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L’ex 007 Mancini alla premier Meloni: “Controspionaggio offensivo per risolvere i problemi”

Il libro “Le regole del gioco” si chiude con una lettera aperta alla Presidente del consiglio. L’ex 007, in pensione del 2021, protagonista di tante storie, protetto dal segreto di stato, attacca i vertici attuali di Aise e Aisi. “E’ sicura che siano all’altezza?”. La sua ricetta: infiltrare Libia e mezza Africa

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
La premier Meloni e l'ex 007 Marco Macini (Ansa e fotogramma da 'Report', Rai)
La premier Meloni e l'ex 007 Marco Macini (Ansa e fotogramma da "Report", Rai)

E’ la lettera aperta quella che conta. Quelle otto pagine finali dopo 340 totali con cui Marco Mancini, l’ex numero uno del controspionaggio italiano ed anche ex di tante altre cose, si rivolge direttamente alla premier Meloni e “Le” dice (rigorosamente con la maiuscola) come fare per risolvere qualche problema. Gli scafisti ad esempio, il traffico di immigrati, i rapporti con certi paesi africani da cui si deduce che a ricasco ne derivino  dettagli operativi importanti per mettere le gambe al Piano Mattei . La ricetta di Mancini è il “controspionaggio offensivo”, ovverosia un impiego operativo anche in territorio straniero dei nostri servizi segreti. Una lettera che inizia così: “Signor Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sono rimasto colpito dalla sua onestà cristallina quando parlando in Senato il 21 marzo 2023 a proposito del naufragio di Cutro ha detto: ‘La mia coscienza è perfettamente a posto. Sono una madre. E non esistono prove che il governo italiano avrebbe potuto fare di più’. Ebbene - la butta là Mancini - forse non è così”.

Le ultime otto pagine

Altri diranno nel merito del libro, quanto sia fedele, se e quanto omissivo. Apri sapranno leggervi, tre le righe, i messaggi diretti e indiretti all’uno o altro dei protagonisti  che si sono avvicendati ai vertici della nostra sicurezza in  questi ultimi vent’anni. S’intitola “Le regole del gioco”, ha un sottotitolo quasi didascalico: “Dal terrorismo alle spie russe: come il controspionaggio offensivo ha protetto gli italiani”. Eh sì, perchè secondo Mancini se l’Italia è uno dei pochi grandi paesi occidentali a non aver avuto un proprio 11 settembre, “questo lo si deve al fatto che abbiamo avuto (al passato, ndr) un servizio segreto dentro il Medio Oriente”. Giusto in quel quadrante mediorientale che il 7 ottobre Hamas ha deciso di incendiare per una sorta di resa dei conti finale contro Isreale.

Il libro, edito da Rizzoli, è di fresca pubblicazione e la “felice” tempistica consente a Mancini di andare ospite in varie trasmissioni tv ad esporre i suoi consigli operativi. Non però in maniera così netta, esplicita e quasi arrogante, come fa nella parte finale del libro. Pagine in cui, in pratica, bolla pubblicamente i vertici di Aise e Aisi di non saper fare il loro mestiere. “Lei deve circondarsi di persone che sappiano fornire indicazioni complete” scrive Mancini. Può essere che sia risentimento per una struttura che l’ex premier Conte gli aveva promesso che sarebbe tornato in parte a dirigere (promessa non mantenuta) e che poi lo ha messo ai margini. E però, trattandosi di strutture sensibili per la nostra sicurezza che in questo momento devono poter lavorare in serenità, è quantomeno azzardato scrivere pubblicamente di “accertare se l’intelligence sia o no all’altezza di poter fornire indicazioni specifiche sul tema che preme”. Equivale ad insinuare che non sappiano fare il loro mestiere. Dubbio subito smentito, ad esempio, da operazioni come quella di ieri mattina a Milano con l’arresto di due egiziani troppo attivi sul fronte della propaganda jihadista.

“Solo a Lei posso dire alcune cose”

 Mancini è in pensione come dice lui “forzata” da luglio 2021 e soprattutto senza aver raggiunto quello che voleva:  diventare il numero 2 dell’Aise (ex Sismi), tornare operativo, alla guida di uomini e situazioni, un ruolo da cui era stato allontanato nel 2006 perchè coinvolto in una serie di vicende giudiziarie assai complesse che poi si sono risolte con la vittoria del Segreto di Stato. Dunque, nessun colpevole. Nessun reato. 

L’oggetto, neppure troppo tra le righe, della lettera aperta è l’auotocandidatura di Mancini ad un incarico da consulente alla ristrutturazione dei nostri 007. Della serie: “Affidi a me che ci penso io”. L’occasione, della lettera, è la lotta alla tratta degli esseri umani, dossier su cui il governo rischia di perdere consenso e farsi male.  Su cui Meloni sa di dover trovare una soluzione. Quantomeno impostarla. Nella lettera c’è poi un terzo livello, appena accennato ma che molti lettori avranno già cerchiato in rosso: “Solo a Lei Presidente potrei riferire segreti di Stato che non posso comunicare in forma di lettera aperta. Ragioniamo perciò del resto…”. Mancini sa cose. E lo ricorda.  

Cutro e la mancanza di informazioni

Il “di più” che “alcune istituzioni avrebbero dovuto e potuto fare”  è, secondo Mancini, avere le giuste e necessarie informazioni. Invece “ho le prove segnate sulla mia pelle e depositate nella storia recente di questo Paese ben prima che Lei si insidiasse a palazzo Chigi senza però che vi sia stato alcun segno di cambiamento strategico e operativo nel comparto intelligence dopo l’inizio del suo governo”. Possibile, ragiona l’ex 007, che “i nostri servizi segreti non sapessero di un caicco con 180 disgraziati afgani, somali, siriani? Possibile che Aise non avesse una fonte nella polizia o tra gli scafisti del secondo porto ottomano per traffici legittimi e il primo per quello di armi e droghe?” . Non averle avute “è una congiura non meno colpevole”.

La ricetta proposta senza tanti giri di parole è “usare legittime forze dell’intelligence attraverso l’azione di risorse locali per aprire i lager dove non possiamo permetterci di lasciar violentare donne e bambini semplicemente chiudendo il mare (compito peraltro impossibile perchè i mari non si bloccano)”.

La ricetta

Per agire con successo, spiega l’ex 007, “occorre rimettere in moto le fore positive e oggi imbrigliate dei nostri servizi. Che ci sia bisogno di rendere la nostra intelligence capace di svolgere determinate funzioni dopo la distruzione sistematica operata a seguito del caso Abu Omar (l’imam sequestrato dagli 007 italiani e americani nel 2003 a Milano e consegnato all’Egitto nell’ambito di operazioni chiamate rendition, ndr)  è documentato oltre che dalle clamorose disattenzioni nel contrasto ai trafficanti di esseri umani anche dalla totale impreparazione davanti all’aggressione russa all’Ucraina”.

Fallimento dopo fallimento, in pratica non abbiamo intelligence ma una banda di incapaci, Mancini azzarda nel dare consigli operativi alla premier. E dimostra di averla seguita parola per parola nei suoi più recenti interventi pubblici. Alle Nazioni Unite, ad esempio, a metà settembre, meno di un mese fa. “Lo scorso 20 settembre, all’Onu - scrive Mancini - Lei aveva un dossier con i nomi e con le ramificazioni delle organizzazioni criminali nel mondo e con l’indicazione dei porti della Tunisia, della Libia e della Turchia da cui nelle ultime quarantotto ore erano partite le barche che avevano raggiunto le nostre coste; e lungo quali itinerari e con quali soste e in che condizioni erano state imbarcate, e che cosa si stesse muovendo in quel preciso momento in Mali, Niger, Sudan, Eritrea. Lei aveva tutte queste notizie: le ha mostrate all’Onu? Le ha illustrate alla Presidente della Commissione Europea von der Leyen? Quel che si deve assolutamente fare è permettere all’intelligence di fare l’intelligence, rivederne l’organigramma e monitorare le qualità dei dirigenti apicali dei servizi”. E invece in quei ruoli ci vanno “egregi manager di Asl” quasi che “l’intelligence fosse una sinecura, da poter godere senza alcuna conoscenza del settore?”.

Il controspionaggio offensivo

 L’invio a guardare, osservare e fare pulizia è incessante nelle otto pagine in cui si indugia anche sui “golpe” in Africa per mano della Wagner, turchi e cinesi. “La prego, misuri Lei chi abbia facoltà e esperienze. Il riscontro non è difficile da ottenere. Da mesi stanno partendo a migliaia e migliaia dalla Tunisia e ancora dalla Libia. Possibile che non abbiamo una rete di fonti che dia modo ai capi dei servizi segreti di farLe sapere quanti saranno i migranti in arrivo? E se invece si sapeva, e se i servizi glieL’hanno riferito, perché non sono state prese delle precauzioni con iniziative di accoglienza?”.

La ricetta di Mancini è semplice: si chiama controspionaggio offensivo. “E’ l’unica strada per una vittoria possibile”. Il finale è quasi implorante: “Signor Premier, Lei ha ideali, coraggio e credibilità. Ci aggiunga, La prego, la forza del controspionaggio offensivo dei servizi segreti”. A parte i toni flautati e dolciastri,  non si capisce questo nuova forza di polizia che opera all’estero con infiltrati a chi dovrebbe fare riferimento, a quale ente, autorità e legislazione. In una parola: chi lo controlla. Che poi è stato il vero problema in certi anni della nostra intelligence. Magari la premier legge, risponde e troverà una soluzione.

La copertina del libro scritto da Mancini
Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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