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“Delusa da Renzi, il Pd è casa mia ma sono tentata dalla scelta di D’Alema”

Livia Turco: "Orlando mi voleva in assemblea ma ho detto no"

Monica Settadi Monica Setta   
Livia Turco
Livia Turco

Livia Turco non è andata all'assemblea Pd, non è nemmeno stata eletta proprio come Gianni Cuperlo (la cui assenza clamorosa è tutta da spiegare) ma ha seguito i lavori su Radio radicale con suo marito Agostino Loprevite, il compagno di una vita che sposò il 21 gennaio 2006 a Torino. Livia, più volte ministro, nome della nomenclatura Ds, vicina storicamente a Massimo D'Alema non ha ancora scelto se il suo futuro sarà dentro il Pd o accanto al nuovo movimento del lider Maximo. "Certo che ho votato alle primarie, stavo con Andrea Orlando che anche ha fatto un discorso bellissimo, davvero di sinistra" dice la Turco a Tiscali.it " ha parlato di povertà, di disuguaglianza, ha cercato di unire non di dividere. Detto ciò, la democrazia dice che il segretario del Pd è Matteo Renzi, quel che succederà dopo ė tutto da vedere". 

A proposito di "rottamazione", quella di Livia Turco, piemontese di Morozzo, donna bella, generosa, rigorosamente dalla parte degli ultimi nella gestione della quotidianità politica sia quando era potente ministro che oggi, da semplice militante, ha fatto rumore. Nemmeno una telefonata, neanche un invito ad esserci, eppure il Pd è la sua "casa", lei ne è fra i soci fondatori, la "madre nobile" dell'Ulivo prima, del Partito democratico dopo. 

Ma guai a chiamare "traditori" gli scissionisti, D'Alema in primis. "Chiariamolo, la colpa di chi ha lasciato il partito ricade direttamente su Renzi" annota tagliente lei "non sono traditori coloro che hanno lasciato, sono solo compagni messi brutalmente da parte. Non a caso ho apprezzato particolarmente Orlando quando ieri ha fatto un richiamo al segretario affinché recuperi, coinvolga tutti quelli che hanno cambiato temporaneamente strada. Un grande partito della sinistra si deve basare sull'unità, deve essere la "casa" di tutti, non solo dei giovani o di chi al momento ē collocato in una fase di comando".

Niente di personale contro Renzi, specifica la Turco, anzi - questo lo aggiungiamo noi- suo marito lo ha praticamente votato perché, da vecchio compagno comunista e/o post comunista, continua a ragionare con la logica anni 70 della non dispersione del voto a sinistra. Quando Roberto Giachetti si candidò sindaco di Roma contro la Pentastellata Virginia Raggi, Livia fu chiamata a far parte della squadra, doveva essere una specie di assessore alla povertà. Lei accettò per spirito di servizio, spese la sua faccia, le sue gambe, la fatica (cosa che fa da quando aveva 20 anni per il suo partito, la prima tessera del Pci gliela diede a Torino l'amico Piero Fassino) finendo quasi per rompere con D'Alema che ovviamente se la prese a male.

"Poi io & D'Alema ci siamo spiegati, lui ha capito che la mia scelta era unicamente legata all'impegno civile per il territorio" racconta Livia "infatti io non ho portato a casa nulla. Non sono stata rieletta né mai coinvolta nel partito. Continuo a fare la mia vita, ho la fondazione Nilde Iotti, l'impegno per le donne che ha caratterizzato tutta la mia esistenza, i libri. Certo, rifletto, aspetto, sto a vedere. Il rapporto che mi lega a D'Alema ē sempre molto forte, unico. Anche a lui ho detto che sulla gestione della scissione avevo le mie perplessità intellettuali e politiche". La cosa curiosa ė che mentre lei ė fuori, gli amici di D'Alema come il senatore Nicola La Torre suo storico assistente sono dentro renziani legittimati dalla certificazione d'origine controllata; Barbara Pollastrini, collega di Livia nel governo Prodi II ed amica presente (insieme alla sottoscritta) alle sue nozze celebrate nel giorno della fondazione del Partito comunista (21 gennaio) 11 anni e mezzo fa a Torino fra gli immensi cadeaux floreali di D'Alema- Fassino o la cena stellata alla Venaria con Davide Scabin, è invece diventata vicesegretario Pd eletta nella corrente orlandiana con De Santis (espressione della minoranza di Michele Emiliano). 

Che cosa ne pensa la Turco? Pollastrini, ex ministro, cuperliana di solida fede, ha fatto bene ad accettare di fare da vice al presidente Matteo Orfini? "Sono scelte personali. Barbara è brava, segue la sua strada che è comunque diversa dalla mia. Ciò che mi stupisce semmai ē che Gianni Cuperlo sia rimasto fuori. Ma conoscendolo potrebbe essere stata perfino una sua decisione". Insomma, la provoco, la decisione definitiva (dentro il Pd o con D'Alema) è adesso più vicina? Turco non risponde, deve ancora capire, vedere quanto e come lei può essere essenziale per la nuova causa.

Le cose da fare non le mancano. A partire dai libri. Il suo ultimo lavoro si intitola  “Per non tornare al buio. Dialoghi sull’aborto” (edizioni Ediesse) osa dire, è che il cono d’ombra non nasce lì, ma investe la maternità tutta. La maternità di oggi infatti, a guardarla in faccia, non ha identità. Lo capiamo perché non riusciamo a parlarne senza toccarne gli estremi: surrogata, negata, santificata, mortificata. La maternità “normale” non sembra avere spazio nella narrazione del terzo millennio. E Livia Turco lo spiega così: “L’esperienza materna è stata confinata in un cono d’ombra perché costa molta fatica per le donne, perché le parole ad essa dedicate sono prevalentemente “costo”: per le aziende, per le famiglie, per il welfare”. E aggiunge: “Il cono d’ombra ha radici più profonde. Attiene al piano simbolico e alla narrazione culturale”. 

La maternità senza rinunce della sua generazione non ha avuto infatti il dono di una nuova narrazione: privata di parole nuove che la definissero sia simbolicamente che concretamente, l’esperienza della maternità è rimasta così schiacciata tra ciò che non è più e ciò che non è ancora. “E’ stato talmente duro liberarsi dallo stereotipo della maternità imposta, è stato talmente doloroso sentirci definire egoiste perché abbiamo preteso la possibilità di scegliere la maternità e anche assumerci il dramma il dolore dell’aborto, che non ci siamo rese conto di quanto siamo state brave a vivere la maternità come gioia interiore, nuova cittadinanza sociale, nuova femminilità, nuova relazione con gli uomini”. Non lo hanno “cantato” come avrebbero potuto, e di quel canto oggi non è rimasto niente.

Le 50 pagine di introduzione che precedono le 150 pagine di interviste a ginecologi, obiettori e non, sul tema dell’aborto, potrebbero essere un libro a sé. Se non fosse che tracciano un perimetro nuovo e coraggioso al tema dell’IVG, l’Interruzione Volontaria di Gravidanza, che dal 1978 in Italia è legale ma difficile, dolorosa e sempre sotto attacco. E il perimetro è quello di una necessità più grande, un’opportunità preziosa: “La cura delle persone deve diventare un grande obiettivo politico, un orizzonte di vita, un modo di essere delle relazioni pubbliche, un tratto della democrazia”. Iniziando proprio con la più difficile ed esclusiva delle esperienze, quella che oggi non ha un volto né per difendersi né per affermarsi: la scelta di essere madri o di non esserlo.

Monica Settadi Monica Setta   
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