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[La polemica] "Carogne, schiavi, pagliacci e spacciatori". La guerra dei Cinque Stelle ai giornalisti

Impedito ad un giornalista della Stampa di entrare ad un evento ad Ivrea organizzato da Casaleggio. Ma è solo l’ultimo caso. Basta una critica, qualsiasi critica, a scatenare la guerra. Nel tritacarne una lunga lista di giornalisti. I casi di Lerner, Zucconi e tanti altri

[La polemica] 'Carogne, schiavi, pagliacci e spacciatori'. La guerra dei Cinque Stelle ai giornalisti

Il caso di Jacopo Jacoboni de La Stampa, al quale è stato negato l’accesso all’evento organizzato a Ivrea dai Cinque Stelle per ricordare Gianroberto Casaleggio, non è il primo e temiamo che non sarà purtroppo nemmeno l’ultimo. Il Movimento ha spiegato che il divieto è stato preso per ragioni personali e non professionali, perché il giornalista avrebbe «insultato» il fondatore dei grillini anche quando era sul letto di morte. La Stampa ha replicato che è inaccettabile che a lui «e alla testata che rappresenta venga impedito di fare il proprio lavoro perché si dissente da ciò che ha scritto.

Ed è incomprensibile che ciò avvenga ad opera di una forza politica impegnata nella formazione del prossimo governo». In realtà, i Cinque Stelle adottano sistemi che sono molto in voga da parte di tutti nel nostro beneamato Paese, così simile in certi momenti a un Salvador vestito da Armani, come ironizzava Gianni Boncompagni. Basta pensare all’editto berlusconiano contro Marco Travaglio e Enzo Biagi, o persino alle squadre di calcio, come la Juve, ma non solo, che non si sono vergognate di dichiarare indesiderato qualche cronista troppo critico. 

Nel caso dei Cinque Stelle è una guerra che viene da lontano e che è andata sempre in crescendo con il passare del tempo. Cerchiamo di evitare ogni commento moralistico e di fare solo cronaca. Già ai tempi abbastanza remoti del vaffa, i giornalisti non erano molto ben piazzati nelle classifiche di simpatia. Stavano quasi in fondo, superati solo nettamente dai politici. Con gli anni questa antipatia è andata aumentando. Già nel 2013, durante un comizio del suo Tsunami Tour, Beppe Grillo si era lasciato andare a uno sfogo poco educato contro «i giornalisti carogne, schiavi dei loro editori».

In seguito li ha definiti, a piacimento: «pennivendoli, inchiostratori, falsari, walking dead». Anche qui, se andassimo a vedere discorsi e dichiarazioni di altri politici, da Gasparri («siete dei pagliacci», «fate propaganda della droga: siete spacciatori», a Davide Parenzo e Giuseppe Cruciani) a Brunetta («lei è mitomane, scortese e offensivo», a Giovanni Minoli. «Adesso ho capito perché l’hanno cacciato dalla Rai») senza dimenticare Bossi («prima o poi vi spacchiamo la faccia», a un comizio a Piacenza), scopriremmo facilmente che i toni non sono molto diversi.

Ma per quel che riguarda i Cinque Stelle (e la Lega: a un comizio fu picchiato un giornalista del Fatto), la cosa molte volte non si è fermata lì, ed è questo che forse preoccupa di più. Così, a Rimini, Enrica Agostini di Rainews24 è stata insultata e spintonata mentre cercava di intervistare il senatore Morra: «Vai via!», le gridavano inferociti, e dietro di loro, altri rincaravano la dose: «menateli a ‘sti giornalisti!». A Palermo, a un comizio dei grillini, i cronisti furono accerchiati e coperti di insulti. E il 24 gennaio, gli ambulanti che ascoltavano Di Battista in piazza Montecitorio si rivoltarono al grido di «Ammazziamoli!» contro un piccolo drappello di giornalisti.

Durante la campagna elettorale in un post sul Blog delle Stelle, il Movimento segnalava «come funziona il controllo dell’informazione in Italia», facendo i nomi di una berlusconiana che segue per il tg1 Berlusconi o di un caporedattore che partecipa alle feste del Pd, o di uno che viene da Europa, giornale prima della Margherita e poi dem, e che guarda caso si occupava di Gentiloni e di Palazzo Chigi. Ma è scoprire l’acqua calda. La Rai, soprattutto nella seconda Repubblica, è sempre stata così. Ed è probabile che non cambi neppure adesso che hanno vinto i grillini, con quel che ne segue. Verrà fuori qualcun’altro a far la lista dei nuovi amici? Lui, Beppe Grillo, una volta ha sventolato mille euro false a favore di telecamere, distribuendole ai presenti: «Ora scrivete quel che dico io. Il Movimento 5 stelle è il più grande movimento d’Europa». E a chi gli chiese delle primarie, rispose a brutto muso: «Ma non vi vergognate? Vi mangerei solo per il gisto di vomitarvi!».

I seguaci del Movimento se la sono sempre presa con tutti, persino con quelli meno schierati, come Mentana, che ha sempre cercato di capire con obiettività e interesse il fenomeno dei 5 Stelle. Ma basta una critica, qualsiasi critica, a scatenare la guerra. Nella querelle infinita fra giornalisti e Movimento, Beppe Grillo s’è poi inventato una rubrica, come dire?, molto poco cordiale, quella de "Il giornalista del giorno", per la quale chiedeva pure segnalazioni di vario tipo al suo popolo del web. La presentò con un ritratto cattivissimo contro la povera Maria Novella Oppo, che ancora non abbiamo capito bene a cosa doveva questo onore: «Maria Novella Oppo si vanta di lavorare all’Unità dalla fine del ‘73. Da allora non ha mai avuto altro lavoro ed è mantenuta da 40 anni dai contribuenti grazie ai finanziamenti pubblici sull’editoria».

Il primo a scandalizzarsi per l’annuncio di questo premio al contrario fu Francesco Merlo su Repubblica: «E’ giusto ricordare che gli ultimi elenchi di giornalisti, le ultime schedature di obiettivi sensibili,le hanno fatte in Italia quelli che poi, dopo qualche anno, aspettavano Walter Tobagi in via Solferino. E a ritroso i camorristi che inseguivano la Mehari di Giancarlo Siani e i mafiosi che pedinavano Pippo Fava. E’ vero che Beppe Grillo non è ancora terrorista, né camorrista né mafioso. Sempre più però il suo codice di violenza, i suoi roghi, le sue scomuniche, i suoi avvertimenti, i suoi manganelli foscamente rimandano alla sgrammatica dei terroristi, dei camorristi, dei mafiosi». Risposta di Grillo: subito giornalista del giorno ad honorem.

La lista di prescrizione non si è poi fermata lì. Bastava una qualsiasi critica e ci finivi dentro. Venne il turno di Vittorio Zucconi, «che da buon giornalista non sa che per vedere se una persona è condannata è sufficiente chiedere ai tribunali. Evidentemente lo ha disappreso casomai qualcuno gli chiedesse se sono puliti i candidati e gli eletti della sua parte politica». poi Sebastiano Messina e un mucchio di altri. Qualcuno se la cercò con una certa forza come Giuliano Ferrara, che usò per l’occasione lo stesso linguaggio dei suoi avversari: «Beppe Grillo è violento come il capo della tifoseria camorrista del Napoli. E’ intriso di sporcizia morale. E’ un putrido e turpiloquente tribuno del nulla, perchè non ha un programma, non ha un progetto... Grillo è il male assoluto. Il mio soave disprezzova a tutti coloro per i quali Grillo è un interlocutore politico. Lui e quella banda di sciamannati che ha mandato in Parlamento».

Ovviamente non gli è mancato il titolo di giornalista del giorno. Con l’andar del tempo quell’onorificenza è diventata quasi una medaglia. Piena di fango, però. Riempita dagli insulti e dalle minacce del web. Fino al caso di Gad Lerner che ci è finito dentro per un commento contro la possibile alleanza in Europa di Grillo con il movimento di estrema destra di Nigel Farage. Quando uno viene nominato giornalista del giorno diventa un bersaglio anche per i peggiori professionisti dell’insulto. Ma questa volta fu oltrepassato anche il limite concesso al blog di Grillo e Gad Lerner venne coperto da vergognose frasi razziste e antisemite, che furono cancellate dopo che scoppiò lo scandalo. Se uno va a vederle adesso trova quasi solo gli attestati di solidarietà da parte di grillini sconvolti da quella pericolosa e volgare esibizione di violenza. I pochi insulti rimasti fanno quasi sorridere. Il peggiore è un «ma va a cagare...».        

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, giornalista e scrittore    
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