Il pacifismo ‘irenico’ (e filo-russo) serpeggia tra i 5Stelle. L’ira di Conte e gli assetti interni
Il Movimento in attesa del voto sulla leadership. Fibrillazione per alcuni distinguo anche sulla posizione italiana legata alla crisi ucraina
La prossima settimana, salvo imprevisti, dovrebbe avere luogo sulla piattaforma SkyVote la votazione per confermare la leadership di Giuseppe Conte ('sospesa', come si sa, da un'ordinanza del Tribunale di Napoli). Invece, solo dopo le prossime elezioni amministrative, inizierà la discussione interna con gli iscritti sulla questione del terzo mandato, anch'essa probabilmente accompagnata da una votazione, molto attesa tra i molti eletti che sono già al secondo 'giro di boa' in Parlamento. Questa la road map ipotizzata dal leader Conte.
Dopo il voto del 10-11 marzo con cui la base grillina ha rinnovato il suo Sì allo statuto pentastellato (aggiornato con le modifiche richieste dalla Commissione di Garanzia degli Statuti e per la trasparenza e controllo dei rendiconti dei partiti politici, ai fini dell'iscrizione del Movimento nel registro per il 2xMille), l'ex premier punta a ultimare i passaggi formali per completare la struttura del M5S, chiamando gli iscritti a votare i componenti del consiglio nazionale, tutte cariche elettive.
Il flop di partecipazione delle ultime votazioni
Dal punto di vista dei numeri, però, le ultime votazioni sono state un flop. Lo scorso 10 marzo, in prima convocazione, il nuovo voto sullo Statuto ha visto solo 34 mila votanti (quorum della maggioranza assoluta degli iscritti non raggiunto) e, in seconda convocazione, 38.735 votanti (pari al 31%) su una platea di 125.200 aventi diritto, per dare l’ok alle nuove regole interne, ‘corrette’ dopo l’ordinanza del Tribunale di Napoli che ha sospeso i vertici del M5s per un ricorso di alcuni attivisti guidati dall’avvocato Lorenzo Bollé. Per avere un’idea del crollo di partecipazione basti dire che, nell’agosto 2021, si erano espressi 60.940 votanti (l’87,36% a favore della svolta, cioè il nuovo Statuto e la designazione di Conte a presidente del M5s). Una doccia fredda, altro che ‘bagno di democrazia’ che prometteva Conte, il quale chiedeva una conferma convinta da parte degli iscritti altrimenti ‘minacciava’ le dimissioni.
Ferve già la discussione sul doppio mandato
In ogni caso, dopo il voto sulla leadership di Conte, in programma la settimana prossima, la base dovrà esprimersi sugli organi interni che ancora mancano all'appello. Poi, dopo il voto delle amministrative, si aprirà la discussione sul doppio mandato: una questione sulla quale già il garante Beppe Grillo si è più volte espresso blindando la regola aurea del Movimento, anche se c'è chi giura che l'ex comico ha 'aperto' a possibili deroghe, come la possibilità per gli eletti che hanno terminato i due mandati di candidarsi per altre cariche istituzionali, come i Consigli regionali o l'Europarlamento. Senza vere e proprie ‘deroghe’, soprattutto per i big, però, sarà difficile che le polemiche non esplodano. Infatti, molti big sarebbero esclusi dalle possibili ricandidature e, dunque, tagliati fuori al prossimo giro, da Luigi Di Maio a Roberto Fico e vari altri.
Il rischio di un “partito nel partito”…
E se, ieri mattina, riferiscono fonti parlamentari M5s, Giuseppe Conte ha riunito i direttivi di Camera e Senato anche per affrontare i temi sul tavolo ma anche per invitare i parlamentari a essere più presenti sul territorio, nell'incontro sono emerse diverse perplessità sull'organizzazione interna e sul percorso del Movimento. La creazione dei comitati, una delle tesi emerse durante alcuni interventi, rischia di far nascere “un partito nel partito” e, quindi, di alimentare solo confusione. Ma è soprattutto il tema legale ad alimentare dubbi in chi ritiene che non si possa 'annullare' la recente sentenza del Tribunale di Napoli che invalida tutte le attuali cariche statutarie, dallo Statuto alla nomina di Conte. “Dobbiamo capire - la richiesta arrivata da alcuni 'big' M5s a Conte - quali sono gli scenari e il percorso per non farci trovare impreparati”. Il convincimento di molti big è che la battaglia che sta portando avanti l'avvocato Borré si estenderà anche a Roma.
Conte nega di volere un “partito personale”
Il presidente M5s in ogni caso è tornato oggi a smentire la possibilità di un partito personale. “Da quando sono uscito da Palazzo Chigi - ha osservato – ho pensato di mettermi a disposizione, anche se non sapevo ancora in che modo, degli amici del M5s, ho accantonato il mio tornaconto personale, questa è la ragione per cui non ho pensato a fondare un mio partito”. Ed ancora: “Ho intrapreso la strada più faticosa date le condizioni in cui si trova il Movimento ma credo più stimolante e utile per il sistema italiano che non ha bisogno di frammentare ulteriormente le forze politiche ma di razionalizzare e rafforzare l'azione politica con movimenti sani come i 5S”.
Le fibrillazioni interne sul decreto Ucraina
Nel Movimento 5 stelle resta la fibrillazione per alcuni distinguo anche sulla posizione italiana legata alla crisi ucraina. Ieri due esponenti M5s, Grimaldi e Serritella, si sono astenuti sul dl Ucraina, due i voti contrari, di Enrica Segneri e Gabriele Lorenzoni. E monta il malessere per il voto sull'ordine del giorno votato ieri alla Camera sulla necessità di aumentare la spesa militare. "Sono totalmente contrario all'aumento degli armamenti in Italia", ha scritto su Facebook l'ex ministro Toninelli, dando voce alle molte perplessità tra i pentastellati. Si è voluto confermare “un impegno preso dall'Italia nel 2014 a un vertice Nato, cioè quello di portare la spesa militare al 2% del Pil – ha invece osservato Conte – Detto questo, non credo che i cittadini siano entusiasti di sentire che in questo momento ci preoccupiamo di ribadire l'impegno ad aumentare la spesa militare”. L'ex premier ha tagliato corto: “Non c'è bisogno di posizionarci. Dall'inizio - ha rimarcato - abbiamo preso una posizione chiara, ferma, univoca. Non abbiamo mai tentennato, abbiamo fatto subito sintesi confrontandoci internamente ed è quella la linea”. Ma se non sono pochi i parlamentari pentastellati contrari alla linea ‘guerrafondaia’ del governo, fanno leva sull’imbarazzato silenzio di Grillo.
Il silenzio imbarazzo di Grillo sull’invasione
Sul blog personale di Beppe Grillo, garante del Movimento e che ci tiene molto, alla carica, da quando la Russia ha iniziato i bombardamenti, non è uscita una parola una, sull’invasione. Non solo di condanna, ma neppure di presa posizione. Sul suo blog Beppe Grillo parla (o fa parlare i relativi esperti) di energia eolica, di progetti solari, di veicoli senza motore o, ovviamente, di reddito di base universale, ma - dal 22 febbraio scorso, data in cui Vladimir Putin ha fatto scattare l’invasione e i bombardamenti sull’Ucraina, sul sito www.beppegrillo.it non è stata pubblicata una parola sull’attacco russo, come se non fosse mai successo nulla. Eppure, il 16 febbraio, quando l’attacco del Cremlino era ormai chiaro, aveva pubblicato un articolo eloquente già dal titolo, «Basta con la russofobia» firmato da un oscuro consulente del ministero degli Esteri dell’Ecuador (sic), tale Danilo Della Valle.
Dal giorno dell’invasione, invece, più nulla, forse complice il forte imbarazzo per le posizioni tenute fino ad allora, dal blog dell’Elevato.
Tanto per dire, nel 2017, sempre sul suo blog, Grillo definiva Putin uno che “dice cose sensate” e “un uomo forte di cui la politica ha bisogno”, per non dire delle posizioni anti-embargo ai russi.
Parole che facevano perfetta rima con l’allora fedelissimo Alessandro Di Battista: “Per la pace mondiale meno male che c’è Putin”, disse l’ex parlamentare M5S nel 2019. Un Di Battista che Conte punta sempre a ‘recuperare’ e riprendersi.
Il caso del ‘pacifista’ (filo-russo) Petrocelli
Del resto, le posizioni filo-russe e molto ambigue del M5s sull’attuale conflitto, ormai si sprecano. Già aveva fatto scalpore il caso del presidente (addirittura) della commissione Esteri del Senato, ovvero del pentastellato Vito Petrocelli. Quando si è trattato di dare il via libera al decreto, varato in cdm dal governo Draghi, sull’invio di aiuti non solo umanitari ma anche militari (armi ed equipaggiamenti militari) all’Ucraina, era venuto fuori che il ‘pacifista’ Petrocelli avrebbe defezionato. “Non voterò – aveva dichiarato il 28 febbraio - qualsiasi provvedimento del Cdm che dovesse decidere l'invio di armi letali all'Ucraina, come risposta all'operazione folle di Putin, che ovviamente non posso che condannare”. Poi, Petrocelli si era eclissato al momento della riunione delle commissioni Esteri di Camera e Senato, che doveva presiedere, le quali dovevano dare il via libera al testo della risoluzione sulla guerra in Ucraina e che sono state poi approvate dal Parlamento. Parlamento che, secondo un amareggiato Petrocelli, “è stato preso in giro”.
Era dovuto intervenire direttamente il presidente del M5s, Giuseppe Conte, per ribadire invece la posizione ufficiale del Movimento telefonando a Draghi prima del Cdm: pieno appoggio dal M5S all'adozione da parte dell'Italia, nel quadro dell'Unione europea, di iniziative che consentano a Kiev di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione. L'ex premier, ovviamente, aveva anche confermato la ferma condanna del Movimento all'aggressione militare russa e il pieno sostegno per iniziative a favore della popolazione ucraina. Ma Petrocelli intignava, invitando Conte a “riflettere sulla necessità che non vi sia un'escalation del coinvolgimento italiano” nel conflitto perché “ogni passo ulteriore verso il coinvolgimento nella guerra, la tesi, “è contrario ai principi della Costituzione e ai valori fondativi del M5s”.
Peraltro, in fatto di politica estera, Petrocelli, dentro il M5s, non è un signor nessuno, ma il ‘numero tre’, dopo il ministro Luigi Di Maio – schieratissimo al fianco dell’Ucraina, Nato e Ue -e il sottosegretario sempre alla Farnesina, Manlio Di Stefano. Sembrava che, nei suoi confronti, sarebbero state prese decisioni pesanti, ai limiti dell’espulsione, o quanto meno la richiesta di rinunziare alla presidenza della commissione ma così non è stato. Eppure, le relazioni e la vicinanza di Petrocelli alla Russia - tra viaggi e frequenti pranzi in ambasciata - non sono un mistero; con una certa coerenza, il senatore ha sempre rivendicato la sua simpatia per i Paesi cosiddetti non allineati, dalla Cina al Venezuela.
Né mancano altri pentastellati animati da spirito ‘pacifista’ e ‘non violento’. “Credo nella non violenza attiva - spiega il senatore Gianluca Ferrara, anche lui in commissione Esteri - ci troviamo dinanzi a un bivio storico forse più insidioso di quello del 1962 con la crisi dei missili a Cuba. Io voterò per la pace”. Alla fine, sono stati una decina i voti ‘in dissenso’ nelle fila dei pentastellati, prima sull’invio delle armi e poi sull’aumento delle spese militari al 2% all’anno (deliberato ieri, dal Parlamento) mentre hanno votato contro, in modo compatto, tutti gli esponenti della pattuglia ex M5s L’Alternativa.
Fraccaro ‘benedice” i parlamentari ‘pacifisti’
Ieri, infine, l’ultimo caso e riguarda un altro big. A fare scalpore, infatti, sono stati i complimenti (“Brava!”) dell’ex ministro, Riccardo Fraccaro, indirizzati alla dissidente grillina Enrica Segneri, deputata di Frosinone che l'altro ieri è intervenuta alla Camera definendo “imbarazzante”, da “pacifisti della guerra”, la linea scelta, in modo compatto, da parte della maggioranza sull'invio di armi all'Ucraina. Le parole di Fraccaro - che è stato anche sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nel governo giallorosso - diventano subito un caso, nel M5S, particolarmente scosso in questo frangente, dopo gli anni passati a contestare la Nato ("eravamo anti-sistema", ha spiegato l'ex ministra Giulia Grillo) o a tenere un filo aperto con Mosca, come fa Petrocelli.
Le parole di Fraccaro sono state pronunciate ieri mattina a Montecitorio e ad alta voce, davanti a un capannello di diversi onorevoli pentastellati. Due deputati infatti confermano: “Fraccaro si è complimentato per l'intervento di ieri, in cui Enrica attaccava a testa bassa la linea del Movimento”. Discorso, quello della Segneri, che aveva già indispettito Conte e diversi colleghi el Movimento, con tanto di rimbrotto pubblico della capogruppo M5S in Commissione Esteri alla Camera, Iolanda Di Stasio. Fraccaro prima nega di avere parlato con la deputata e dice di sostenere “convintamente la linea del Movimento 5 Stelle e del governo sul decreto Ucraina”, poi lo ammette, ma si limita a un “le ho detto che ha avuto coraggio”. Del resto, i rapporti con Conte si sono incrinati dopo l'incontro di Fraccaro con Salvini prima del voto sul Quirinale, quando alcuni grillini lo accusarono di avere promesso al leghista un pacchetto di grandi elettori in dote.
Certo è che, tra i 5 Stelle, la linea sulla guerra continua ad alimentare attriti. Altri due deputati, oltre a Segneri, si scostano dalla linea di Conte: Gabriele Lorenzoni e Valentina Corneli e votano no mentre altri due si astengono. Al Senato, poi, si attendono le mosse di Petrocelli.
L'ex premier terrà d'occhio il pallottoliere. Chi ci ha parlato in queste ore, lo descrive infastidito dai dissensi espressi non negli organismi deputati - che pure si sono riuniti - ma in pubblico. E, fanno sapere parlamentari vicini a lui che di tutto ciò si terrà conto o con le sanzioni interne o al momento delle candidature delle politiche: “Chi danneggia il gruppo, è fuori” è il diktat di Conte. Il problema è che iniziano a essere tanti.