[Il commento] Il manager Cinque Stelle che ingoia banconote. E la classe dirigente che ancora non c’è
Dalla élite di relazione dei partiti tradizionali si è passati alla selezione della classe dirigente attraverso il sistema orizzontale del web. Scardinare i vecchi modelli ha prodotto un cambiamento necessario. Ma un rinnovamento positivo ancora non si vede. E la storia del manager del Palaexpo di Roma è un esempio lampante
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Ha suscitato un certo scalpore la nomina di Cesare Maria Pietroiusti, medico, gallerista ed artista di spicco della corrente sperimentale relazionale, al vertice del Palaexpo di Roma. Una nomina fortemente voluta dalla giunta Raggi, che ha raccolto però sdegno e perplessità da parte delle opposizioni in Campidoglio, a causa di alcune performances d’avanguardia dichiaratamente provocatorie, come quella in cui Pietroiusti ingoiava delle banconote “restituendole” naturalmente, attraverso le proprie feci.
Il denaro sterco del Demonio
La logica era quella di portare avanti una critica del denaro attraverso la trasfigurazione irrimediabile della banconota, icona di scambio reale impietosamente trasformata in altro da sé. Non tutti però sono sensibili ai metalinguaggi dell’arte ed il passaggio dal compassato manager Franco Bernabè all’artista Pietroiusti alla guida della principale macchina culturale della capitale ha fatalmente scatenato il fuoco di fila dei consiglieri Pd, che sulla scia nazionale del “caso Mura” (il velista sardo eletto parlamentare fra le fila pentastellate che al Transatlantico ha dichiarato di preferire la sua barca) hanno subito gridato allo scandalo e al tradimento dei principi di meritocrazia tanto sbandierati dal Movimento 5 Stelle. Vien dunque da chiedersi: esiste un problema di selezione della classe dirigente da parte dei Cinquestelle, a livello centrale e periferico? Il metodo di selezione “orizzontale”, basato sulla piattaforma o cooptato senza intermediazioni dal mondo della società civile, delle professioni, della cultura, può garantire la stessa efficienza nei ruoli apicali e nei luoghi in cui si esercita la rappresentanza istituzionale? L’“inesperienza” come corollario talvolta necessario dell’ “onestà”, costituisce un valore o un disvalore rispetto ai classici meccanismi di cooptazione politica all’interno dei ranghi di partito?
Cosa c'è dietro i colpi di teatro
Iniziamo subito col dire che il povero Pietroiusti un curriculum lo ha, ed anche di un certo spessore: la sua biografia lo annovera a partire dagli anni ‘ 70 come co-fondatore del Centro Studi Jartrakor di Roma e della Rivista di Psicologia dell’Arte; poi tra i coordinatori del “progetto Oreste” alla cinquantesima Biennale di Venezia e del Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti di Como, fino al 2016. Infine docente di Laboratorio Arti Visive allo IUAV di Venezia e alla MFA faculty della Lesley University di Boston. Art tribune lo definisce come un artista “divisivo”, seppur amatissimo dalla critica, in patria e fuori. “L’elemento spiazzante della sua ricerca c’è e si vede. Con tutto lo scetticismo che – a volte, per qualcuno – ne deriva”. Ed ancora: “Le dinamiche del consumo, insieme a quelle che regolano i rapporti di priorità, di potere e di valore, sono da anni al centro della sua ricerca”.
Raggi nella bufera, sempre lei
Bene, ma allora da cosa deriva tanta diffidenza nei confronti delle scelte della giunta Raggi? Forse è utile riflettere sul processo di selezione delle élites nel nostro paese e sull’elemento di novità e di trasformazione prodotta negli ultimi anni dall’irrompere della dinamica orizzontale del web, che ha letteralmente sparigliato le carte. Ci viene in soccorso una ricerca del professor Daniele Checchi, docente di Economia Politica e del Lavoro alla Statale di Milano, che ci spiega come nella creazione di classe dirigente in Italia fino a ieri facevano premio, insieme all’istruzione, il criterio di genere e l’anzianità: elementi tipici di una struttura sociale arcaica, in cui l’anziano era depositario di conoscenza in quanto essa coincideva con l’esperienza della vita pubblica, aperta principalmente (se non esclusivamente) ai maschi. Ma in una società moderna, in cui l'accesso alle conoscenze e alla formazione è molto più ampio e dove il tasso di partecipazione si misura anche attraverso le dinamiche relazionali della rete, sembra ormai esistere un scollamento tra domanda di partecipazione e selezione all’ingresso nelle classi dirigenti.
Il vecchio e il nuovo, e viceversa
Di qui il conflitto fra vecchi e nuovi meccanismi di cooptazione, dove nel “vecchio” sistema la risorsa più importante consisteva nell’appartenenza ad una rete relazionale, che fosse una dinastia, un'organizzazione o un partito. Ma il ruolo di selezione e formazione svolto dai partiti di massa è venuto meno nell’era del “partito liquido” , contribuendo via via a determinare il declino della classe dirigente italiana, “sempre più focalizzata su istanze particolaristiche, e sempre meno rivolta al perseguimento dell’interesse generale e alla visione complessiva del benessere della società”. La selezione della classe dirigente insomma, ha via via ceduto il passo a meccanismi di cooptazione relazionale e personale rispetto alla valutazione del “merito”. Anche qui insomma, ha vinto la logica della “raccomandazione” come espressione di appartenenza al gruppo piuttosto che come espressione di valore universale, basato sul riconoscimento oggettivo del merito.
Quanto contano le "risorse umane politiche"
Su questa linea di faglia si gioca il futuro dei movimenti politici italiani da qui ai prossimi anni. Il M5S ha avuto certamente la capacità di scardinare, attraverso il metodo di selezione “orizzontale” e la selezione dei curricula l’ormai asfittica cooptazione interna ai partiti tradizionali, basata sull’autoreferenzialità più che sul merito. Dovrà stare però sempre più attento, ora che è diventato autentica forza di governo, a non derogare mai a questo principio, che è stato il vero motore del successo pentastellato in un paese bloccato dalle logiche familistiche o correntizie interne ai vecchi sistemi di potere. Non sarà facile. Allo stesso modo i partiti tradizionali hanno solo un modo per tornare ad essere “forze di massa”: liberare il potenziale altissimo di risorse umane ancora vivo nella militanza di base, scardinare i vecchi meccanismi di cooptazione, tornare a puntare sulla formazione e sul merito come unico faro nella selezione delle élites del paese.