I tormenti della legge di bilancio. Sulle pensioni lo scontro è in casa Lega tra Salvini-Giorgetti
Basta diversivi e armi di distrazione di massa. Ora è tempo di fare i conti. La premier comincerà a parlarne nel vertice di maggioranza di venerdì. Servono 25 miliardi per confermare le misure dell’anno scorso. Sulle pensioni Salvini vuole anticipare i tempi, Giorgetti allungarli. Revisione anche per sgravi fiscali
E adesso s’impone la legge di bilancio. Con tutto quello che ne consegue. Via i complotti mediatico-giudiziari, basta con i fidanzamenti finiti male, le risse sul genere e i dibattiti, seppure più elevati, sulla cittadinanza per gli studenti stranieri nati e vissuti in Italia. Basta, insomma, con le armi più o meno sofisticate di distrazione di massa.
Alla riapertura dei palazzi della politica - la premier è attesa a palazzo Chigi in queste ore mentre per le aule di Camera e Senato bisognerà ancora attendere il 9 settembre - s’impone quello che da settimane dovrebbe essere l’unico vero tema sul tavolo: la legge di bilancio, cioè quali misure il governo prenderà sul fronte della spesa pubblica, del debito e della crescita. E’ la legge più importante dello Stato, c’è la vita delle famiglie e quella delle imprese. Piaccia o meno, la premier dovrà parlarne nel vertice di maggioranza previsto venerdì a palazzo Chigi. Il Ministero dell’Economia, Ragioneria compresa, ci lavorano da mesi e hanno pronte dati, tabelle e proposte.
20 settembre
Entro questo data il governo è chiamato a presentare il “Piano strutturale di bilancio a medio termine”, il nuovo strumento comune ai Paesi Ue, introdotto dal Patto di stabilità, che deve “tracciare” la rotta dei conti pubblici per i prossimi anni e fornire un quadro su come ridurre il deficit eccessivo, per cui a giugno Bruxelles ha aperto una proceduta a carico di Italia, Francia e altri 5 Paesi. Il documento è il primo passo per la costruzione della prossima legge di bilancio. Possiamo dire che il Piano strutturale ha in parte sostituto il Documento economico e finanziario che viene presentato in aprile. Il Def 2024 è stato, infatti, assai avaro di cifre e contenuti. Rinviava a settembre.
Una manovra da 25 miliardi
Inutile dire che, vista la necessità di alleggerire il macigno del debito pubblico - che sta per raggiungere la cifra simbolo di 3mila miliardi - la caccia alle risorse è il tema e il problema principale. La manovra dovrebbe attestarsi poco sopra i 25 miliardi. La maggioranza ha già indicato le priorità. La prima è la conferma del taglio del cuneo fiscale e contributivo (varato a maggio 2023) per i redditi fino a 35mila euro per lasciare nelle buste paga dei lavoratori dipendenti fino a 100 euro in più al mese per contrastare l'inflazione. Il Mef vorrebbe estendere il taglio del cuneo ai redditi fino a 50mila euro. Ma il tema resta sempre quello delle risorse limitate. Prioritarie anche la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre scaglioni; la detassazione eper la Zes, per le aziende che assumono e per le mamme che lavorano. Vedremo poi in quale misura saranno confermante queste misure, se i benefici saranno aumentati o ristretti. Si tratta comunque di un pacchetto di misure su cui le forze di maggioranza sono d’accordo.
L'Ufficio Parlamentare di Bilancio ha stimato che solo per confermare gli interventi finanziati lo scorso anno occorrono circa 18 miliardi, di cui poco meno di 11 per il taglio del cuneo e 1,9 per la detassazione degli interventi nelle Zes. Sette miliardi per tutte le altre misure sono uno spazio di manovra assai ridotto.
Caccia alla risorse
Al momento in cassa già disponibili, ci sono meno di dieci miliardi. La nuova legge di Stabilità impone di non fare debito. dove, quindi trovare le altre risorse? Un aiuto potrebbe arrivare dalle maggiori entrate tributare registrate nel periodo gennaio-giugno 2024. E’ il famoso tesoretto di cui si parla e di cui invece non vuole parlare, per scaramanzia, il ministro Giorgetti. “Solo quando avrò i conti definitivi” ripete. L’ultimo bollettino del Mef certifica un aumento di 10.1 miliardi di entrate tributarie rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+4,1%). Parliamo di una cifra che viene calcolata tra i 10 e i venti miliardi di maggiori entrate per il fisco grazie all’aumento dell’occupazione e alla lotta all’evasione fiscale (stimata in 84 miliardi). Inutile dire che sarebbe la soluzione del problema. Giorgetti è cauto e non vuole anticipare nulla. “Non si dice di aver vinto a cento metri del traguardo” gelò i giornalisti il 7 agosto nell’ultima conferenza stampa prima delle vacanze.
Tagli alle esenzioni
La caccia alle risorse dunque continua. E passa anche dalla riorganizzazione e dalla riduzione delle tax expenditures, l’insieme di centinaia di esenzioni, detrazioni, crediti d'imposta, aliquote agevolate. L’obiettivo è sfoltire la selva di 626 spese fiscali (che salgono a 740 se si contano anche quelle locali). Un fenomeno che, ha evidenziato l’Ufficio Valutazione Impatto del Senato, aumenta la complessità del sistema e genera una perdita di gettito pari al 4% del Pil, circa 80 miliardi. Lo stesso ufficio rileva anche anche come per quasi l’80% delle misure ci siano “dati incompleti su oneri, beneficiari o importi pro capite”, mentre per quasi il 28% “non sia fornita alcuna stima”. Questo rende più difficile ogni valutazione. La prima cosa da fare sarà porre attenzione alle spese con “elevati importi pro capite e basso numero di beneficiari” e poi a quelle con “frequenze più consistenti ma valori per ciascun beneficiario poco significative”.
Chi sta lavorando a questo dossier avverte però che il risparmio, e quindi l’impatto finale della revisione potrebbe non essere elevato e attestarsi sotto i 500 milioni. Così come avrebbe scarso successo anche la revisione del concordato preventivo biennale. Confindustria ricorda come nel 2003 di fronte ad un incasso stimato di 3,5 miliardi, arrivarono effettivamente meno di 60 milioni.
Pensioni, Salvini ci riprova
Come ogni anno, dal 2019, Salvini torna ad annunciare il superamento della legge Fornero. Potremmo dire che lui stesso smentisce se stesso. Il tema è sul tavolo anche quest’anno. Ma non come vorrebbe il leader della Lega il cui principale avversario è, in questo caso, il compagno di partito nonchè ministro Giancarlo Giorgetti. All’orizzonte si profila una nuova stretta per il pensionamento anticipato. La possibilità di uscire dal lavoro con 42 anni e 10 mesi di contributi potrebbe infatti richiedere tempi più lunghi: l’ipotesi passa attraverso l’estensione della cosiddetta “finestra mobile”, ovvero il tempo d’attesa tra la maturazione del diritto alla pensione e il momento in cui si può effettivamente riscuotere l’assegno.
Le pensioni dividono la maggioranza. Su fronti opposti la Lega che guarda alle uscite anticipate e Forza Italia che punta ad aumentare le minime. Sul tappeto anche l'idea di prevedere nel 2025 incentivi a chi resta al lavoro.
Le simulazioni
All’esame c’è la possibilità di introdurre un allungamento delle finestre per l’accesso alla pensione anticipata solo sulla base dei contributi e indipendentemente dall'età. Oggi ci si accede con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) e la finestra mobile è di tre mesi: l’ipotesi, per l'anno prossimo, è di allungarla a 6-7 mesi. Con il risultato che l’uscita dal lavoro scatterebbe dopo 43 anni e 4 mesi (42 anni e 4 mesi per le donne), o addirittura 43 anni e 5 mesi in caso di allungamento a 7 mesi. Si ripristinerebbe così l’equilibrio con il canale di Quota 103 (62 anni d'età e 41 contributi) diventato non solo più difficilmente raggiungibile con l’allungamento delle finestre (portate da 3 a 7 mesi per il privato e da 6 a 9 per il pubblico) ma anche meno conveniente con l’imposizione del ricalcolo contributivo che per molti significa una riduzione a regime dell'assegno. Il dato è confermato dalle adesioni più scarse del previsto registrate finora. Così, per confermare la nuova Quota 103 anche il prossimo anno potrebbe bastare il 70% di quanto stanziato l'anno scorso (quindi poco meno di 590 milioni, rispetto a 835 milioni postati per il 2025). La previdenza resta un tema caldissimo in un Paese con un età media di oltre 48 anni ed il numero più alto di anziani in Europa.
Il governo ha basato le sue previsioni su una stima di crescita del Pil dell’un per cento nel 2024. E’ chiaro che se la crescita dovesse essere più bassa (Bankitalia aveva stimato lo 0,6%) o pia alta, i conti andrebbero rifatti nuovamente.