Ogni giorno annunciano la fine del governo Conte, ma la verità è che nessuno vuole staccare la spina
Hanno ipotizzato la caduta dell'esecutivo M5S-Lega a causa di Tap, Tav, Def, decreto sicurezza, processo a Salvini, autonomie, ponte Morandi e Toninelli. Ma tutti hanno sbagliato le previsioni
Persino i bookmakers inglesi, che se vogliono scommettono su tutto, anche su quante volte la regina dirà oh yes stasera, ci vanno un po’ più prudenti sul governo italiano che sta per cadere domani, o se proprio vogliamo dargli fiducia, al massimo dopodomani. Non è che sono in gran compagnia. Da noi hanno annunciato la fine di Conte quasi un giorno sì e uno no. Abbiamo provato a contarli. Non ci siamo riusciti. Pure Travaglio ha scritto un pezzo invitando Di Maio a staccare la spina, prima che lo faccia Salvini (quando si dice la fiducia).
Siccome la deadline preferita sarebbe quella delle elezioni europee, da qui a maggio aspettiamoci un’altra grande gara di previsioni, con una folla di agguerriti partecipanti che si stanno allenando dal giugno dell’altr’anno. Per adesso l’hanno fatto cadere dal Dl dignità in avanti senza fermarsi mai, e senza nemanco una volta scoppiare a ridere, molto aiutati - bisogna ammetterlo - da alcuni dilettanti allo sbaraglio attorno e dentro al governo: elezioni regionali - e ne abbiamo avute già un bel po’ -, Tap, Tav, Def, decreto sicurezza, processo Salvini, autonomie, ponte Morandi, Toninelli, interviste sparse. Qualcuno, più bravo degli altri, è arrivato anche a fissare la data, appena chiuse le urne in Sardegna: «Ve lo dico io. Fra 100 giorni». E’ vero che quei cento giorni devono ancora passare, ma lasciateci dubitare...
In compenso, nella variopinta folla dei partecipanti, non manca quasi nessuno. Ci si è messa pure la famosa banca di affari statunitense Goldman Sachs, subito dopo il giuramento, nel giugno dell’anno scorso: «Il governo non sopravviverà fino alla metà del 2019». Spingendosi oltre: «E’ probabile che venga sostituito da un esecutivo più coerente, di centrodestra o di centrosinistra, che segua una politica di bilancio meno aggressiva, incentrata o sul taglio delle tasse o su un aumento dei trasferimenti, ma non su entrambe le misure». Stesse certezze di Fitch Ratings: «Ci saranno le elezioni politiche in Italia dopo quelle europee».
Noi, invece, siamo un po’ più veloci. Le Europee sono l’ultima spiaggia. Il governo in realtà dev’essere già caduto prima. Se uno leggesse per caso i giornali italiani penserebbe a una barzelletta: ma non è già caduto ‘sto governo? Paolo Mieli sul Corriere della Sera lo dava defunto nei mesi più freddi: «Non è affatto certo che passerà indenne attraverso la stagione invernale». E presto sarebbe arrivato il tempo delle elezioni anticipate, ben prima delle Europee, perché, sosteneva Mieli, citando l’ex rettore della Bocconi Guido Tabellini, la crisi sarebbe scoppiata quando a inizio 2019 sarà chiaro che l’economia non riparte o è in recessione. La cosa assurda è che l’economia è ferma e siamo davvero in recessione, ma il governo non è caduto e non cade. Forse bisognerebbe cambiare i paradigmi del giudizio, rendersi conto che Salvini non vuole più tornare con Berlusconi e Di Maio non potrà mai mollarlo, che anche se capitano le cose che dicono il governo difenderà se stesso sino alla fine.
Invece, la gara non si ferma. E, a proposito di paradigmi e di tempi che cambiano, due grandi protagonisti sono Berlusconi e Renzi. Il Cavaliere ha cominciato da subito, il 28 luglio: «Il governo cade in autunno». In autunno, poi è diventato più preciso: «Il 15 gennaio. Muore il 15 gennaio». Anzi, diamoci da fare: «Bisogna puntare sui dissidenti grillini, perché il 15 gennaio il governo salta».
Matteo Renzi, abbuffato di popcorn sulla sua poltrona preferita, è stato appena un po’ più vago e prolisso, ma altrettanto sicuro: «Se mi si chiede quale potrebbe essere la novità del 2019, dico che prima del previsto, nei primi mesi del 2019 e prima delle elezioni europee, maturerà la rottura del governo». In un’intervista a La Stampa si dilungava poi a spiegare le ragioni della crisi: «I passaggi sono diventati stretti. Sulla Tav Salvini non può perdere la faccia e non può perderla neppure Di Maio, dopo aver ingoiato Tap, terzo valico e Ilva». Chiosa: «Siamo alla crisi. Non del settimo anno, ma del settimo mese».
Intanto siamo arrivati al decimo abbondante. E il 15 gennaio è passato, e ritorna Berlusconi: «Io non negozio con Salvini, saranno i fatti a far cadere questo governo». E' il 20 febbraio: «Avevo detto che il governo sarebbe caduto sui fatti. L’autonomia è uno di quei provvedimenti che potrà costituire un fatto». E anche Maurizio Martina si unisce al coro, prima di lasciare la segreteria: «Saremo chiamati a responsabilità, prima di quanto immaginiamo». E che s’immaginava Martina?