[Il retroscena] Rimborsi, espulsioni e stipendi. Nel Movimento Cinque Stelle è scoppiata la guerra dei soldi
L’m5s dovrà risarcire con trentamila euro due esclusi dalle Comunarie di Roma espulsi dal partito. Il Tribunale di Roma ha accolto il loro ricorso, ma ce ne sono centinaia presentati dagli esclusi alle Parlamentarie. Imbarazzo per due parlamentari uscenti che sono stati messi in lista anche se non avevano restituito metà stipendio come da accordi. Repubblica accusa: tre funzionari del Gruppo al Parlamento europeo chiedono rimborsi ma lavorano per Luigi Di Maio in Italia
Una volta, per i 5Stelle parlare di soldi era un tabù. Del resto il Movimento era nato proprio per marcare una diversità irriducibile rispetto ai partiti, additati al pubblico ludibrio come i parassiti della Repubblica la cui ragione sociale non era altro che quella di spremere finanziamenti, diretti o indiretti dalle tasche dei contribuenti. Oggi, a distanza di cinque anni dall’attivazione del sito www.tirendiconto.it., e dopo la caterva di strali lanciati contro gli altri, i seguaci di Beppe Grillo sembra invece che non facciano altro che parlare di soldi. Per una sorta di eterogenesi dei fini, in questi giorni a trovarsi nel mirino sono loro: per come hanno utilizzato il personale pagato con denaro pubblico, per avere candidato in posti sicuri parlamentari uscenti che non avevano restituito quanto dovevano e, addirittura, per essere chiamati a risarcire - con trentamila euro - gli iscritti espulsi e non candidati. A poco più di tre settimane dal voto per le elezioni politiche, la sigla di Luigi Di Maio e che, secondo i sondaggi potrebbe diventare il primo partito italiano, è rimasta invischiata in almeno tre vicende che hanno a che fare con la vile pecunia.
A seminare preoccupazione e a far scattare un piccolo allarme è stata la prima sentenza di condanna contro l’associazione, anzi le due, che “controllano” il Movimento 5 stelle, giudicato colpevole di avere espulso indebitamente due attivisti impedendo loro di partecipare alle primarie per le candidature.
Il giudice Francesco Remo Scierrato, della 16ª sezione civile del tribunale di Roma, ha infatti creato un precedente accogliendo il ricorso di Roberto Motta e Antonio Caracciolo. Entrambi ex attivisti romani del Movimento Cinquestelle, erano stati espulsi senza molte spiegazioni pochi giorni prima delle comunarie dell’Urbe, con la conseguenza di essere esclusi dalle primarie che incoronarono Virginia Raggi e dunque dalla possibilità di concorrere ad un posto da consigliere comunale. Quello sgambetto costerà caro al Movimento: la magistratura lo ha condannato a pagare trentamila euro di spese legali e, riconoscendo il danno, ha dato il via libera ad una futura richiesta di risarcimento. Uno dei due esclusi, per dire, insegna alla Sapienza e quindi avrebbe certamente potuto ambire ad un buon ruolo. “La sentenza dimostra che qualcuno sbagliava a definire le nostre motivazioni robetta”, ha commentato l’avvocato Lorenzo Borrelli, che segue molte delle cause degli ex grillini espulsi, preannunciando nuove azioni legali. La magistratura ha verificato che esistono due distinte associazioni che rispondono legalmente delle mosse di Beppe Grillo e Luigi Di Maio e che saranno loro a dover pagare.
Verificato che un tribunale riconosce che la cacciata da un Movimento fatta dall’oggi al domani sia un danno quantificabile anche dal punto di vista economico, nella creatura di Gianroberto Casaleggio si è scatenato il panico. Dalle comunarie di Roma in poi ci sono state una decina di altre competizioni online e gli esclusi, per i motivi più vari, sono centinaia. Soltanto in quest’ultima tornata di parlamentarie, dove c’erano stati diecimila autocandidati, il leader cinquestelle ammette di avere “filtrato” qualche migliaio di persone e, per questa ragione, già sarebbero state minacciate circa duemila cause.
La prima, a consultazione ancora in corso, era stata quella avviata presso il Tribunale di Paola dal giornalista calabrese Antonello Troya, escluso senza apparenti motivi e senza spiegazioni. Nei giorni successivi i ricorsi sono fioccati a centinaia. Trentamila euro per duemila cause significherebbero sessanta milioni. Dove troverà il Movimento - che ha chiuso in pari il suo bilancio - i soldi per pagare la somma degli eventuali risarcimenti di questo valore o di valore superiore?
Ancora legata ai soldi pubblici è la vicenda dei due parlamentari uscenti che è stata al centro di un’ agitata riunione svoltasi qualche sera fa. Dopo averli ricandidati in una posizione sicura - blindati, insomma - i pentastellati si sono accorti che Andrea Cecconi e Carlo Martelli non erano in regola con i versamenti al fondo per il microcredito al quale ciascun eletto del Movimento è tenuto a versare metà dello stipendio da parlamentare. I due non avrebbero potuto essere ricandidati, ma ormai le liste erano state consegnate. Qualcuno ha proposto di far firmare loro le dimissioni in bianco, com’era accaduto per Emanuele Dessì, il candidato al Senato nel Lazio che aveva scritto di aver picchiato dei romeni su Facebook e che - lo si è scoperto solo ora - vive in una casa di edilizia popolare pagando un affitto di 8 euro al mese, ma quella soluzione non è praticabile. Così si è deciso di rinviare la soluzione del problema al collegio dei probiviri del M5s che si riunirà dopo le elezioni. Intanto i due parlamentari uscenti avrebbero provveduto a regolarizzare le loro posizioni.
Ad oggi i grillini si vantano di avere “restituito” complessivamente 37 milioni di euro. Già, perché anche se il finanziamento pubblico ai partiti è stato abolito, sostituito dal 2 per mille della dichiarazione dei redditi, i gruppi parlamentari continuano a percepire fondi per il loro funzionamento. Ed è proprio attraverso i gruppi parlamentari che tutti i partiti pagano il (poco) personale. Le cifre sono rilevanti: Openpolis ha calcolato che i rimborsi ammontano a circa 50 mila euro per ciascun deputato e a oltre 67 mila euro per ciascun senatore. Il Movimento 5 stelle, nell’anno di maggior consistenza dei gruppi parlamentari, il 2014, ha incassato la bellezza di 4 milioni e 386 mila euro. Anche i Cinquestelle, come gli altri partiti, spendono la maggior parte delle risorse in personale. Se però Pd, Fi e gli altri distaccano il personale presso la sede del partito - che come tale è un’ associazione di diritto pubblico - i grillini utilizzano il personale anche per far funzionare la piattaforma Rousseau, che appartiene ad una società privata.
Come se non bastasse, ieri “Repubblica” ha rivelato che ci sarebbero state frizioni tra il gruppo Efdd al Parlamento europeo, quello di cui fanno parte M5s e Ukip, per quindicimila euro di rimborsi chiesti dal capo della comunicazione del M5s all’Europarlamento che sarebbero però riferibili ad iniziative di semplice campagna elettorale svolte in Italia. “Nelle missioni in Italia di Cristina Belotti non c’è nessuna irregolarità. C’è stata una missione di 196 euro in concomitanza con un evento di chiusura campagna, a giugno 2017, al quale ha partecipato a titolo volontario. Quindi per evitare fraintendimenti ha preferito spontaneamente rinunciare al rimborso”, ha subito smentito l’ufficio stampa del partito grillino. Le missioni contestate, costate 15 mila euro, dunque non ci sarebbero state e non ci sarebbe nessun “caso”. Il giornale di Mario Calabresi, però, ha pubblicato i documenti nei quali si legge che l’amministrazione del Gruppo al Parlamento europeo ha chiesto ripetutamente dei chiarimenti per le spese dovute a viaggi verso l’Italia che non sarebbero state “rimborsabili” perché, con quel profilo professionale, l’interessata avrebbe dovuto occuparsi delle sedute dell’Europarlamento e non di incontrare Davide Casaleggio e Luigi Di Maio in Italia. E, in effetti, la comunicatrice, per evitare polemiche, avrebbe poi rinunciato ai rimborsi e si sarebbe messa in aspettativa non retribuita fino alle prossime elezioni.
Sono altri due i funzionari in forze all’organico della delegazione del Movimento 5 Stelle in Europa che, secondo il quotidiano, starebbero dando una mano in Italia. Uno si sarebbe occupato del restyling del sito e degli eventi degli europarlamentari sul territorio nazionale, mentre l’ altro di realizzare un documentario. Pagati dall’Europa per fare campagna elettorale in Italia ad un partito che ha sempre condannato queste piccole furbizie da Prima Repubblica? “Tutto falso. Repubblica provi a fare informazione se ne è ancora capace e lasci perdere la propaganda”, smentisce seccamente la nota del M5s. Ma ormai la guerra è iniziata, e non solo a colpi di comunicati.