[Il retroscena] La svolta della legge Spazzacorrotti: sul web per ogni candidato un certificato penale
Con 304 voti a favore, la maggioranza approva il disegno di legge Anticorruzione, uno dei provvedimenti simbolo dei Cinquestelle. La seconda parte è interamente dedicata ai partiti e prevede l’obbligo di rendicontare ogni mese qualunque contributo superiore a 500 euro e “chiude” le Fondazioni: oggi sono 121 e ne potrà sopravvivere solamente una per ciascun partito. L’articolo 7 mette in crisi i webmaster: sarà obbligatorio pubblicare il certificato penale di ogni singolo candidato in tutte le competizioni elettorali. Già in primavera Pd, Fi e gli altri dovranno trovare il modo di caricare migliaia di documenti senza violare la privacy dei candidati; le sanzioni possono arrivare a 120 mila euro. Lega fredda, ma Salvini e Giorgetti garantiscono una approvazione tranquilla. Bonafede e Di Maio festeggiano in piazza.
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Le norme anticorruzione sono legge dello Stato: è panico tra i “vecchi” partiti. Le ragioni, però, sono molto diverse da quelle a cui alludeva il più famoso dei titoli del settimanale “Cuore” sull’inizio dell’ora legale. La preoccupazione più seria che si è diffusa ieri sera mentre fuori dalla Camera e dal Senato i Cinquestelle festeggiavano in piazza lo “storico via libera” al disegno di legge, scritto dal Guardasigilli Alfonso Bonafede, riguarda i loro siti internet.
Sembra incredibile, ma più che le nuove e stringenti norme previste per il finanziamento e la tagliola sulle Fondazioni che spesso avevano utilizzato per pagare convegni e iniziative politiche, a preoccupare tutti i partiti sono proprio le nuove regole che interesseranno i loro portali e alle quali sono del tutto impreparati. Ad occuparsene è l’articolo 7 del disegno di legge “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” approvato ieri in tarda serata a Montecitorio con 304 sì e 106 no, dopo che il provvedimento era ritornato con le modifiche introdotte dal Senato. Il comma 5 prevede infatti che “in occasione delle competizioni elettorali di qualunque genere, escluse quelle relative a Comuni con meno di quindicimila abitanti, (...) è fatto obbligo ai partiti di pubblicare nel proprio sito internet istituzionale il curriculum vitae dei loro candidati e il relativo certificato penale”.
I partiti saranno dunque obbligati a partire dal primo gennaio e per tutte le successive competizioni elettorali a partire dalla primavera, a pubblicare sui loro siti i certificati penali di tutti i candidati. Se non lo faranno, saranno passibili di sanzioni molto onerose, fino a 120.000 euro. Basta che ne sfugga uno. Non è un impegno da poco; in turni elettorali complessi come, per esempio, le Regionali che ci saranno nei primi mesi dell’anno 2019, i candidati possono essere anche qualche migliaio e bisognerà controllarne uno per uno. I consiglieri regionali eletti saranno 1117, i candidati almeno trenta volte tanti: servono sezioni del sito capaci di ospitare fino a cinquantamila pagine in pdf. Non resta moltissimo tempo per prepararsi dal momento che la stessa legge prevede che il materiale necessario a garantire “trasparenza” debba essere pubblicato sul sito “entro il 14° giorno antecedente le votazioni” e che i certificati penali debbano essere rilasciati “non oltre 90 giorni prima della data fissata per le elezioni”.
Come fare? In casa Forza Italia e in casa Pd già hanno commissionato ai rispettivi webmaster uno studio per creare un’area apposita del sito. Ma come pubblicarli? Come renderli fruibili senza diffondere informazioni personali e violando la privacy dei candidati? Poteva andare ancora peggio se è vero che un deputato del Pd, l’ex sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore, aveva suggerito con un intervento in commissione di estendere questa regola anche ai rinnovi dei consigli comunali dei Comuni piccoli e piccolissimi, quelli al di sotto dei quindicimila abitanti. In quel caso di certificati penali ne sarebbero stati pubblicati decine di migliaia. Anche le liste civiche avranno lo stesso obbligo.
Problemi sui siti a parte, la maggioranza può rivendicare l’approvazione di un nuovo provvedimento-simbolo, che era nel Contratto di governo. “E’ la rivincita degli onesti”, dice Luigi Di Maio, sceso in piazza pure lui per festeggiare il via libera alla “spazzacorrotti”. In Aula a sorvegliare che la Lega non facesse scherzi ci sono stati tutto il pomeriggio Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti. Volevano tutti evitare che si potesse ripetere il complicatissimo braccio di ferro tra i due partiti nelle commissioni Giustizia e Affari costituzionali sulla prescrizione, riforma che entrerà in vigore a partire dal 2020.
Sulla parte del provvedimento che riguarda i partiti, invece, le tensioni sono sempre rimaste sotto controllo e M5s e Lega hanno marciato uniti. I due contenuti principali riguardano l’obbligo di trasparenza sulle donazioni ai partiti sopra i 500 euro, che si estende anche ai titolari di cariche elettive e di governo, inclusi i tesorieri dei partiti politici. Qualunque contributo superiore ai 500 euro è dunque tracciato. La norma prevede anche che i partiti e i movimenti politici non possano ricevere contributi provenienti da Governi o enti pubblici di Stati esteri nemmeno sotto forma di prestazioni o di altre forme di sostegno: si è molto parlato di possibili intrusioni di Vladimir Putin, Donald Trump e di altre potenze straniere nelle campagne elettorali di alcuni Paesi europei e la “Spazzacorrotti” chiarisce che questo tipo di sostegni sono illegali. Le multe sono salate: in caso di violazione, sono previste sanzioni non inferiori al triplo e non superiori al quintuplo del valore dei contributi, delle prestazioni o delle altre forme di sostegno a carattere patrimoniale ricevute.
L’altra novità introdotta dalla seconda parte del provvedimento appena approvato riguarda le fondazioni. Spesso sono state utilizzate per finanziare singole correnti dei partiti e sono finite - come la Eyu, che pagava la Leopolda di Matteo Renzi - al centro di polemiche o addirittura inchieste giudiziarie. Ne sono state censite 121 dal 2015 ad oggi, secondo Openpolis solo il 10% sono vicine ai partiti che compongono il governo. Lo “Spazzacorrotti” prevede che ogni partito possa avere una sola fondazione collegata, non più di una. Anche per loro valgono le stesse regole di trasparenza e di rendicontazione che si applicano ai partiti. Tutti i donatori saranno “tracciati” automaticamente e non c’è verso di rimanere finanziatori occulti: con il versamento di contributi superiori a 500 euro annui d’ora in avanti si intende “rilasciato dal soggetto erogatore il consenso alla pubblicità dei suoi dati”. Altra complicazione, ai partiti è richiesta maggiore tempestività: i contributi debbono essere infatti annotati entro il mese solare successivo a quello di percezione in un apposito registro custodito presso la sede legale del partito. Non ce la si può più cavare con il solo bilancio da pubblicare - sempre sul sito - a giugno.
Tutti i rendiconti di partiti e movimenti politici dovranno continuare ad essere trasmessi alla Commissione per la trasparenza dei partiti politici, un ufficio a cavallo tra Camera e Senato, pena pesanti sanzioni, da 12.000 a 120.000 euro. “E’ una legge che dedichiamo ai nostri giovani e agli italiani che si spaccano la schiena”, ha detto - soddisfatto - il ministro della Giustizia. Rispetto alla tabella di marcia che era stata anticipata dal premier Giuseppe Conte, il provvedimento è diventato legge con un mese di anticipo e senza peraltro l’utilizzo dello strumento del voto di fiducia. I forzisti non hanno partecipato al voto finale e Silvio Berlusconi, durante il brindisi natalizio con i suoi senatori, ha usato parole molto allarmate: “Questo provvedimento mette chiunque nelle mani dei pm. Per nulla si può arrivare al sequestro dei beni e a togliere la libertà a qualcuno”. Eppure anche lui, quando sarà candidato alle elezioni Europee, sarà costretto a pubblicare sul sito del suo partito il certificato penale.