La ‘linea rossa’ di Draghi ai partiti riottosi: concorrenza, fisco e politica estera sono i tre “punti non negoziabili”
I continui distinguo rispetto al governo, accompagnati a vari tentativi di sabotaggio della linea Draghi potrebbero difatti trasformarsi in un boomerang

Mario Draghi resiste a ogni refolo di crisi di governo e, persino davanti alle paure legate alla guerra in Ucraina, anche la sua ‘web reputation’ resta molto alta (parola di ricercatori interpellati), rispetto a quella di tutti gli altri leader politici.
Effetto boomerang per Salvini e Conte nei sondaggi. Resta alto il gradimento per Draghi
Infatti, come dicono diversi istituti di sondaggi, rischia di rivelarsi un azzardo la strategia messa in campo da Matteo Salvini e Giuseppe Conte per risalire nei sondaggi. I continui distinguo rispetto al governo, di cui pure Lega e M5S fanno parte, accompagnati a vari tentativi di sabotaggio della linea Draghi – sulla politica estera come sull’economia – potrebbero difatti trasformarsi in un boomerang: non portare, cioè, all’auspicato recupero dei voti perduti. Sia nel breve periodo, ossia alle imminenti amministrative, dove comunque a contare di più sono le dinamiche locali anziché quelle nazionali, sia a lungo termine: in vista delle Politiche 2023.
Secondo gli esperti di flussi elettorali, sono almeno due le ragioni che spingono a ritenere probabilmente sbagliata la scommessa gialloverde. Intanto il presidente del Consiglio continua a godere di un gradimento alto, simile - sebbene in misura minore – a quello registrato dall’intero esecutivo: una circostanza che finirebbe per premiare le forze di maggioranza percepite come più coerenti e leali (innanzitutto il Pd, ma in parte anche FI). Poi, dato per assodato che nessuno è in grado di prevedere quale sarà il clima del Paese tra dieci mesi, occorre guardare allo stato di salute dei partiti e delle rispettive leadership: ebbene, sotto questo profilo, tanto Conte quanto Salvini versano in una crisi talmente profonda da restituire l’immagine speculare di un M5S e una Lega poco coesi al loro interno e sempre più restii a seguirne i diktat.
L’elemento decisivo del crollo gialloverde è rappresentato, per tutti gli analisti, da una profonda crisi di consenso. Una cosa è certa. Se la popolarità di Draghi resterà alta, per i partiti che gli fanno la guerra sarà complicato risalire la china. Mentre il Pd e Forza Italia, percepiti come più fedeli, se ne avvantaggeranno. Anche se, è bene chiarire, i vari tipi di elezioni – politiche e amministrative – hanno, ovvio, logiche differenti.
Il premier va dritto per la sua strada…
Ecco anche perché mentre Enrico Letta e Matteo Salvini se le danno di santa ragione, sul Patto di Stabilità della Ue (e interviene nella polemica anche il commissario Paolo Gentiloni, attaccato da Salvini), il premier va dritto per la sua strada e, almeno ad oggi, riesce a ‘vincere’ le resistenze dei vari partiti pur riottosi a cedergli.
Viene descritto come “sereno e tranquillo” (per quanto possa esserlo un premier sorretto da partiti in perenne litigio tra di loro…), Draghi, nell’incontro di lunedì scorso con la delegazione dei centristi totiani di ‘Coraggio Italia’ (Toti, Quagliariello, Marin, Romani), che gli hanno portato in dote la nascita di un nuovo gruppo al Senato (10 senatori) che si chiamerà ‘Italia al Centro’ e che sono dei veri draghiani in servizio permanente attivo, anche a dispetto del resto della loro coalizione di centrodestra, che il premier ha spiegato le sue ‘linee rosse’ irrinunciabili. Linee che sono tre.
Le ‘linee rosse’ che Draghi vuole imporre
La delega fiscale, la riforma della concorrenza e la politica estera, con la collocazione europea dell'Italia, sono le tre condizioni “di esistenza del governo”, i suoi cardini “non negoziabili”. E se i ‘totiani’, centristi moderati, sono pronti a opporsi persino alla Lega e a FI, se tenteranno di ostacolare un accordo sui balneari o accarezzeranno l'idea di aprire una crisi di governo, il premier ribadisce loro che il suo impegno è governare per realizzare le riforme: “Sto qui per fare le cose”. Dunque, se resta sempre la disponibilità a mediazioni parlamentari, per Draghi non si può deviare dal percorso e bisogna approvare in tempi brevi le norme sul fisco e sul catasto, così come quelle sui balneari. Non si può tentennare sugli impresi presi col Pnrr e non è pensabile mettere in discussione la collocazione europea dell’Italia, le sue alleanze.
Ma se quest’ultima è, di fatto, un dato acquisito (prima del prossimo Consiglio Ue straordinario il premier non verrà neppure in aula a riferire: le opposizioni, proprio ieri, sono state sconfitte su questa richiesta, nonostante la richiesta del M5s), sulle riforme da fare (fisco e concorrenza), le ‘resistenze’ e gli ostacoli che pongono i partiti sono molti. Draghi spiega subito come la pensa: “Le raccomandazioni della Commissione Ue al nostro Paese riguardano provvedimenti fondamentali che non possiamo non realizzare”. “Queste cose si devono fare, e basta” taglia corto il premier e non sono ammessi ‘compromessi’ con i partiti: “il problema non è mio, ma loro”. Se le riforme non si fanno nei tempi stabiliti, è la conclusione del ragionamento, il governo non avrebbe più ragione di esistere: “O le forze politiche si mettono d’accordo e fanno approvare in Parlamento la concorrenza e la delega fiscale o non c’è più il governo”. Un aut aut secco, duro.
Il lavoro per realizzare i 45 obiettivi del Pnrr
È, dunque, sul lavoro per realizzare tutti i 45 obiettivi fissati entro fine giugno, secondo la tabella di marcia del Piano, che si concentrano in queste settimane le energie di Palazzo Chigi. Con una roadmap serrata, nonostante le difficoltà dovute al contesto esterno, la guerra ucraina e la pressione sui prezzi esercitata dall'inflazione. A fine aprile sono stati raggiunti 14 obiettivi, entro fine maggio saranno almeno 25, ma si punta a chiuderne 30, per poi centrare l'intero pacchetto a giugno. Ridurre i tempi della giustizia per spingere gli investimenti, riformare gli appalti e il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti entro marzo 2023, rafforzare il reclutamento nella scuola e la Pa questi sono i punti al cuore del Pnrr, assieme alla riforma della concorrenza da completare entro dicembre con tutti i decreti attuativi. Non solo perché lo prevede il piano siglato con l'Europa, ma perché “proprio il Pnrr - dice il sottosegretario Roberto Garofoli all'EY Law Summit, e lui parla di rado - costituisce l'antidoto a rischi recessivi, lo strumento strutturale per ribilanciare gli effetti della crisi e resistere più efficacemente a eventuali crisi future”. Il governo, ha spiegato Garofoli, si aspetta la “crescita, seppur rivista al ribasso”, a causa della crisi ucraina, ma questo “presuppone che il piano delle riforme e soprattutto degli investimenti sia pienamente attuato. È per tutto questo che il governo avverte la forte responsabilità di evitare passi falsi, battute d'arresto, distrazioni”. È la bussola delle riforme annunciate alla nascita del governo e concordate col Parlamento, a guidare l'azione di Draghi. Ora – è il senso del messaggio che i centristi traggono dall'incontro col premier - sta alla responsabilità dei partiti garantirne la realizzazione e così dare un senso alla prosecuzione del governo.
E pur se i centristi avvertono gli alleati che non sono disposti a seguirli su una china pericolosa (“Il nuovo gruppo continuerà ad appoggiare il governo e la sua collocazione atlantista”, dichiara Toti) il rischio di uno ‘svuotamento’ del ddl concorrenza è ben presente, agli occhi di Draghi.
Nuovo scoglio da superare: il ddl concorrenza
Se c’è una qualche preoccupazione (e c’è) è sul ddl sulla concorrenza (Draghi ha scritto alla presidenza del Senato Casellati per assicurarsi “tempi certi e celeri” di approvazione, cioè entro maggio, dato che il ddl è ancora fermo al Senato), che riguarda il secondo semestre del 2022, come obiettivo target del Pnrr, e che si è impantanato sul ‘destino’ delle concessioni balneari. La raccomandazione della Commissione, sul punto, è severa. Per le spiagge “l’uso delle concessioni pubbliche non è stato ottimale”. Il rinnovo automatico per lunghi periodi e con tassi al di sotto dei valori di mercato comporta, per la Ue, “una significativa perdita di entrate”. Dopo anni di rinvii, il governo aveva deciso di introdurre gare aperte per le concessioni a partire dal 2024, ma Lega e FI hanno alzato un muro di ‘no’ e fatto saltare l’accordo che prevedeva il voto a marzo.
Settimane di riunioni e mediazioni con i partiti non hanno portato passi in avanti finché Draghi non ha lanciato un doppio ultimatum: prima il cdm urgente in cui ha avvisato tutti che, senza un accordo, porrà la questione di fiducia sul testo attuale, quello del governo, poi la lettera alla Casellati. La concorrenza va votata entro il 31 maggio e la data scelta da Draghi non è casuale perché entro giugno il Senato deve approvarla e, entro luglio, deve passare anche alla Camera, perché poi ci sono i decreti attuativi da scrivere e, a palazzo Chigi, temono di non farcela.
Intanto Salvini apre un nuovo fronte: la pace (fiscale…)
Nessun commento trapela, invece, da Palazzo Chigi alle sortite di Matteo Salvini dal sapore antieuropeista, ma serpeggia il timore che non siano solo uscite da campagna elettorale. Un esponente di centrosinistra si dice assai preoccupato da “toni che riportano indietro alla stagione gialloverde”: sarebbe “un errore clamoroso” in un momento in cui dall'Europa può venire la risposta più efficace di fronte ai rischi di una nuova recessione. Le riforme non sono solo una richiesta dell'Ue ma sono anche, è la convinzione, alla base delle aspettative dei cittadini. Le indicazioni Ue sul semestre consegnate all'Italia sono già alla base del lavoro che si sta facendo, sia sulle risorse e la tenuta dei conti che sulle riforme. Sul catasto, assicura un sottosegretario leghista, Salvini non ha intenzione di rimangiarsi la mediazione raggiunta due settimane fa. Sull'Ucraina e le armi a Kiev, al netto di certe sortite, non ci saranno smarcamenti.
Ma proprio ieri Salvini ha aperto un nuovo fronte: “Come Lega – ha detto a Porta a Porta da Vespa - abbiamo ottenuto un risultato positivo con la soddisfazione anche di Draghi, sul catasto. Ma la cosa che mi lascia sbigottito, su cui ancora non c'è risposta e su cui Draghi conto ci dica qualcosa, è la pace fiscale. Quella più importante è sicuramente la pace in Ucraina – e qui prova a fare una (infelice) battuta Salvini - ma dopo 2 anni di Covid e una guerra in corso bisogna fermare le cartelle esattoriali che pesano su 15 milioni di italiani, altrimenti rischia di essere un massacro” (sic). Dal governo, nessuna reazione.
Ma spunta la mediazione sul ddl concorrenza
Nel frattempo, però, come il sole all’improvviso, ecco spuntare la mediazione sul ddl concorrenza. Avvio delle gare per assegnare le concessioni balneari entro il 31 dicembre 2023, ma con possibilità per i Comuni di rinviare le procedure al massimo al 31 dicembre 2024 per "difficoltà oggettive" o "la presenza di un contenzioso". E’ questa la proposta di mediazione sulla liberalizzazione delle spiagge firmata dal viceministro di Forza Italia, Gilberto Pichetto Fratin, a nome del governo. Un emendamento finito sul tavolo della maggioranza, per provare a sbloccare l’impasse sulla delega sulla concorrenza e scongiurare il voto di fiducia sulla riforma, la spada di Damocle che pendeva sui partiti. Una mediazione che interviene sulle gare ma anche sugli indennizzi, stabilendo criteri "uniformi" per ripagare ai concessionari uscenti "la perdita dell'avviamento" o il valore residuo degli investimenti fatti e chiarendo che non saranno previsti rimborsi per i beni abusivi.
A quanto emerso, durante il vertice dei partiti che sostengono il governo Draghi - che si sono dati appuntamento al Senato prima di pranzo - i gruppi hanno chiarito la volontà unanime di cominciare a votare in commissione Industria sul ddl Concorrenza, per evitare che si arrivi alla estrema soluzione di un voto di fiducia sul testo di base, anche perché il mancato accordo sulle spiagge manderebbe all'aria anche il lavoro sugli altri articoli. E i 32 articoli del ddl - tutti ancora da votare - devono essere in Aula al Senato entro fine mese per non saltare gli obiettivi del Pnrr.
In serata, e dopo mesi di stallo, la commissione Industria del Senato ha cominciato le votazioni sul ddl concorrenza, dunque. C'è anche la data per l'esame in Aula, lunedì prossimo, un giorno prima del termine indicato dal premier Mario Draghi. Secondo la road map del governo, il ddl concorrenza dovrà essere approvato entro metà luglio in terza lettura al Senato, poi andranno emanati i decreti attuativi della delega entro la fine del 2022, in tempo per l'ultima tranche di quest'anno di finanziamenti del Pnrr.
Dopo che gli ultimi giorni sono stati animati dal fronte assai battagliero di Lega e Fi, che punta a rinvii delle gare e indennizzi più generosi, il clima, si assicura, è stato collaborativo, con il ministro D'Incà a ringraziare tutti "per il lavoro svolto".
Il testo di mediazione rispecchia nelle linee generali un'ipotesi di mediazione emersa la scorsa settimana. Una soluzione che potrebbe andar bene a Palazzo Chigi ma che era stata respinta dal centrodestra e che aveva portato Draghi all’ultimatum. Ora Pichetto Fratin riformula il testo, in modo da rispondere alle obiezioni sollevate innanzitutto da Lega e FI.
I passi avanti, per ora (cioè a ieri) sono l'avvio delle votazioni in commissione che 'mettono in salvo' il ddl Concorrenza e l'accordo sui tempi. La proposta emendativa, presentata dal viceministro Fratin, ha convinto i partiti, ma solo in parte.
La proroga di un anno delle gare per assegnare le concessioni balneari al 2024 vede l'accordo di tutta la maggioranza. Resta da lavorare sulla seconda parte della mediazione avanzata da Fratin, quella degli indennizzi. Ma lo stesso Salvini a Porta a Porta su questo non alza le barricate: "Bisogna lavorarci... Sono fiducioso”.