatti, era solo il rimbalzo dell’annuncio che Mario Draghi aveva fatto nel primo pomeriggio, quando aveva spiegato che la Bce, in soccorso di una economia europea di nuovo zoppicante, tornerà ad allargare i cordoni della borsa dei prestiti alle banche e rinvierà, almeno fino al 2020, un aumento dei tassi di interesse che era stato, invece, messo in preventivo già per questa estate. L’inversione a U dei banchieri di Francoforte che, solo due mesi fa avevano messo fine alle misure espansive degli ultimi anni, è stata un po’ come la botta d’adrenalina che ringalluzzisce uno che sta per annegare e scorge, qualche bracciata più in là, un salvagente. Il problema è che mentre per altri agili nuotatori d’Europa può essere sufficiente, per un paese come l’Italia, zavorrata da una economia che non decolla da più di vent’anni, quel salvagente rischia di essere troppo piccolo e troppo poco gonfio per tenerci a galla.

Stiamo per andare sotto

Al momento, del resto, stiamo andando sempre più sott’acqua. Nel 2019, infatti, l’economia italiana non crescerà dell’1,5 per cento, come il governo sperava a settembre. Neanche dell’1 per cento, come si era rassegnato a dire a dicembre. Ma neppure dello 0,6 per cento, come Bankitalia pronosticava a gennaio. Anzi, mancherà anche lo 0,2 per cento che la Commissione europea calcolava a febbraio. Zero per cento? Magari. Secondo l’Ocse, l’organizzazione che raccoglie i paesi più ricchi del pianeta, nel 2019 l’Italia conoscerà una brusca recessione: meno 0,2 per cento. E, l’anno prossimo, non crescerà più dello 0,5 per cento. Ieri, gli economisti della Bce hanno sostanzialmente confermato le previsioni Ocse uscite il giorno prima. Un calcolo specifico per l’Italia non è stato pubblicato a Francoforte, ma le prospettive di crescita dell’economia dell’intera eurozona sono state bruscamente tagliate all’1,1 per cento per quest’anno, rispetto all’1,7 per cento calcolato solo tre mesi fa.

Brexit e Usa-Cina

Colpa dei venti contrari che spirano sull’economia mondiale: il rallentamento della Cina, la Brexit, la guerra commerciale fra Washington e Pechino. L’eurozona e l’Italia pagano, insomma, questi anni in cui Berlino ha imposto a tutti uno sviluppo basato soprattutto sulle esportazioni, cedendo, di fatto, ai paesi extraeuropei le chiavi dell’economia del continente. Ora, dato che, secondo i calcoli della Bce, la domanda estera di prodotti dell’eurozona aumenterà, nel 2019, solo del 2,2 per cento e non del 3,1 per cento previsto solo pochi mesi fa,  è arrivato il momento di pagare il conto.

Il caso italiano

Come hanno sottolineato sia l’Ocse, sia Mario Draghi, il rallentamento è frutto, tuttavia, anche di fattori interni, a cominciare dalla imprevista recessione italiana. La frenata del nostro paese è più brusca di quella degli altri perché, nel caso italiano, l’incertezza politica di questi mesi ha determinato una paralisi di consumi ed investimenti – in una parola anche della domanda interna e non solo di quella estera. La ricetta dell’Ocse (e, sia pure velatamente, di Draghi) passa per una forte spinta agli investimenti e riforme strutturali in chiave di liberalizzazione e deregolamentazione. Non è la strada scelta dal governo italiano che, sugli investimenti, si è prodotto soprattutto in parole e, quando si è trattato di fatti, ha evocato piuttosto marce indietro. Come sulle deregolamentazioni, come racconta la vicenda delle aperture domenicali dei negozi. La coalizione gialloverde ha preferito puntare sui consumi. Ma, come stimolo alla domanda delle famiglie, il reddito di cittadinanza, secondo gli economisti, non riuscirà a spingere il Pil neanche di uno 0,2 per cento. E l’effetto positivo verrà annullato da quota 100, perché i minori redditi (chi va in pensione prima avrà un reddito mensile inferiore allo stipendio che percepiva prima) incideranno sui consumi.

Il confronto con la UE

La recessione, però, non si limita a pesare sui bilanci delle famiglie, ma anche su quello dello Stato. Il disavanzo concordato con Bruxelles al 2 per cento del Pil nel 2019 presupponeva, infatti, uno sviluppo dell’economia (e, in particolare, delle entrate fiscali) all’1 per cento. Già con uno sviluppo limitato allo 0,4 per cento il disavanzo salirebbe al 2,6 per cento. E con il meno 0,2 per cento pronosticato dall’Ocse? Saremmo vicini se non oltre il tetto del 3 per cento, il ben noto tabù del trattato di Maastricht. Quanto basta per preparare la scena ad un nuovo duello all’arma bianca quest’estate, quando Bruxelles controllerà l’andamento dei conti italiani e si troverà di fronte ad un vero e proprio sfondamento. I due miliardi di euro messi da parte da Tria per fronteggiare scivolamenti del deficit sono, infatti, poco più di un pannicello caldo. La manovra, di cui già si parla da qualche tempo, dovrebbe essere, infatti, più vicina ai dieci miliardi per riportare il disavanzo al 2 per cento inizialmente previsto. Ma un intervento di questa portata riproporrebbe il paradosso dell’austerità, già visto in questi anni. Bruxelles chiede all’Italia di tamponare deficit e disavanzo, perché teme un contagio sui mercati finanziari e problemi per l’euro. Ma una manovra all’insegna di tagli e tasse aggraverebbe la recessione e, dunque, anche il bilancio dello Stato.

Il vicolo cieco

A luglio, d’altra parte, il governo sarà ormai rigidamente vincolato a reddito cittadinanza e pensioni anticipate, già in atto e una svolta dai sussidi agli investimenti, che Bruxelles, probabilmente, accoglierebbe, non pare più possibile. Come uscirne? L’ironia è che, probabilmente, è inutile preoccuparsi di cosa accadrà a luglio perché il governo si è cacciato, fin da prima, nel vicolo cieco e la situazione è destinata ad esplodere già nelle prossime settimane.

La scadenza è fra un mese,  il 10 aprile, sei settimane  prima delle elezioni europee a cui è appesa la sopravvivenza dell’attuale governo. Entro quella data, l’esecutivo gialloverde deve varare il Documento di economia e finanza con cui il ministero del Tesoro delinea la strategia per il 2020, l’anno in cui emergeranno tutte le contraddizioni dell’attuale politica economica. Ci si arriverà con le scorie di un anno di recessione, che appesantiranno, già  da sole, i conti dell’anno prossimo. A queste si aggiunge uno sviluppo 2020 inferiore alle previsioni: l’Ocse lo limita allo 0,5 per cento, un punto in meno delle ultime proiezioni del governo. Già questi due fattori sarebbero sufficienti a far prevedere una manovra lacrime e sangue, ma è solo metà della storia. Per pagare reddito di cittadinanza e quota 100 del 2020, il governo ha messo a bilancio, infatti, un aumento dell’Iva per 23 miliardi. Tutti vorrebbero eliminarlo, perché strozzerebbe i consumi e strangolerebbe l’economia. Ma non farlo significa trovare 23 miliardi di tagli alla spesa e nuove tasse. Per capirci, 23 miliardi corrispondono, da soli, ad una manovra pari all’1,5 per cento del Pil. Se non si trova il modo di coprire questo mancato introito e ci aggiungiamo le scorie della recessione 2019, gli effetti del minore sviluppo 2020, le spese obbligatorie (i contratti già firmati con il pubblico impiego, le missioni all’estero ecc.) il deficit è già volato ben al di là del 3 per cento e le possibilità  di accordo con Bruxelles – anche con una futura Commissione più sensibile alle tesi sovraniste – schiacciate sullo zero .

E’ un passaggio difficilissimo. Forse, le convulsioni a cui stiamo assistendo, in queste ore, sulla Tav, sono solo una pallida anticipazione di quello che ci aspetta a fine mese.

Maurizio Riccidi Maurizio Ricci   
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