Perché da partito compatto e unito è diventato litigioso: tutti i dispetti nel Centrodestra
Fratelli d'Italia continua a sparare palle dialettiche incatenate su ogni atto del governo Draghi. Intanto Matteo Salvini continua a reclutare ex pentastellati
Erano i tempi del centrodestra unito e vincente, a salda trazione Berlusconi, ma a un certo punto vennero coniate due immagini: quella delle tre, anzi quattro punte - il Cav, Fini, Casini, Bossi - è quella del "competion is competition", cioè il fatto che - in un'ottica in cui anche il proporzionale aveva il suo peso e questo soprattutto dopo la fine del Mattarellum e dei collegi uninominali con il passaggio al Porcellum e alle liste bloccate dei singoli partiti, sia pure presentatisi in coalizione - anche all'interno dell'alleanza, ciascuno ragionasse prima per se e poi per la coalizione.
Ovviamente e naturalmente, nel senso che è naturale, tutto questo è andato aumentando con la crescita delle quote proporzionali nelle varie leggi elettorali che si sono susseguite, dove quindi la forza e la percentuale del proprio partito era più importante di quella di tutta la coalizione. E, se possibile, l'esplosione della competizione interna alle coalizioni è deflagrata con la fine del governo Conte bis e con la nascita dell'esecutivo di Mario Draghi.
La novità, questa volta, è che il centrosinistra solitamente litigioso, è quasi compatto, fin troppo come ha dimostrato la strategia suicida di "Conte o morte" durante la crisi di gennaio che ha portato un risultato più simile alla seconda che alla permanenza del primo, con un Pd subalterno al MoVimento Cinque Stelle in molte fasi della trattativa. E che invece il centrodestra, dato vincente da tutti i sondaggi se si presenta unito, non è mai stato così frastagliato come in questo periodo.
Tanto che si moltiplicano i piccoli dispetti quotidiani, ovviamente agevolati dal fatto che un partito - Fratelli d'Italia - è all'opposizione e quindi libero di sparare a palle dialettiche incatenate su ogni atto del governo Draghi; un secondo, Forza Italia, è saldamente al governo anche se è tirato da una parte dai moderati che vorrebbero un'alleanza centrista e dall'altra dai filoleghisti che vorrebbero invece maggiore durezza nel differenziarsi dalla linea del governo; un terzo, la Lega, cerca di essere contemporaneamente di governo, con Giancarlo Giorgetti che insieme a Daniele Franco è probabilmente il ministro più vicino a Mario Draghi, e Matteo Salvini che è leader di governo e di opposizione contemporaneamente, un po' - il paragone è un po' troppo forte, ma può aiutare a capire - quando alcuni sottosegretari e parlamentari di Rifondazione sfilarono in piazza contro il governo Prodi di cui facevano parte.
Insomma, competition is competition. E così gli esponenti di Forza Italia (e i governisti della Lega) non perdono occasione di sottolineare come il "cambio di passo" e la "discontinuità" siano soprattutto merito loro e della loro presenza nel governo. È così Matteo Salvini continua a reclutare ex pentastellati, questa settimana nemmeno già transitati nel Misto come era capitato per altri recenti nuovi ingressi, ma proprio direttamente nel gruppo del MoVimento alla Camera che resta il primo di Montecitorio ma sente la Lega avvicinarsi passo passo, come un maratoneta che sta cedendo il primato a pochi metri dal traguardo.
Questa volta, nell'unico cambio di gruppo della settimana parlamentare, dato quasi incredibile per le medie a cui eravamo abituati, è Felice Mariani ad abbandonare i lidi pentastellati per approdare a quelli salviniani, eletto nel MoVimento nel collegio uninominale di Roma-Tuscolano. Ma è una storia da raccontare quella del neo deputato leghista: Mariani, infatti, è stato il primo italiano a conquistare una medaglia olimpica nel judo: bronzo alle Olimpiadi di Montreal nel 1976 si è quasi ripetuto a Los Angeles otto anni dopo arrivando a un passo dal podio al quarto posto. E da commissario tecnico della nazionale di judo gli è andata ancora meglio: è infatti lui ad aver guidato la spedizione azzurra a Pechino 2008, quando la “sua” Giulia Quintavalle salì sul gradino più alto del podio nella categoria 57 chilogrammi.
Insomma, Salvini punta sulla forza parlamentare e sulle arti marziali della politica e oggi alla Camera la distanza con i pentastellati, che rimangono il primo partito, è ridottissima: 132 a 163 e a Palazzo Madama 64 a 75. E il braccio di ferro fra Lega e Fratelli d’Italia sulla guida del Copasir, con le mancate dimissioni di Raffaele Volpi, attuale presidente vicinissimo a Giancarlo Giorgetti (e non è un particolare di poco conto), richiamandosi al precedente di Massimo D’Alema durante il governo di Mario Monti, è solo la punta dell’iceberg sui rapporti attuali fra salviniani e meloniani, anche a livello territoriale.
Invece, la strategia di Giorgia Meloni è quella di differenziarsi continuamente, attaccando il governo Draghi addirittura più di quanto fece con Conte. Solitamente, il ruolo di ariete di sfondamento televisivo, con voce impostata e sguardo duro, come un attore perfetto per il ruolo, viene affidato al capodelegazione degli eurodeputati Carlo Fidanza, ma le differenziazioni rispetto agli alleati, con tanto di frase che generalmente suona “vedremo in aula chi ha davvero a cuore…”, con la possibilità di cambiare tranquillamente ciò che viene dopo i puntini di sospensione, vengono invece esercitate a rotazione.
Il giorno che Fratelli d’Italia presentò una mozione contro il cashback, proponendo di devolvere quel tesoretto per le categorie in crisi, ad esempio, ai telegiornali venne mandata la senatrice Isabella Rauti, con parole che suonavano pressappoco così: “Fratelli d’Italia c’è, vedremo se anche gli altri saranno della partita”. Ma le dichiarazioni all’ora dei telegiornali hanno anche la loro traduzione in aula da parte degli uomini di Giorgia Meloni. Ad esempio, qualche giorno fa, il deputato Tommaso Foti è andato giù secco: “Saremmo stati molto più lieti se ieri, in VIII Commissione, quando si votava il problema delle moschee, che è un problema serio, soprattutto nei locali abusivi, non fossimo stati gli unici del centrodestra a sostenere quella battaglia”.
O ancora, addirittura, l’appello alla ribellione pubblica ai ministri del centrodestra firmato dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Francesco Lollobrigida sulla questione del coprifuoco l’altra sera in aula: “Presidente, io volevo intervenire sull'ordine dei lavori, perché apprendiamo dalle agenzie che c'è in Consiglio dei Ministri una discussione aperta. Io spero davvero che le notizie che giungono dal Consiglio dei Ministri siano poi confermate così come quello che viene sottolineato dalle agenzie e, cioè, un atto di coraggio da parte dei colleghi della Lega rispetto al decreto-legge Aperture e rispetto al coprifuoco che è davvero inutile e inspiegabile come atto; che venga mantenuto il coprifuoco alle 22 è davvero inspiegabile per tante ragioni, una delle quali ovviamente è l'aver concentrato la riapertura di una serie di attività in orari che prevedrebbero, poi, con il coprifuoco presente, una aggregazione sistematica nei teatri e nei ristoranti in una fascia oraria precisa. Allora, voglio fare pubblicamente un ringraziamento agli amici della Lega se verranno confermate le posizioni dei Ministri e un invito ai colleghi di Forza Italia di fare lo stesso, dimostrando, come sempre, una coerenza del centrodestra che ritroviamo in atti sostanziali di interesse generale per la collettività, per le nostre imprese e per le nostre aziende. Mi auguro che si possa tramutare almeno in un segnale rispetto a una questione che è davvero inutile, come il coprifuoco. Quindi, il mio è ovviamente un appoggio parlamentare a questa azione che i colleghi Ministri del centrodestra stanno sostenendo al Governo”.
Insomma, qui lo schema delle tre punte è chiarissimo. L’unico rischio per il centrodestra è che funzioni come quando un allenatore di calcio mette dentro tutte le punte per ottenere un risultato e anziché segnare gol a raffica tutti quegli attaccanti si ostacolano fra loro. Il vecchio mister è molto anziano, tutto sta a capire chi è quello nuovo.