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La maggioranza si spacca sul canone Rai, una ferita che difficilmente potrà rientrare

La vicenda logora ancora una volta l’esecutivo. E fotografa una compagine che ormai marcia in ordine sparso su svariati dossier

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
Rai (Ansa)
Rai (Ansa)

È una giornata difficile e lunga per la war room di Palazzo Chigi. La divisione della maggioranza al Senato lascia le ferite. Perché logora ancora una volta l’esecutivo. E perché fotografa una compagine che ormai marcia in ordine sparso su svariati dossier. Al punto che nei palazzi della politica diversi parlamentari di Fratelli d’Italia si interrogano sul futuro: «Giorgia si è stufata. Aveva avvertito sia Tajani sia Salvini… Se continua così rischia di saltare tutto». L’inciampo a Palazzo Madama, con Forza Italia che ha votato con l’opposizione sulla Rai, viene derubricato da Giorgia Meloni come «schermaglie, nulla di particolarmente serio».  Il volto della presidente del consiglio è scuro, infastidito, dalle difficoltà dell’ultima settimana. I distinguo degli azionisti di minoranza della coalizione di governo non aiutano, perché deteriorano i rapporti.  Non è dato sapere se tutto questo prima o poi farà saltare il tavolo.

Al contempo  quello che è successo ieri mattina a Palazzo Madama segna un prima e un dopo nella storia della legislatura. La spaccatura della maggioranza su un dossier delicato, come quello della Rai, ha fatto sobbalzare dalla sedia l’inquilina di Palazzo Chigi.

La cronaca dei fatti: attorno alle dieci del mattino in commissione Bilancio  due parlamentari di Forza Italia - Dario Damiani e Claudio Lotito -  votano insieme alle opposizioni contro l’emendamento della Lega che chiedeva di prorogare, anche nel 2025, la riduzione del contributo per la tv pubblica, da 90 a 70 euro. Il governo va sotto: il parere dell’esecutivo alla proposta del Carroccio, infatti, era positivo. La conta in commissione finisce 12 a 10. Ai dieci senatori delle opposizioni si aggiungono i due di FI. La maggioranza si ferma a dieci sì, insufficienti per far passare l’emendamento. L’opposizione, va da sé, festeggia. Non a caso Elly Schlein, segretaria del Pd, attacca in questi termini: «La maggioranza è in frantumi e le divisioni sono evidenti. Sono allo sbando, troppo impegnati a litigare tra loro, a competere anziché governare il Paese. E intanto non si occupano della salute e dei salari, dei problemi concreti degli italiani». Subito dopo succede un altro fatto che non certo fa rientrare il caso. La Lega risponde alla mossa degli azzurri: i senatori del Carroccio si astengono quando la commissione vota un emendamento sulla sanità in Calabria di Forza Italia a prima firma Lotito. Ancora una volta la maggioranza si spacca e il provvedimento viene respinto.

A questo punto senatori di vario colore che si aggirano per il Salone Garibaldi arrivano a preconizzare lo scenario delle elezioni anticipate: «In fondo tutto questo è il disegno di Giorgia, tornare a votare dando la responsabilità a uno degli alleati…». Presto perché questo avvenga. Ma dalla primavera tutto può succedere. Oltretutto il prossimo anno si dovranno rinnovare sei regione e Meloni potrebbe puntare su un grande election day che di fatto si trasformerebbe in un referendum su stesso. Sia come sia, gli strappi hanno infastidito la war room di Chigi. E lo si evince da un dispaccio che viene fatto circolare: «Il Governo è fortemente impegnato nel sostegno a famiglie e imprese, operando sempre in un quadro di credibilità e serietà. L'inciampo della maggioranza sul tema del taglio del canone Rai non giova a nessuno». L’ultimo passaggio, “non giova a nessuno”, è un avviso che Meloni intende a mandare ai due alleati. La premier è infatti convinta che se si tornasse a votare ingloberebbe parte dell’elettorato salviniano ed intercetterebbe una parte di consensi di Forza Italia.

Tutto questo spinge gli alleati a frenare almeno ufficialmente. Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, prova a soffiare sul fuoco: «Noi non abbiamo votato un emendamento che prevedeva il taglio del canone Rai di 20 euro perché lo consideravamo sbagliato e non utile ad abbassare la pressione fiscale. Bisogna trovare 430 milioni dal bilancio per finanziare la Rai. Con quei soldi invece si possono tagliare veramente le tasse. Non c'è nessun inciampo all'interno del governo, siamo sempre stati coerenti con quello che abbiamo detto». Anche Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, stampella centrista della coalizione in forte ascesa, minimizza: «C'era una diversità di vedute che, com'è fisiologico in una democrazia parlamentare, è stata risolta con un voto, niente di drammatico, ma normale dialettica».

Evidente che tutto questo possa essere pericoloso perché arriva dopo lo scontro tra Alessandro Giuli e Guido Crosetto sulla guida della Fondazione del Museo egizio e dopo un vertice di Meloni con Salvini e Tajani dove la premier ha richiamato i due vice sulle richieste relative alla manovra finanziaria. Senza dimenticare il rimpasto, altro oggetto della contesa all’interno della coalizione. Un rimpasto rimane sempre un passaggio complicato perché ogni singolo partito cercherà di alzare il prezzo. Non a caso Meloni vorrebbe evitarlo ma potrebbe esserne costretta per ridare slancio all’azione del governo. Certo è che il logorio non aiuta. E se ieri il caso Rai è rientrato e ha solo lasciato qualche piccola ferita - «non è successo nulla» minimizza a sera Salvini.  Da domani però sarà un altro giorno e la rottura potrebbe essere totale.

Giuseppe Alberto Falcidi Giuseppe Alberto Falci   
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