Una sola manovra economica e quattro opposizioni, divise tra di loro. E il caso Copasir
L'opposizione non trova un terreno comune neanche di fronte alla manovra del governo, contestata da tutti ma da ciascuno a modo proprio
Una, cento, mille manifestazioni che è un po’ come diceva il presidente Mao (“che cento fiori fioriscano”). L'opposizione non trova un terreno comune neanche di fronte alla manovra del governo, contestata da tutti ma da ciascuno a modo proprio. Il Pd ha fissato già una data, quella del 17 dicembre, e almeno stavolta arriva per primo, prenotando la piazza. L’M5s ha promesso battaglia contro la legge di bilancio e in particolare a difesa del reddito di cittadinanza e dice che scenderà in piazza con chi condivide la nostra mobilitazione (quindi, non con il Pd…).
Carlo Calenda riprende Enrico Letta dicendo che non basta contestare l'azione del governo ma bisogna anche indicare alternative e propone, nella giornata di ieri, una ‘contromanovra’ che, però, ovvio, nelle sue intenzioni è “propositiva”.
Sinistra italiana
Sinistra italiana fa sapere che parteciperà alle "iniziative dei sindacati". Dei Verdi, al momento, non si ha notizia, ma di solito fanno bicicletta con SI. Morale, il "coordinamento" delle opposizioni invocato più volte dal Pd non esiste e tutto lascia pensare che ognuna delle quattro (dicasi, quattro) opposizioni andrà avanti per la propria strada. Anzi, persino all'interno dello stesso Partito democratico si notano distinguo, con Enrico Letta che parla di "manovra improvvisata" e Andrea Orlando che rilancia: "Non è improvvisata, è reazionaria". Come sulla vicenda dell'Ucraina, nessuno vuole lasciare spazio agli altri partiti fuori dalla maggioranza, insomma è una vera lotta per l'egemonia, quella in corso tra M5s-Pd-centristi-sinistra radicale.
Letta
Letta si è mosso per primo e già sabato scorso (cioè due giorni prima che la manovra stessa venisse presentata ufficialmente dal governo…) all'assemblea Pd aveva annunciato l'iniziativa: "Sabato 17 la nostra manifestazione contro una manovra improvvisata e iniqua. Inadeguata rispetto al rischio recessione e all'impennata dell'inflazione. Lo avevamo anticipato nella nostra assemblea di sabato. Ora, dopo le decisioni lo confermiamo con ancora più convinzione".
Ma, appunto, a qualcuno "improvvisata" pare poco, tanto che l'ex ministro Orlando twitta qualche ora dopo e rincara la dose: "Non è una manovra improvvisata. È una manovra lucidamente reazionaria e, ribadisco, di classe".
Orlando
Così Orlando, mentre i sindaci dem o vicini al Pd, come Beppe Sala, appaiono assai più cauti nell’esprimere giudizi sulla manovra. Il primo cittadino di Bari, Antonio Decaro, osserva: “Dalle prime informazioni che si hanno sulla legge di bilancio, ci pare che qualche passo nella gusta direzione si stia facendo”. Sala, pur non apprezzando la manovra, usa toni assai più soft dei suoi ex compagni dem: “Non cambia le cose, capisco che non sia facile. La legge di bilancio è un bagno di realtà, del resto in politica spesso avviene che tra le promesse elettorali e la realtà ci sia una differenza straordinaria”.
Viene però in aiuto di Letta il primo candidato per la sua successione alla segreteria del Pd, Stefano Bonaccini: dopo aver definito la manovra “insufficiente, sbagliata e iniqua”, dice: “Bene scende in piazza il 17 dicembre”.
Calenda
Calenda, invece, fa il bastian contrario, tanto per cambiare, e dice che non basta: "Enrico, fare manifestazioni contro la manovra senza proporre un'alternativa è esattamente l'opposizione che la destra si augura di avere. Vi manderemo il documento di dettaglio sulle proposte per una contromanovra più equa e giusta. Lavoriamoci insieme". Da Sinistra italiana, poi, viene fatto notare che la manifestazione del Pd "è stata convocata dal Pd. Se si vuole una manifestazione unitaria la si organizza insieme. Noi andremo alle manifestazioni unitarie, quelle che promuoveranno i sindacati".
L’M5s anche va per conto proprio puntando i riflettori sul reddito di cittadinanza, bandiera del Movimento che il governo Meloni vuole riporre in un cassetto. "Giorgia Meloni non ha avuto di meglio da fare che colpire il reddito di cittadinanza, togliendo risorse alle fasce più deboli della popolazione e, contestualmente, aumentare il tetto al contante favorendo evasori e corrotti. Se questo è l'andazzo, il Governo sappia che il M5s erigerà un muro per fermare tale progetto, totalmente all'opposto rispetto ai reali bisogni dei cittadini del nostro Paese".
Stavolta, però, è arrivato ‘per primo’ il Pd…
Dato che, però, il tempo in politica conta tanto, anzi a volte è tutto, Enrico Letta questa volta non si è fatto superare sul tempo da Giuseppe Conte ed ha preceduto il presidente del M5s annunciando prima la data della manifestazione Pd contro una manovra “improvvisata e iniqua” approvata ieri dal governo Meloni. Sarà il 17 dicembre a Roma e a questo punto toccherà – a differenza della manifestazione pacifista del 5 novembre, quando fu il Pd ad ‘accodarsi’ al M5s - all’ex premier, che aveva annunciato che M5s sarebbe sceso in piazza senza però dare una data, decidere cosa fare, se dialogare con i dem su una piattaforma comune o se proseguire sulla sua strada in solitaria, spaccando sempre di più il fronte delle opposizioni, già parecchio lacerato.
Basti pensare che, appunto, il leader di Azione, Carlo Calenda, ha già bocciato l’idea e rivolgendosi a Letta scrive: “Enrico, fare manifestazioni contro la manovra senza proporre un'alternativa è esattamente l'opposizione che la destra si augura di avere”. Il Terzo Polo, che sta trattando in queste ore con la maggioranza per ottenere la presidenza della commissione di Vigilanza Rai, non ha alcuna intenzione di mettere in atto una lotta dura contro l’esecutivo, quindi non vuole fare prove di forza o di piazza.
“Vi manderemo – dice ancora Calenda, rivolgendosi al Pd - il documento di dettaglio sulle proposte per una contromanovra più equa e giusta. Lavoriamoci insieme”. Un’idea più soft che metterebbe al riparo il governo da un inverno caldo e movimentato, con ogni probabilità, da piazze molteplici e contrapposte.
Conte: "Disumani"
“Sono disumani, Scenderemo in piazza”, dice Conte annunciando battaglia: “Se vogliono mandare fuori strada gli ultimi, troveranno un muro. Non possiamo permettere un massacro sociale”. E oltre a protestare contro le modifiche al reddito di cittadinanza l’ex premier critica “un taglio del cuneo fiscale che di fatto si rivela irrisorio e riguarda solo una ristretta platea di lavoratori e il taglio agli aiuti contro il carobenzina con conseguenti aggravi per tutte le famiglie”. Insomma, il presidente del M5s allarga il campo all’intera manovra, non si focalizza più solo sul reddito di cittadinanza, ma nonostante questo non ci sono prove di dialogo con il Pd per una manifestazione ‘in comune’.
Di piazze ce ne saranno almeno due, forse tre
Viene confermato, peraltro, dai dem che questa volta, a differenza della manifestazione per la pace del 5 novembre, sono loro che vogliono mettere il loro timbro sulla piazza contro un governo di destra senza farsi oscurare da un Movimento 5 Stelle in salita nei sondaggi.
Così, con ogni probabilità, ce ne saranno due di piazze, se non tre, data che ci sarà pure quella indetta, presto o tardi, anche dai sindacati. Con il rischio di non vederle piene nessuna delle due. Il derby si gioca su piazza San Giovanni. Sia Pd sia M5s vorrebbero fare il pieno e vedere chi riempie di più quella che è storicamente una piazza di sinistra. Per adesso è solo una suggestione, anche perché i contiani ragionano sull’opportunità o meno di organizzare la manifestazione a Napoli dove M5s ha fatto il pieno di voti: “Ma – dicono – il rischio è passare per coloro che difendono solo il reddito di cittadinanza e non è così”. Per questo Conte in mattinata ha diffuso un post a tutto tondo.
L'incognita
La grande incognita, a questo punto, sono i sindacati,essenziali per riempire una piazza che protesta contro la manovra. Il Pd potrebbe ritrovarsi orfano della Cgil che ancora non ha mandato segnali né di promozione né di bocciatura della manovra e questo potrebbe rivelarsi un problema per un partito che cerca la riscossa tornando di protesta e, appunto, di piazza. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara li cita apertamente, i sindacati, per portarli dalla propria parte “Siamo riusciti a mantenere l'impegno che avevo preso personalmente coi sindacati di portare l'approvazione del contratto in questo Cdm, per sbloccare entro Natale gli arretrati, che ammonteranno a una voce media di oltre 2.000 euro per dipendente, e implementare gli aumenti di stipendio, che a regime corrisponderanno a una voce media di 124 euro in più a mensilità”.
In più, diverse volte la Meloni ha ricordato che per il taglio del cuneo fiscale, “misura più consistente della manovra”, sono stati impiegati quattro miliardi. Tutti messaggi inviati ai sindacati, che il premier preferisce averli con lei piuttosto che contro di lei così da spaccare ancora di più il fronte delle opposizioni nel Paese.
Il Copasir
A complicare i rapporti già tesi tra le opposizioni c’ pure la grana del Copasir, i cui membri ora ci sono, ma che non è ancora in grado di riunirsi. A due mesi dalle elezioni, sono infatti proprio le divisioni dell'opposizione a bloccare il Comitato parlamentare sulla sicurezza della Repubblica.
Dopo lunga attesa, dovuta al temporeggiare del Movimento 5 stelle, ieri i presidenti delle Camere hanno ufficializzato la composizione della bicamerale. Ma una convocazione manca per la spaccatura tra Partito democratico e M5s sulla presidenza dell'organismo di garanzia. Il Pd la vuole per l'ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini (o, ma è meno probabile, per Enrico Borghi), i Cinquestelle frenano, avanzano il nome del magistrato Ferdinando Scarpinato. Sullo sfondo c'è una trattativa parallela per la guida della commissione di Vigilanza sulla Rai, su cui avanza le sue mire anche il Terzo polo.
È stata solo la pressante richiesta dei presidenti delle Camere a portare all'indicazione dei componenti del Copasir. Prima Forza Italia, poi il M5s hanno infatti preso tempo per settimane. Solo nelle ultime ore è arrivata l'ufficializzazione. Faranno parte della bicamerale i senatori Andrea Augello (FdI), Claudio Borghi (Lega), Licia Ronzulli (FI), Enrico Borghi (Pd) e Ferdinando Scarpinato (M5s), e i deputati Giovanni Donzelli (FdI), Lorenzo Guerini (Pd), Marco Pellegrini (M5s), Ettore Rosato (Iv) e Angelo Rossi (FdI).
I nomi
I nomi danno la misura dell'importanza che i leader assegnano all'incarico. Ci sono i fedelissimi di Meloni (Donzelli), Salvini (Borghi) e Berlusconi (Ronzulli). Nel pieno della guerra con l’Ucraina, la commissione è cruciale perché da lì passano le comunicazioni del governo sull'invio di armi all'Ucraina ed è lì che i leader dei partiti di governo vogliono occhi e orecchie.
Ma la presidenza, da tradizione, spetta all'opposizione, perché il Copasir è un organo di garanzia. Perciò dalla maggioranza assicurano che, se ancora non ci si è riuniti, è responsabilità della minoranza, che non riesce a trovare al suo interno un accordo sulla presidenza. La partita si gioca tra Pd e M5s, anche se per i dem è fuori discussione che la presidenza vada a loro, visto il risultato elettorale. Il candidato più quotato è Guerini, già presidente del Copasir e poi ministro della Difesa, ma in partita fino all'ultimo resta anche Borghi. Dipenderà tutto dal confronto con i Cinque stelle, che hanno in Scarpinato il loro naturale – e provocatorio - candidato. La convinzione degli ex alleati è che abbiano ritardato la costituzione del Copasir, temporeggiando sui loro nomi, per poter votare la presidenza in contemporanea con quella della Vigilanza Rai. Il timore dei 5Stelle è che alla bicamerale sulla tv pubblica, con un accordo trasversale con la maggioranza, Matteo Renzi riesca a far eleggere Maria Elena Boschi. Ecco perché servirà un accordo tra dem e M5s sulle due presidenze per sbloccare l'elezione. "Noi votiamo il nome che ci indicheranno, non vogliamo trovarci a scegliere tra i loro", dice una fonte di maggioranza. Ma il Terzo polo vuole giocare la sua partita, tenta di insinuarsi nelle divisioni tra il partito di Conte e quello di Letta, non sta a guardare. Il risultato non è scontato. A dimostrazione, ove ancora ce ne fosse bisogno, che le opposizioni sono davvero divise su tutto.