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Doccia fredda sulla legge di bilancio. Bankitalia e Upb frenano sulla crescita. E sull’assenza di riforme

Seconda giornata di audizioni in Parlamento sul Piano strutturale di bilancio. Oggi grande attesa per la replica del ministro Giorgetti che ha chiesto “sacrifici” a tutti. La crescita più bassa (+0,8 anzichè +1%) complica la copertura dei 13 miliardi per una manovra che ne vale 25. E aumenta la distanza politica tra Lega e Forza Italia. Tensioni oggi per l’elezione di un giudice costituzionale in Parlamento. Meloni vuole mettere il suo consigliere giuridico. “E’ un golpe” dicono dicono le opposizioni. Tranne i 5 Stelle

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni
Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni (Foto Ansa)

Oggi tutti sperano di trovare uno spicchio di arcobaleno nella parole del ministro Giorgetti quando alle 18 spiegherà
al Parlamento la sua visione macro e microeconomia dell’Italia nei prossimi anni. C’è molta attesa e molta speranza che il nostro uomo dei conti pubblici sappia spiegare cose che tutti gli altri organi di controllo non hanno visto. O non sono stati capaci di trovare nelle quasi trecento pagine del Piano strutturale di bilancio, il documento di finanza pubblica che mette insieme quelli che fino all’ano scorso erano il Def di aprile e la Nadef di ottobre. Ieri è stata la seconda giornata di audizioni sul Piano strutturale di bilancio. E se la prima - venerdì scorso - è stata segnata dall’aumento delle tasse (42,8%) mai cosi alte negli ultimi anni, dalla polemica sull’aumento delle accise sul diesel - tutto rigorosamente scritto nel Psb - e da previsioni di crescita più basse del previsto, ieri non sono arrivate buone notizie dalle audizioni. Soprattutto quelle di Bankitalia e Ufficio parlamentare di bilancio.

Rallenta la crescita

I tecnici di via Nazionale non hanno lasciato illusioni: si allontana l’obiettivo di crescita fissato dal governo all’1% nell’anno in corso e trovare le risorse per la manovra 2025 diventa sempre più complicato. Per Bankitalia il Pil del 2024 si fermerà allo 0,8% e anche per l'Ufficio parlamentare di bilancio l’obiettivo dell’1% diventa più incerto. Giorgetti ha sempre ritenuto realizzabile una crescita all’1%. Ma dopo la revisione dei conti pubblicata venerdì scorso dall’Istat, la Banca d'Italia ha provveduto ad una “correzione meccanica” al ribasso di due decimi di punto percentuale. Nell'audizione in Parlamento l'ISTAT spiega che l'Italia è tornata ad una crescita da zerovirgola. “Siamo tornati a una fase di stato stazionario o 'steady state' con tassi di crescita abbastanza contenuti che stentano a dimostrare la situazione di un’economia che si sviluppa in forma consistente” ha detto il direttore per la contabilità dell'Istat, Giovanni Savio.

Mancano dodici miliardi

Il contesto esterno, con l'economia mondiale che si raffredda, indebolisce il quadro e pesa sulla composizione della manovra: su 25 miliardi stimati come necessari come taglio dell’Irpef e taglio del cuneo e altre spese indifferibili, al momento ne sono disponibili 13 di cui 9 dal miglioramento dei conti pubblici (cioè più tasse pagate), 3.7 dal fondo della delega fiscale. Dove trovare gli altri dodici miliardi - posto che non possiamo fare debito - è il mistero che oggi molti sperano Giorgetti possa svelare. Almeno in parte. Sergio Nicoletti Altimari, capo dipartimento economia e statistica della Banca d'Italia, ha voluto sottolineare spiegato che “lo stesso programma delineato nel Piano strutturale di bilancio non è esente da rischi”. Primo, perché il piano conta sulle maggiori entrate attese per il 2024 “con l’assunzione implicita che siano permanenti”. Secondo, perché data “l’elevata incertezza del quadro macro anche piccoli scostamenti dai piani di bilancio potrebbero rendere difficoltoso riportare il deficit sotto il 3% nel 2026”. Da Bankitalia anche un altro warning: rendendo strutturali gli sgravi contributivi sul lavoro (taglio del cuneo e accorpamento aliquote Irpef) si mette a rischio l’equilibrio sulle pensioni. “Verrebbe meno - è stato spiegato - l’equilibrio tra entrate contributive e uscite per prestazioni” che “caratterizza il nostro sistema previdenziale e ne rappresenta un punto di forza”. Eppure i più grandi economisti chiedono al governo proprio di rendere strutturali, cioè fisse e non da finanziare ogni anno, quelle misure. La coperta è cortissima e come la tiri lasci qualcosa scoperto.

Il j’accuse della Corte dei conti

Anche per la Corte dei Conti il governo ha davanti a sé un arduo compito. Il percorso del Psb è “impegnativo” e nella manovra “saranno necessarie scelte difficili sull'allocazione delle risorse”. Non si potrà fare a meno, però, di pensare alla sanità, perché per tagliare le liste d'attesa e i tempi al pronto soccorso è indispensabile investire “per superare le carenze di personale, soprattutto infermieristico, che rappresenta al momento il principale deficit”. Inoltre bisogna dare certezza e stabilità al settore della previdenza, “dopo gli interventi temporanei (da Quota 100 a Quota 103, con tutti i balletti e le false promesse che ci sono state nel mezzo, ndr) che lo hanno contrassegnato negli ultimi cinque anni” cercando di “garantire una maggiore flessibilità in uscita”.

Upb: “Psb è generico e carente”

Ma la giornata, già pesante, non finisce qua. L’ultima audizione in serata è riservata a Lilia Cavallari, direttore dell’Ufficio parlamentare di bilancio che punta il dito, oltre che sull’incertezza del quadro macro, anche sulla carenza di informazioni sulle coperture perché, al di là di 9 miliardi in deficit, il Piano strutturale di bilancio fornisce solo indicazioni “generiche”. Nel Psb ci sono “carenze rispetto alle informazioni usualmente riportate nella Nadef: sullo scenario a politiche invariate e circa la rimodulazione del profilo temporale di attuazione del Pnrr” così come “sugli indicatori specifici relativi alle riforme, che sono un elemento importante del percorso di aggiustamento, dopo la fine del Pnrr”. Un quadro oggettivamente di per sè molto “incerto” in cui sono in atto “transizioni complicate su tecnologia, clima, demografia e con forti tensioni geopolitiche”. Di fronte a questo scenario, è l’auspicio dell’Upb, “la spinta alla crescita sarebbe opportuno arrivasse e fosse sostenuta da fondi europei soprattutto a fine 2026 quando finirà il Next Generation Eu”. Per primi ieri sono stati sentiti gli enti locali, Anci, province e regioni. Pur non essendo da nessuna parte nelle quasi trecento pagina del Psb una ipotesi di taglio delle risorse, revisione, sindaci e governatori hanno messo le mani avanti: che non venisse in mente a nessuno di mettere mano ai fondi e/o ai trasferimenti per gli enti locali perchè la situazione diventerebbe “estremamente gravosa”. Le Regioni hanno chiesto rassicurazioni sul tema “per ora congelato” della riduzione delle aliquote Irpef da 4 a 3, che avrebbe un impatto di circa un miliardo sull'addizionale delle regioni a statuto ordinario e di circa 400 milioni per quelle a statuto speciale.

Le risposte di Giorgetti

Come si vede sono tanti i dubbi, le domande e le questioni a cui oggi il ministro Giorgetti dovrà rispondere. Dopo aver annunciato “sacrifici per tutti” e aver rassicurato dal palco di Pontida di “sapere bene chi fa sacrifici e chi no”, il titolare del Mef dovrà spiegare dove troverà circa tredici miliardi. Al netto di quei 2/3 miliardi che dovrebbero arrivare dalla vendita del 15% di Poste. Giorgetti ha in mente la tassa sugli extraprofitti. O meglio, un contributo da parte di chi in questi anni ha ottenuto prodotti molo alti grazie alla congiuntura e non certo per meriti imprenditoriali. Non c’è rischio d’azienda se scoppiano le guerra e i profitti delle aziende del comparto volano. Idem si dica per le compagnie energetiche o per la banche. Quando parla di articolo 53 della Costituzione preci ciascuno deve contribuire in modo progressivo al benessere comune mediante il versamento di contributo, è chiaro che ha bene in mente cosa fare e a chi chiedere. “I più ricchi devono dare di più” ha ripetuto Salvini dal palco di Pontida. Meta di pellegrinaggio, quest’anno, per omaggiare Salvini vittima dei magistrati che lo accusano per “aver difeso i confini italiani”.

Le distanze aumentano

Il problema è che Forza Italia la pensa in maniera assolutamente opposta. E il fine settimana a Pontida, con i cori “Tajani scafista” lanciati dai giovani leghisti guidati dal’onorevole Toccalini, ha avuto il merito di fare chiarezza ben al di là dell’etichetta imposta da Giorgia Meloni. Che in settimana è arrivata a minacciare le dimissioni (“alla fine dovrò mollare per pochi infami”) in relazione alla fuga di notizie dalle chat private del gruppo per far eleggere alla Consulta il suo consigliere giuridico Marini. Il punto è che tra Forza Italia e Fratelli d’Italia si sta aprendo un abisso di differenze. Dagli immigrati con la riforma della cittadinanza - che FI rilancia, assicurando che “non è assolutamente una roba di facciata” - fino alle condizioni dei detenuti in carcere. Soprattutto per l’approccio filosofico al tema tasse. “FI è un partito che cerca di allargare la coalizione verso posizioni più aperte. Non siamo né come la Lega né come Fratelli d’Italia” ha detto ieri il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. La Lega spostata politicamente sempre più a destra con i Patrioti,è un problema grosso anche per Giorgia Meloni.

 

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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